Terry Jones se n’è andato martedì sera, nella sua casa nel quartiere di Highgate, nel nord di Londra. Aveva 77 anni e dal 2016 soffriva di una rara forma di demenza, l’Afasia primaria progressiva, una malattia neurologica che compromette la capacità di esprimere concetti. Quasi un contrappasso per uno che, come lui, aveva fatto della comunicazione la sua arma primaria. Perché Terry è stato il padre dei Monty Python – anzi, uno dei padri: gli altri erano Michael Palin, Eric Idle, John Cleese, Terry Gilliam e Graham Chapman (scomparso nel 1989) – il gruppo comico inglese più rivoluzionario e irriverente degli ultimi cinquant’anni. Un cocktail pazzesco dove i Fratelli Marx si mescolano a Lewis Carroll e Peter Sellers al teatro dell’assurdo. Un progetto comico colto e demenziale allo stesso tempo di cui Jones era una delle punte di diamante.
Attore, regista, sceneggiatore, ma anche presentatore tv e scrittore di libri per ragazzi, il suo nome completo era Terence Graham Parry Jones ed era nato a Colwyn Bay, località balneare del Galles nel 1942. Una sorta di Rimini, ma decisamente più triste, affacciata sulla baia d’Irlanda. Suo padre, Alick, all’epoca era nella Royal Air Force di stanza in Scozia. «Mi diceva che stava testando una diavoleria chiamata radar – racconterà in seguito – È venuto a trovarmi che avevo solo sette giorni, poi è stato spedito in India. La volta successiva che l’ho rivisto avevo quattro anni». A cinque si trasferisce con la famiglia a Claygate, nel Surrey, nella periferia di Londra. Alla radio ascolta The Goon Show, un programma comico che gioca col nonsense e si innamora di Peter Sellers, uno dei membri del cast. Decide che da grande farà l’attore ma finisce alla Royal Grammar School, Guildford. Non proprio l’Actors Studio di Lee Strasberg. «A scuola – ricordava – il preside cercava di dissuadermi dal lavorare nel cinema dicendomi che tutti gli attori erano omosessuali e indossavano scarpe di camoscio verde».
Viene accettato all’università di Oxford, anche se per qualche settimana pensa di passare all’acerrima nemica Cambridge, che a detta sua «ha uno splendido programma di poesia». Alla fine decide di rimanere dove è. E mai decisione si rivelerà più azzeccata. «Se avessi cambiato non avrei incontrato Mike Palin (futuro membro dei Monty Python, ndr), e la mia vita sarebbe stata diversa».
Recita alla Experimental Theater Club. Ai romanzi preferisce il teatro. Con Palin lavora a Hang Down Your Head and Die, spettacolo sulla pena di morte. È un successo: dopo la prima nel 1963, la pièce replica per sei settimane al Comedy Theatre nel West End un anno più tardi. La coppia funziona, tanto che il giornalista Robert Frost (che di lì a poco avrebbe intervistato Richard Nixon in un leggendario faccia a faccia televisivo) li nota e li porta alla Bbc dove scrivono i testi per la trasmissione The Frost Report. Il lavoro è tanto ma la paga misera. Così la strana coppia decide di collaborare ad altri programmi. Proprio negli studi del servizio pubblico di Sua Maestà ci sono anche John Cleese, Graham Chapman e Eric Idle. La svolta arriva nel 1967, quando ottiene la produzione di Do Not Adjust Your Set, un programma scritto e pensato per i bambini ma che alla fine viene visto soprattutto dai grandi (e fra questi, anche gli stessi Cleese e Chapman). Due anni dopo, nasce il leggendario Monty Python’s Flying Circus. Da quel momento nulla è più come prima. «Tornato a casa – ha ricordato Jones – ho detto a mio fratello che avevo trovato il titolo dello show. “Lo chiameremo il Circo volante di Monty Python”, ho urlato. Ma lui mi disse che con quel nome, lo show sarebbe durato ben poco».
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La serie è qualcosa di mai visto prima. Non segue alcuna regola. È politicamente scorretta ma intellettuale. I personaggi dei vari episodi sono totalmente strampalati. Terry è uno dei pilastri del progetto. È lui che propone la formula del “flusso di coscienza”, dove ogni sketch si lega al successivo senza battuta finale come si fosse all’interno di un loop senza fine. Destabilizzante. Ma il pubblico britannico apprezza. Se Cleese e Chapman tendono a sconcertare lo spettatore, Palin, Idle e soprattutto Jones preferiscono sorprenderlo. Basso, un po’ tarchiato, l’attore allora 27enne si traveste da casalinga disperata dalla voce stridula ma anche da uomo qualunque armato di bombetta, da organista con l’idiosincrasia per i vestiti o da Amazing Mystico, uno strano tipo che costruisce palazzi con la forza del pensiero. In una puntata interpreta il ruolo di un presentatore che concede ai concorrenti 15 secondi per riassumere Alla ricerca del tempo perduto di Proust. Tutto senza senso. Tutto geniale. «Il nostro obiettivo era quello di essere imprevedibili e di non ripeterci mai. Non volevamo essere inquadrabili in nessun genere». Missione compiuta.Nel 1971, cavalcando l’onda lunga del successo in tv, esce sul grande schermo And Now for Something Completely Different, una versione lungometraggio di Flying Circus, che sbarca anche in Italia senza troppo successo.
Ma il cinema in quel periodo è l’unico modo che i Python hanno per farsi conoscere oltre la Manica. Così nel 1975, decidono che è arrivato il momento di girare una pellicola tradizionale, con tanto di trama e personaggi. Si tratta di Monty Python e il Sacro Graal. Terry Jones lo gira non senza qualche divergenza di opinione insieme all’altro Terry del gruppo, l’americano Gilliam. «Non sapevamo cosa stessimo facendo e abbiamo insistito per farlo», dirà poi. Il film successivo arriva nel 1979 ed è Brian di Nazareth, prodotto da George Harrison (che appare anche in un cameo). A dirigerlo, stavolta è solo Jones. L’opera, visto il tema religioso, viene bandita in diverse città del Regno (Glasgow ha revocato il divieto solo nel 2009), ma il successo finanziario è totale. Tanto che gli agenti del gruppo chiedono a Terry e agli altri di pensare al plot di un’altra pellicola. «Fate subito un altro film e non dovrete più lavorare in vita vostra!». I sei li prendono in parola. Scelgono un’isola dei Caraibi per riunirsi e iniziano a scrivere una sceneggiatura: Monty Python – Il senso della vita esce nel 1983. Anche stavolta alla regia c’è sempre e solo Jones. Cult la scena in cui l’attore e regista interpreta Mr. Creosote, il ciccione al quadrato che al ristorante mangia all’inverosimile ma poi esplode “solo” per una mentina. L’opera vince il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Ma è l’ultimo atto della parabola del “pitoni”.