In Italia per presentare il suo libro, E ho smesso di chiamarti papà, ci ha raccontato quello che è successo dal 2 novembre 2020, giorno in cui sua madre, Gisele Pelicot, le ha confessato gli orrori che aveva subìto per mano del marito.

Facce di oggi
Finita l’era dei volti gonfi di filler, della body positivity e dei tatuaggi, sono tornate magrezza, facce scavate e corpi puliti, insieme a una quantità incalcolabile di routine, strumenti e prodotti che, ancora una volta, spingono grandi e piccoli verso modelli irraggiungibili di perfezione.
In Aestethica di Allie Rowbottom, romanzo uscito nel 2022, la protagonista decide di sottoporsi a un rivoluzionario e pericolosissimo intervento chirurgico che eliminerà l’effetto di tutti gli interventi e i ritocchi a cui si è sottoposta nel corso degli anni. Lo scopo: ricongiungersi all’aspetto che avrebbe avuto se si fosse lasciata invecchiare naturalmente. La storia, lievemente distopica, immaginata da questa bellissima scrittrice che vive a Los Angeles, è la versione a lieto fine di The Substance: a differenza di Elisabeth Sparkle (Demi Moore), la protagonista di Aestethica decide di fermarsi quando ancora è in tempo per farsi restituire “la vera se stessa”.
Per quanto possa sembrare strano, tra queste due favole che parlano di bellezza, chirurgia plastica, perfezione e invecchiamento, la più realistica mi sembra quella raccontata dalla regista Coralie Fargeat. Trovo la trasformazione in mostro decisamente più plausibile della possibilità di resettare tutto, non tanto gli interventi estetici e chirurgici subiti (la ricerca in questo campo procede a velocità incredibili, lo sappiamo), ma il desiderio di cambiare e modificarsi di una persona che non è mai riuscita ad accettarsi. Sarò pessimista, ma mi riesce difficile immaginare una persona che per tutta la vita ha lottato con se stessa e il proprio corpo riuscire ad arrendersi e smettere di farlo. Aestethica, però, ha preceduto di qualche anno il trend attuale, che in effetti consiste proprio nel cliccare il tasto “annulla” della realtà, tornare indietro, ripristinare la forma iniziale, o almeno provarci. Con un’importante differenza: le persone che si fanno “sciogliere” il filler o si sottopongono a una “revisione” della gluteoplastica o del brazilian butt lift (per capirci: il culone che andava di moda qualche anno fa), non lo fanno certo per ritrovare il loro aspetto autentico, ma per aderire a “nuovi” canoni estetici che non prevedono più queste caratteristiche.
I nomi dei nuovi volti
La pratica clinica della ialuronidasi, ad esempio, risponde alla morte ufficiale della filler fever: basta labbra turgide e gonfie, basta pillow face, il filler viene disgregato e disseminato, l’effetto annullato. Adesso il viso deve essere scavato, le labbra vanno benissimo anche sottili, purché sia ben visibile una mandibola definita. Ieri si parlava di buccal fat removal, oggi di Ozempic face, il viso da evitare a tutti costi è quello tondo e paffutto di Selena Gomez (cortisol face, la chiamano su TikTok, promuovendo corsi di guasha a pagamento), il viso ideale è quello di Lana Del Rey dimagrita e de-fillerata.
Le nuove procedure hanno del miracoloso, o del diabolico, come dimostrano le ultime apparizioni di Lindsay Lohan e Christina Aguilera. Le avevamo viste, negli anni precedenti, in condizioni totalmente diverse, i visi deformati dall’eccesso di filler, i corpi fuori controllo (sottopeso una e sovrappeso l’altra). Sono ricomparse ringiovanite, anzi resuscitate, somigliando a una versione migliorata – più equilibrata, più bella – di loro stesse a vent’anni. Ricordate quando si parlava di body positivity? È un’espressione che oggi suona cringe quanto il «ce la faremo» che qualcuno urlava dalle finestre durante il Covid. «La magrezza è tornata, dimagrite», è invece, incredibilmente, quello che ci sentiamo urlare oggi dai social, da Hollywood e dalla moda. Se fino a qualche anno fa Kim Kardashian ci invitava a intraprendere interventi chirurgici invasivi per raddoppiare o triplicare i nostri glutei, adesso ci invita, chiaramente, a perdere un bel po’ di chili.
