Morte e resurrezione di Donald Antrim

È uscito finalmente anche in Italia il suo ultimo libro, Un venerdì di aprile. Una storia di depressione e sopravvivenza che lascia una sola certezza: Antrim è uno dei più grandi scrittori americani viventi.

07 Aprile 2025

Philip Roth, Cormac McCarthy, Paul Auster e David Foster Wallace sono morti. Pynchon è nelle storie della letteratura insieme a Don DeLillo. In Italia, dopo aver impresso nell’immaginario collettivo il suo mondo interiore, Philip K. Dick è uscito nei Meridiani Mondadori, consacrazione definitiva di un mito. Joyce Carol Oates è ogni anno nella lista dei possibili premi Nobel. Richard Powers, Jeffrey Eugenides, Donna Tartt, Louise Erdrich e Jennifer Egan hanno vinto il premio Pulitzer per la narrativa, a George Saunders è andato il Man Booker Prize. Stephen King e Jonathan Franzen, oltre ai riconoscimenti letterari, sono autori di best seller da milioni di copie in tutto il mondo. Già al debutto, hanno vissuto l’esplosione di una fama planetaria Jonathan Safran Foer, Dave Eggers e Bret Easton Ellis, tre star letterarie. Pur senza un’investitura lampante, Jonathan Lethem ha visto il suo romanzo Motherless Brooklyn trasformarsi in un film di Edward Norton, e ha ammirato i suoi personaggi con i volti di Willem Dafoe, Bruce Willis e Alec Baldwin.

Un’eterna promessa

C’è un solo scrittore che sembra rimasto – ingiustamente – una eterna promessa letteraria: Donald Antrim. Nel 1999 il New Yorker pubblica una lista dei migliori scrittori con meno di quaranta anni. Tra questi, Antrim. Alcuni della lista negli anni hanno visto la loro luce affievolirsi, Sherman Alexie, Ethan Canin, Edwidge Danticat, Tony Earley, Allegra Goodman, Matthew Klam, Chang-Rae Lee, Antonya Nelson, mentre altri nomi brillano ancora nel firmamento: Englander, Saunders, Chabon, Wallace, Franzen, Vollman, Moody.

Donald Antrim è nato nel 1958, a sessantasette anni ha scritto tre romanzi, il primo uscito trentadue anni fa, nel 1993. Poi ha pubblicato un memoir, sulla morte della madre, La vita dopo (2006). I suoi racconti, usciti sul New Yorker tra il 1999 e il 2014, sono stati raccolti nel libro La luce smeraldo nell’aria. Dieci anni dopo il libro sulla madre, arriva ora da Einaudi Un venerdì di aprile (in inglese il titolo è più esplicito: One Friday in April: A Story of Suicide and Survival). «Avevo scritto un libro su mia madre, sulla sua vita da alcolista e la sua rassegnazione alla morte, e sul mio ruolo di figlio, che doveva salvarla e l’aveva abbandonata. Avevo cominciato a scrivere l’anno dopo la sua morte, troppo presto per uscirne indenne. Il libro era una cronaca della morte della mia famiglia. Scriverlo era stato emozionante, ma pubblicarlo mi aveva messo a dura prova».

Un libro sulla depressione diverso da tutti gli altri

È un venerdì del mese di aprile quando Donald – così si chiama il narratore di questo nuovo libro – viene salvato dal tetto di una casa di Brooklyn mentre sta forse per lasciarsi andare nel vuoto. Prima e dopo quel venerdì c’è un uomo dolente. In alcuni giorni la sua mente è una trappola così feroce che non riesce a muoversi né a stare fermo. Frequenta dottori, centri medici, parla con pazienti dei reparti in cui si prendono cura dei loro pensieri e delle loro fragilità. Entra e esce dagli ospedali, riceve visite di amici. I ricordi lo trascinano avanti e indietro nella sua vita, le medicine e le terapie producono piccole alterazioni, a volte impercettibili miglioramenti. Stavo guarendo? si chiede Donald, che racconta: «Prendevo una benzodiazepina, il Klonopin, per l’ansia e l’insonnia. Mia madre era morta e avevo i calzini bucati. La luce mi feriva gli occhi e i rumori mi sembravano piccoli colpi secchi alla testa».

Un venerdì di aprile non è l’ennesimo libro sulla depressione. È un miracolo di grazia letteraria, assemblato con frasi perfette, la cronaca di lunghi ricoveri e di una progressiva e altalenante uscita dal buio, «durante il giorno uscivo in esplorazione, girando Brooklyn e Manhattan in lungo e in largo. Era estate, poi autunno, per strada c’era gente». La città di New York è di grande consolazione, anche per il lettore, che ha bisogno di respirare, di distogliere gli occhi dall’abisso: «Avevo il respiro affannoso e dolori in tutto il corpo. Scendeva la sera. Oltre i tetti di Brooklyn c’era Manhattan. I grattacieli avevano le luci accese». Le pagine di Antrim contengono emotività, sensibilità, bellezza, uno sguardo nostalgico sul mondo – rimpiange vecchi amori, vecchie case, amici persi – uno sguardo mai tetro: «La gente camminava sui marciapiedi e attraversava ai semafori. Era inizio primavera. Le case e i negozi erano allineati e gli alberi, alcuni già in fiore, rosa, viola, bianchi, stavano ben piantati. Ho riconosciuto Prospect Park, il mio quartiere, la mia via».

Una telefonata da David Foster Wallace

Un giorno, durante un ricovero, squilla il telefono. Gli passano David Foster Wallace. «Ti ho chiamato per una cosa: se i tuoi medici ti consigliano la Tec, devi farla». Donald teme che la Tec, terapia elettroconvulsivante, possa distruggere la sua capacità di scrivere, che gli porti via il suo carattere e i suoi ricordi. In passato ha incontrato Wallace – che si era sottoposto alla Tec negli anni ottanta – ha letto i suoi libri ma non sono amici. Si fida del consiglio di Wallace.

«Sentivo di aver attraversato un deserto, saltato un burrone, per così dire, di essere morto e resuscitato». Resuscitato è una parola importante, perché la Tec non è una bacchetta magica e le ricadute non mancano. Anche Gesù, dopo la resurrezione, mostra un corpo con le ferite indelebili, è coperto di piaghe, cicatrici. La resurrezione non cancella la morte.

I sintomi spariscono e si riaffacciano. Il lettore, per le cento di pagine di flusso senza divisioni in parti e senza capitoli, sta su quel tetto e torna nel passato di Antrim, nei traumi dell’infanzia che sono all’origine di tutto: «Cosa accade ai bambini trascurati? Da bambini non capiamo che la nostra solitudine e la mancanza di affetto diventeranno un destino, una solitudine che proveremo per tutta la vita». Scrivere, che per un lungo tempo è risultato a Donald “intollerabile”, a un certo punto torna una possibilità percorribile. Antrim troverà un giorno i riconoscimenti letterari che merita, o forse no. Troverà i tanti lettori che merita, o forse no. Di sicuro, i suoi libri sono sempre più belli e più strazianti e il suo nome merita di stare tra quelli dei più grandi scrittori americani.

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