Tokyo Sympathy Tower, il romanzo con il quale ChatGPT ha vinto il suo primo premio letterario

Subito dopo la vittoria dell'Akatugawa Prize, il Premio Strega giapponese, la giovane autrice Rie Qudan ha detto di essersi fatta aiutare dall'AI per scrivere il romanzo. E di essersi trovata benissimo.

17 Aprile 2025

Dopo l’assegnazione del prestigioso premio letterario giapponese Akatugawa Prize, la scrittrice Rie Qudan ha confessato di aver scritto il romanzo con l’aiuto di ChatGPT. «Ho intenzione di continuare a trarre vantaggio dall’uso dell’AI nella stesura dei miei romanzi, lasciando che la mia creatività si esprima al massimo», ha aggiunto. Curioso il fatto che il libro, ora uscito in Italia per l’Ippocampo, contenga però una restrizione: »Nessuna parte di questo libro può essere usata o utilizzata con l’intento di allenare tecnologie o sistemi di intelligenza artificiale». Restrizione che rimanda inevitabilmente alla lettera firmata da migliaia di scrittori per evitare che l’intelligenza artificiale possa imparare dai loro testi. Non lo accetta neanche chi se ne serve per produrre nuovi libri.

Cosa pensa una AI di Zaha Hadid?

Il romanzo si intitola Tokyo Sympathy Tower (Tokyo-to Dojo-to) e, senza le polemiche sulla composizione, si sarebbe distinto per l’intreccio tra architettura, etica e riflessioni sul linguaggio. Makina Sara è l’architetta incaricata di progettare un penitenziario per riabilitare chi ha commesso reati, una nuova idea di giustizia ha però bisogno di una nuova struttura. La torre di Tokyo del titolo dovrà trasmettere infatti “un’idea di pace e dignità”, e soprattutto empatia, parola perno del romanzo: «A distinguerci dagli animali non è il linguaggio, ma la capacità di provare empatia per i più vulnerabili».

Davanti a questa prigione si staglia lo stadio progettato dall’architetta Zaha Hadid, morta nel 2016, prima donna a vincere il più prestigioso premio d’architettura, il Pritzker Prize: «Rimasi a contemplarne la copertura, cangiante nel crepuscolo. Mi sentivo rapita e quasi un tutt’uno con quella superficie. Di solito non mi attirano i luoghi sacri, né sono un tipo troppo spirituale, eppure l’affusolata creazione di Zaha Hadid mi trasmetteva una sorta d’ineluttabile vibrazione. La copertura emanava una sublime energia mistica, come la cattedrale di Tange Kenzo». Le linee dello stadio emanano un potere magnetico sulla città e sulla mente di Makina Sara: «Era un miracolo che non mi stancavo di contemplare. La sua struttura emanava una tale vitalità che sembrava sul punto di mettersi in movimento, come un colossale organismo cresciuto nutrendosi della luce degli edifici e delle auto».

Una nuova Torre di Babele

L’ideazione della torre deve fare i conti con il contesto, in particolare deve dialogare in modo virtuoso con lo stadio, e deve immaginare il volto della città di domani («l’architettura deve guidare la città e orientarne il futuro») ma il tutto avviene all’ombra di un richiamo remoto, ciò che è accaduto con la torre di Babele, cioè con consapevolezza che le sfide architettoniche verso il cielo possono sempre generare confusione linguistica. Rie Qudan però, già dall’incipit, rovescia il mito di Babele: «Una nuova Torre di Babele. La costruzione della Sympathy Tower di Tokyo finirà per confondere le lingue allontanando le persone. Ma tale caos non nascerà stavolta dalla superbia di noi umani, mossi dai progressi architettonici ad avvicinarci al cielo suscitando l’ira divina. Abbiamo abusato del linguaggio, lo abbiamo plasmato, teso, filtrato a nostro piacimento, col risultato che nessuno capisce più nessun altro».

In questa atmosfera fantascientifica, viene messa in scena la relazione tra le due opere architettoniche: «La torre doveva armonizzarsi con lo stadio, essere una risposta alla sua domanda. Solo la fusione dei due elementi avrebbe completato il paesaggio urbano. Per trovare la risposta, bisognava capire la domanda di Zaha. Lo stadio era come una madre incinta in attesa di partorire la torre».

Si può dire che sia un romanzo utopico? È ambientato in un futuro in cui però qualcosa, del passato, è avvenuto diversamente. Le Olimpiadi infatti non si sono tenute nel 2020 ma nel 2021, e il progetto dello stadio di Tokyo nella realtà è stato revocato ed è passato da Zaha Hadid a Kuma Kengo. Esiste certamente un elemento utopico: nella torre i prigionieri non hanno obbligo di divise, scelgono i loro vestiti, leggono libri (all’ultimo piano, il 71esimo, c’è una biblioteca), vedono film. Uomini e donne vivono insieme, non sono separati. I miserabili sono trattati con grande rispetto.

Il coraggio di Rie Qudan

Il lettore impara a conoscere la protagonista anche grazie allo sguardo di un commesso, Takuto, un ragazzo più giovane di lei, un commesso di bell’aspetto di cui lei si invaghisce. Sarà lui a dare il nome alla torre. Per il resto, le uniche altre conversazioni avvengono proprio con l’intelligenza artificiale. Oltre ad essere usata per la scrittura del libro – sebbene l’autrice abbia detto di averla sfruttata solo per il 5 per cento – è anche inserita nella storia, come confidente della protagonista. Più volte si ha la sensazione che la scrittrice aspiri a fare con la letteratura ciò che Zaha Hadid ha fatto con i profili e con le curve di cemento delle sue opere sparse nel mondo, sembra vorrebbe avere quella stessa audacia, quella determinazione nello sperimentare forme nuove. La presenza di Hadid nel libro ha a volte il sapore dell’autobiografia o comunque di uno specchio in cui proprio l’autrice voglia riflettersi: «Hadid aveva un talento enorme, ma le sue idee erano così all’avanguardia che non sempre la realtà ha saputo accoglierle». È presto per dire quale sia il talento di Rie Qudan, il coraggio però non le manca.

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