Ma c’è un altro interessante esempio di “revisione”: la procedura a cui si è sottoposto Pete Davidson (il comico diventato mainstream per aver frequentato Kim Kardashian ed Emily Ratajkowski), e cioè la rimozione di tutti i tatuaggi (moltissimi) che aveva sul corpo: pare sia costata intorno ai 200 mila dollari. A differenza di Tony Effe a Sanremo, che si è limitato a coprirli con un po’ di correttore, Davidson ha voluto affrontare questo dolorosissimo intervento come una specie di espiazione, o rituale, per celebrare la sua sobrietà. Scommettiamo che dopo il boom degli ultimi anni, anche i tatuaggi stanno passando di moda?
La dismorfofobia, ossessione per i propri difetti
Ma diciamoci la verità: cosa c’è di più patetico del seguire una moda? Finché si tratta di un capo d’abbigliamento o un accessorio da comprare, possiamo pure perdonarci (anche se, ormai ce l’hanno spiegato perfino le influencer come Emma Chamberlain e Mina Le, seguire pedissequamente i trend del momento significa boicottare il proprio stile personale), ma quando si tratta di modificare la propria faccia, e il proprio corpo? La dismorfofobia esisteva prima dei social e dei selfie, ed è la patologia mentale che porta a essere ossessionati dai propri difetti, tanto da non riuscire più a osservarsi nello specchio (o nello smartphone) con oggettività. Una persona malata di anoressia, ad esempio, continua a percepirsi e giudicarsi “grassa” anche se è oggettivamente sottopeso.
Allo stesso modo, un’adolescente molto bella si struggerà perché non aderisce al tipo di bellezza a cui aspira. E un’adolescente normale, o “brutta” (qualsiasi cosa questo significhi), come si sentirà? È un narcisismo al negativo: l’odio che puoi provare per il tuo riflesso ha la stessa intensità dell’amore, è una passione. Nel 2024 su Netflix è arrivato un film che si chiama Uglies, adattamento del primo romanzo della saga fantascientifica young adult di Scott Westerfeld. Ambientato in un futuro distopico post-apocalittico, il libro immagina una società dove i “normali” sono definiti “brutti” (appunto, “uglies”) e vengono trasformati in “carini” (“pretties”) attraverso un’operazione di chirurgia estetica obbligatoria al compimento dei sedici anni. La protagonista, Tally, sta appunto per sottoporsi a questo intervento, ma le cose si complicano quando conosce Shay, una ragazzina ribelle che rifiuta di conformarsi alle regole della società.
L’invasione dei Sephora Kids
Il mondo immaginato da Westerfeld si ispira, ovviamente, a quello reale: oggi, invece di giocare con i trucchi della mamma, tante bambine passano i loro pomeriggi da Sephora (si parla appunto di “Sephora Kids”), acquistando costose creme anti-età per perfezionare la loro “skincare routine”: le commesse, disperate, hanno avanzato richieste di vietare l’ingresso nei beauty store ai minori di 10 anni. Non solo le bambine fanno un casino tremendo, ma si spalmano in faccia prodotti formulati per donne adulte, compromettendo la salute della loro pelle. Nella sua newsletter settimanale, The Review of Beauty, così come nella sua rubrica sul Guardian e nelle sue “Don’t Buy List”, l’esperta di beauty Jessica De Fino si impegna eroicamente a demolire e decostruire l’industria del beauty, mettendo in luce obiettivi non realistici, strategie di marketing con messaggi fuorvianti, falsi miti, luoghi comuni e ripercussioni psico-fisiche.
