“Summer on a Solitary Beach” di Franco Battiato fuoriusciva dalle casse di uno stereo portatile che qualcuno aveva portato a bordo piscina e io ero arrivato sull’isola il giorno prima via Madrid da Milano. Oziavamo il pomeriggio, stesi al sole sulle sdraio del Royal Country Club di Tenerife, ascoltando da un cd masterizzato La voce del padrone, uno dei dischi che successivamente avrei più passato in radio o suonato in giro a feste e serate, nei locali o in discoteca.
All’epoca avevo ventiquattro anni, nulla sapevo di Battiato, di new wave, di misticismo sufi o di buddismo tibetano, eppure quell’album mi colpì così profondamente che per un po’ di mesi non riuscii ad ascoltare altro. Pubblicato nel 1981, a chiusura di un’ideale trilogia iniziata nel 1978 con L’era del cinghiale bianco e proseguita nel 1980 con Patriots, La voce del padrone è stato il più grande successo di Battiato, l’album che ha trasformato di colpo il musicista d’avanguardia in una popstar in grado di vendere milioni di dischi.
Al suo interno conteneva capolavori come “Centro di gravità permanente”, “Bandiera bianca”, “Cuccuruccucù”, anche se il mio pezzo preferito continuava a essere il primo che avevo ascoltato, quel “Summer on a Solitary Beach” che sembrava dedicato, in quell’esatto momento della nostra vita, a quelli come noi che trascorrevano l’estate “su una spiaggia solitaria”. Qualunque essa fosse.
La nostra per l’esattezza, durante quella vacanza alle Canarie, si chiamava Benijo, ed era una incontaminata spiaggia di sabbia nera incastonata tra le rocce di Benijo e della Rapadura, a nord dell’isola. Non c’erano docce, negozi, lettini e nemmeno taverne, lungo tutti i suoi trecento metri, frequentati per lo più da nudisti, surfisti e fricchettoni di ogni tipo che, ogni tanto, si divertivano a colorarsi la faccia con dei segni blu tipici dei capi indiani.
Adoravamo quel posto e a volte ci sembrava sul serio che, come nel pezzo di Battiato, in qualche modo il sole ci nutrisse, mentre facevamo avanti e indietro dall’acqua con in testa degli improbabili cappelli di paglia e al collo collane colorate straricche di ciondoli, aspettando che il tramonto colorasse tutto di rosso. “Summer on a Solitary Beach” suonava tutti i giorni, a qualsiasi ora, anche quando, ormai cotti dal sole, ci rifugiavamo nell’appartamento al Country Club, che nella nostra testa avevamo trasformato in un avamposto piratesco affiggendo a una balaustra al suo ingresso una bandiera dal vago sapore salgariano, con sopra disegnata una gigantesca tigre, che qualche notte prima avevamo rubato da qualche parte.
Le canzoni, come alcuni profumi, hanno talvolta lo straordinario potere di riportarti indietro nel tempo e farti rivivere esattamente un particolare momento, di farti riassaporare le sensazioni provate in un preciso attimo e magari di riportarti di fianco le persone con le quali le ascoltavi. “Summer on a Solitary Beach” ha su di me l’effetto di farmi tornare alla mente Allegra, Tenerife e quell’estate del 2004. Vivevamo in una bolla, in un non-luogo, se fosse dipeso da noi saremmo rimasti a Tenerife per sempre, ascoltando quella canzone a ripetizione. Eravamo fidanzati con qualcun altro? E che ce ne importava. Volevamo solo stare assieme e cantare, «Mare mare mare voglio annegare / Portami lontano a naufragare / Via via via da queste sponde / Portami lontano sulle onde».
Se ripenso oggi a quei giorni credo siano stati gli unici in cui sono stato veramente felice: «A wonderful summer on a solitary beach/Against the sea, Le Grand Hotel Sea-Gull Magique». Sono passati vent’anni da quell’estate, ogni tanto però quel disco con in copertina Battiato, che appare come sospeso, in giacca e cravatta, con i sandali, e con una sfilza di palme alle spalle, lo ascolto ancora, senza skippare, anche quando mi parte casualmente nelle cuffie, come adesso, all’aeroporto di Atene, mentre al gate aspetto che chiamino l’imbarco del mio volo per l’isola. Un’altra isola, un’altra estate, alla ricerca dell’ennesima spiaggia solitaria.
Ognuno di noi ha un libro, una canzone, un film che associa all’estate. “Cose d’agosto” è una raccolta di articoli in cui le autrici e gli autori di Rivista Studio raccontano questo loro feticcio estivo, che sia intellettuale o smaccatamente pop.