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Cosa pensano di Succession i Ceo delle grandi aziende americane
Questa notte negli Stati Uniti è andato in onda l’ultimo episodio di Succession, uno dei finali più attesi nella storia recente della televisione hollywoodiana. Per il pubblico italiano, che l’episodio potrà vederlo questa sera su Sky e su Now, in questo momento i social sono un campo minato di spoiler: è praticamente impossibile trascorrere cinque minuti su Twitter o su TikTok senza imbattersi in un commento per parole o con immagini sulla fine della saga della famiglia Roy. Tra coloro che commentano Succession ci sono anche i Ceo, quelli veri: la serie, d’altronde, è stata apprezzatissima – tranne che da Rupert Murdoch, probabilmente la principale ispirazione del creatore Jesse Armstrong – anche per la sua verosimiglianza e per la capacità di trasformare in narrativa alcune delle figure chiave e dei momenti fondamentali del capitalismo americano. Logan Roy è diventato una sorta di “specchio” in cui tutti i capitani d’industria americani hanno visto riflessa la loro immagine: «Sicuramente non ho intenzione di uscire di scena come lui», ha twittato, per esempio, il Ceo di Morgan Stanley James Gorman all’inizio di maggio. Gorman vive una situazione piuttosto simile a quella del patriarca Roy: in carica ormai da tredici anni, per la sua successione ha individuato tre possibili candidati, tra i quali entro la fine di questo anno sceglierà il prossimo amministratore delegato della banca. Nonostante Gorman abbia detto di non voler ripetere gli errori di Logan – vale a dire: trascinare troppo a lungo la scelta dell’erede – anche lui come, come il suo “surrogato” televisivo, non ha intenzione di lasciare davvero e del tutto: ha già annunciato, infatti, che anche dopo la fine del suo mandato di Ceo, resterà in Morgan Stanley come executive chairman.
Ovviamente, il tema della successione tocca da vicino tutti gli amministratori delegati dei giganti del capitalismo americano. «Non posso andare avanti per sempre, lo so bene, ma la dedizione è la stessa. Quando non ce l’avrò più, so già che dovrò andarmene», ha detto un altro “grande vecchio” della finanza Usa, Jamie Dimon, Ceo di JP Morgan da 17 anni. A chi gli chiede quando, nelle sue previsioni, il momento di andare via arriverà, Dimon risponde in una maniera abbastanza simile a Logan nel primo episodio di Succession, quello in cui annunciava a Connor, Kendall, Shiv e Roman la sua decisione di rimanere sia Ceo che presidente della Waystar. «Tra due anni. Cinque. Dieci», diceva Logan, canzonando soprattutto Kendall. Dimon ha già detto che, nonostante la sua banca abbia ovviamente già preparato il piano per la sua successione, lui ha intenzione di rimanere in carica almeno altri tre anni e comunque fino a quando se la sentirà. Un atteggiamento condiviso anche da tanti e tante colleghe: Indra Nooyi di Pepsi, Mary Barra di General Motors, Bob Iger di Disney, con minime variazioni sul tema, tutti loro condividono il metodo Logan Roy, quello secondo il quale «stability wins».
C’è chi ha visto in Succession una conferma di opinioni che già aveva sul tema dell’eredità. Elon Musk, per esempio, ha detto più volte che non ha nessuna intenzione di ritrovarsi in uno “scenario Roy”, in cui a contendersi i pezzi del suo vasto impero – Tesla, SpaceX, Twitter, solo per citarne le province più vaste – saranno i suoi figli (anche perché sarebbe una battaglia gigantesca, avendo lui messo al mondo nove figli): «Di certo non sono uno di quelli che credono che la cosa migliore da fare sia necessariamente lasciare ai figli la proprietà delle aziende dei padri, soprattutto se i figli non mostrano alcun interesse o inclinazione o capacità di gestire queste aziende. Penso sia un errore», ha detto Musk. Chissà se il finale di Succession gli farà cambiare idea.