Nel 2023, in una puntata della newsletter in cui parlava appunto del fenomeno delle Sephora Kids ma anche delle procedure cosmetiche “preventive”, ha coniato il termine “dermorexia” per indicare «la serie di comportamenti ossessivi incoraggiati dall’industria della cura della pelle: adolescenti che escogitano routine anti-invecchiamento in più fasi per paura di rughe future, adulti che si indebitano per trattare il viso con aghi e laser; una frenetica preoccupazione intergenerazionale per retinoidi, acidi e “glazing” (le procedure per ottenere la cosiddetta “glass skin”, lucida e perfetta, ndr)».
Morning Shed e altre follie
Questa ossessione per la pelle e per lo stato della propria faccia, di cui De Fino parlava già nel 2023, si è negli ultimi anni ulteriormente evoluta: uno dei più recenti trend di TikTok è il morning shed, che consiste nel dormire con addosso una sovrapposizione di prodotti e strumenti che, una volta “smontati”, di mattina, dovrebbero garantire un aspetto migliore. I capelli vengono spalmati con vari prodotti e inanellati intorno a una fascia per la piega a freddo e chiusi in una cuffia di raso o seta per evitare lo sfregamento col cuscino, sulla faccia si mette una maschera di silicone che permette alle creme di penetrare in profondità, vengono applicati sotto agli occhi dei cerotti per “modellare” il naso, la fascia per la riduzione del doppio mento che si aggancia sulla sommità della testa, spalmati sulle sopracciglia e le ciglia sieri per aumentare la crescita e la densità, e infine si procede con il mouth taping, l’applicazione di uno scotch apposito sulla bocca che costringe a respirare dal naso, un’abitudine che si pensa aiuti a sgonfiare il viso e migliorare il sonno, quindi la pelle.
A questa follia Dazed ha dedicato un articolo apparentemente divertente, in realtà abbastanza drammatico, dal titolo “Is anyone having sex after their 12-step night time skincare routine?”. L’autrice dell’articolo, Serena Smith, ha interpellato proprio Jessica De Fino: «La cultura della bellezza incoraggia le donne (principalmente) a dare priorità all’estetica rispetto all’erotismo, ad apparire sexy piuttosto che a sentirsi sexy», spiega lei. “Everyone is beautiful and no one is horny”: era il titolo di un articolo pubblicato nel 2021 su Blood Knife che, in realtà, parlava di cinema, ma descrive perfettamente la fase di “recessione sessuale” a cui, secondo i sondaggi, stiamo assistendo. «La cultura della bellezza ci porta a preoccuparci costantemente del nostro aspetto», continua De Fino, «alcuni studi dimostrano che le donne distratte dai pensieri sul proprio aspetto durante il sesso possono provare una minore soddisfazione sessuale e orgasmi meno costanti».
Beautiful
«You are beautiful, no matter what they say», cantava Christina Aguilera nel 2002. La canzone si chiamava “Beautiful”, il video (diretto da Jonas Åkerlund) mi faceva piangere. Lo passavano su Mtv quando avevo 15 anni. Da almeno tre soffrivo di binge eating disorder. Nel video c’era una ragazza anoressica che spaccava uno specchio, un ragazzo dark coi piercing che saliva sull’autobus e tutti lo guardavano male, due gay che si baciavano, un uomo che si vestiva da drag queen. Cara Christina, la tua canzone non ha funzionato, né per te né per me: venticinque anni dopo, tu vai per i cinquant’anni ma ti sei fatta ricostruire i connotati per assomigliare a te stessa quando ne avevi venti, io continuo a soffrire di binge eating disorder. Qualche anno fa mi sono fatta scrivere la parola “Beautiful” su una mano: è un tatuaggio davvero brutto, me l’ha fatto un mio amico artista che non aveva ancora imparato a tatuare. Non lo cancellerò mai, magari a furia di leggerlo mi convinco. Per ora ha funzionato ancora meno della canzone. A nostra discolpa, cara Christina, possiamo dire che quello che ci circonda non è stato d’aiuto, e continua a non esserlo.
Questo articolo è tratto dal nuovo numero di Rivista Studio, “Ultracorpi“. Potete acquistare una copia in edicola, nelle librerie selezionate e qui, sul nostro store.

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