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Vederci lungo

Warby Parker è la start-up americana che sfida i colossi dell'occhialeria bypassando i rivenditori per puntare sul prezzo, senza dimenticare lo stile e, ovviamente, il web.

13 Dicembre 2013

Nell’estate del 2008 David Gilboa dimenticò i suoi occhiali da vista sull’aereo che lo aveva portato a Chang Mai, in Thailandia. Erano di Prada, avevano una montatura in titanio nero e costavano 700 dollari. Quando se ne accorse, l’allora studente ventottenne di Wharton, business school della University of Pennsylvania, cominciò a riflettere: non poteva credere di averli lasciati a bordo, ma soprattutto non si capacitava di aver speso 700 dollari per un paio di occhiali.

Qualche mese più tardi cominciò a condividere quel pensiero con i compagni di università. Uno di loro si chiamava Neil Blumenthal e per cinque anni aveva diretto VisionSpring, organizzazione no-profit che aiuta le comunità più povere nei paesi in via di sviluppo a costruire e vendere occhiali da vista economici. Insieme ad altri due compagni di università, Andrew Hunt e Jeffrey Raider, i due cominciarono a passare le notti bevendo birra alla ricerca di un’illuminazione per scardinare l’industria ottica.

Davanti a quei boccali di Yuengling, il più vecchio birrificio d’America, è nata Warby Parker, start-up fondata nel 2010 che deve il proprio nome a due personaggi apparsi nei diari di Jack Kerouac. L’idea dei quattro studenti era semplice: tagliare gli intermediari per ridurre i prezzi. Così hanno cominciato a vendere – esclusivamente online e per ora solo negli Stati Uniti e in Canada – montature e lenti graduate ad appena 95 dollari, usando gli stessi produttori cinesi delle grandi aziende.

In tre anni Warby Parker è diventato un brand di successo. Nel 2010 ha superato l’obiettivo di vendite del primo anno in sole tre settimane, ritrovandosi costretta a mettere in lista d’attesa 20mila clienti. Dopo mesi passati a lavorare in un appartamento di Philadelphia, i quattro trasferirono il quartier generale a New York, seguendo una precisa strategia di marketing, fondata su design e centralità del cliente.

Questa è la storia romanzata dell’azienda, così come amano raccontarla i suoi fondatori, eroi moderni del marketing capaci di rendere cool un marchio puntando sull’e-commerce, su uno stile seducente e su un prezzo modico. Ogni dettaglio, a Warby Parker, è studiato a fondo: le montature vintage e unisex – 54 da vista, fra cui un monocolo, e 24 da sole – hanno nomi da country club ispirati alla storia o alla letteratura, come Huxley, Beckett e Roosevelt. Hanno attratto un pubblico giovane ed entusiasta e poggiano sui nasi di stelle del cinema come Ashton Kutcher e Ryan Gosling oppure di geni della statistica come Nate Silver. Persino il sindaco di New York Michael Bloomberg non ha resistito e ne ha indossato un paio durante una conferenza sulla Silicon Alley, l’universo newyorkese delle start-up.

Quando nell’aprile dello scorso anno ha aperto la prima boutique a SoHo, Warby Parker era già un simbolo culturale: nelle prime tre settimane oltre quattromila persone hanno affollato il negozio, con code fuori dalla porta nei weekend. A quello di New York si sono aggiunti poi un vecchio scuolabus giallo che gira gli Stati Uniti per promuovere il marchio e altri 14 showroom, dove gli occhiali si possono provare e al massimo ordinare online con l’aiuto dei commessi. Le montature Warby Parker, infatti, si acquistano solamente su Internet: si può caricare una foto sul sito per provarle virtualmente, e persino farsene inviare cinque in prova gratuita. Si ricevono a casa e si hanno cinque giorni per rispedire la scatola, già affrancata.

Secondo il rapporto annuale del 2012, Warby Parker ha 113 dipendenti: il 58 per cento arriva in ufficio in metropolitana, il 36 per cento a piedi e il 3 per cento in auto. Ognuno di loro, in media, ha tre occhiali da vista e 1,3 da sole. Nel quartier generale ci sono 136 sedie e scrivanie e durante i lavori di ristrutturazione sono stati abbattuti otto muri, che hanno allargato la sede di SoHo fino agli attuali 480 metri quadri.

Ogni numero viene segnalato con grande enfasi. Per quanto riguarda le vendite, però, c’è meno trasparenza. Le cifre sono segrete, ma almeno due dati sono certi: a febbraio Warby Parker ha chiuso un giro di investimenti raccogliendo 41,5 milioni di dollari, mentre a luglio ha annunciato di aver donato 500mila paia di occhiali alle comunità bisognose in giro per il mondo. L’azienda, infatti, attua la politica filantropica del “one for one”, donare cioè un paio di occhiali graduati per ogni paio venduto: una mossa pubblicitaria, ma anche la conferma che abbia venduto già 500mila paia di occhiali e ne abbia dunque messi in circolazione un milione in tre anni.

I numeri sono ancora troppo piccoli per scalfire le quote di mercato di giganti come Luxottica – al mondo oltre mezzo miliardo di persone indossa occhiali realizzati dall’azienda italiana, sostiene l’ad Andrea Guerra – ma l’industria osserva gli sviluppi con attenzione. Warby Parker, in prospettiva, potrebbe avere lo stesso devastante impatto che Netflix ha avuto su Blockbuster, colosso che prima ha sottovalutato il potenziale del piccolo concorrente, poi è stato costretto a dichiarare bancarotta. Intanto, seguendo il modello lanciato dai ragazzi di Wharton e basato sulla personalizzazione del prodotto a buon mercato e sulla centralità del cliente, l’e-commerce progetta il nuovo assalto alla old economy.

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