Una conversazione libera tra due Millennial su matrimonio gay, diritti acquisiti e diritti da conquistare, vite da privilegiati e vittimismo social, militanze vecchie e nuove e prospettive per il futuro.
Perché è un bene non rispondere alle mail
Nell’odierna società iperconnessa, il “sovraffollamento” della posta elettronica è un problema che riguarda praticamente tutti, ma forse dovremmo cambiare il nostro approccio all’argomento. The Atlantic mette infatti in discussione il modello “Inbox Zero”, coniato nel 2007 dal blogger Merlin Mann per invitare le persone a svuotare continuamente, o meglio a organizzare in maniera certosina le proprie email. Nonostante le centinaia di articoli a tema, la diffusione di programmi ad hoc come Polymail, Superhuman o Slack, riceviamo lo stesso sempre più messaggi, soprattutto dai software creati dalle aziende per contattare i consumatori: nel 2017 nel mondo sono circolate 269 miliardi di mail al giorno, un numero che entro il 2021 potrebbe crescere fino a 333 miliardi. L’articolo, ripreso di recente dal Guardian, sostiene invece che ogni tentativo di organizzazione sia inevitabilmente destinato a fallire, perché è impossibile tenere il ritmo dei messaggi inviati dalle società in possesso dei nostri dati. Inoltre, una risposta provoca un ulteriore aumento della posta in arrivo: come precisa un designer consultato, «rispondendo velocemente dai un’idea di reattività e la gente ti manda più messaggi”; una sorta di circolo vizioso, insomma.
La soluzione migliore è, al contrario, quella dell'”Inbox-infinity”, ossia accettare che la propria casella sarà perennemente intasata di posta, la maggior parte della quale non sarà mai neppure aperta; si risponde ai messaggi finché si può dunque, ignorando il resto. I sostenitori si dicono addirittura felici per le migliaia di messaggi che giacciono nell’account. Un primo step per passare al metodo in questione consiste nell’ammettere pubblicamente di avere troppa posta da gestire per rispondere con puntualità a ogni richiesta; si può cominciare scrivendo a familiari e altri amici, specificando di preferire un contatto telefonico. Un’alternativa è impostare delle risposte automatiche personalizzate tramite i software autoresponder: quella citata dall’Atlantic, usata dallo startupper Ryan Hoover, specifica ad esempio: «nel caso ci siano questioni urgenti, non esitare a contattare (…)». La soluzione prospettata dall’Inbox-infinity non è ovviamente applicabile ai contesti lavorativi, ma se ne evidenziano i vantaggi personali: innanzitutto, un calo dello stress associato all’apertura della posta in arrivo; in secondo luogo, il fatto che diminuendo frequenza e tipologia delle risposte, le persone siano più riconoscenti quando ne ottengono una; infine, la diminuzione del numero di email scambiate e, di conseguenza, del tempo trascorso su gmail & co.