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Ci sarà un sequel di C’era una volta a… Hollywood diretto da David Fincher, scritto da Quentin Tarantino e con protagonista Brad Pitt Il film racconterà la storia di Cliff Booth, il personaggio interpretato da Pitt nel film di Tarantino del 2019.
Prada ha aperto un ristorante ispirato ai film di Wong Kar-wai Si trova a Shangai e riproduce l'atmosfera dei film del regista di "In the Mood for Love".
La ministra della Giustizia americana vuole la condanna a morte per Luigi Mangione Ha inviato una comunicazione ai procuratori federali, chiedendo la pena di morte per quello che definisce «un terrorista».
Per aspera ad astra è il tema dell’edizione di C2C Festival che renderà omaggio a Sergio Ricciardone I biglietti saranno acquistabili da sabato 5 aprile.
È morto Val Kilmer, la rockstar della Hollywood degli anni ’80 e ’90 Aveva 65 anni e da tempo si era ritirato dalle scene a causa di un cancro alla gola.
C’è un pesce che si è evoluto appositamente per evitare di avere a che fare con i suoi simili Si chiama tetra messicano (Astyanax mexicanus) e ci ha messo 20 mila anni per raggiungere questo notevole risultato.
Nei biopic sui Beatles di Sam Mendes ci saranno tutti i boni preferiti di internet Harris Dickinson interpreta John Lennon, Paul Mescal sarà Paul McCartney, Barry Keoghan è Ringo Starr e Joseph Quinn farà George Harrison.
Adolescence verrà mostrato in tutte le scuole medie inglesi Un'iniziativa appoggiata dal Primo ministro inglese, Keir Starmer.

Il modello “tutto e subito” è lusso?

Comprare capi e accessori subito dopo la sfilata: perché gli esperimenti sulle passerelle di questi giorni dicono molto dell’idea di lusso della nostra epoca.

21 Settembre 2016

Prendiamola alla lontana, anzi alla lontanissima. Nella timeline di chi scrive (che no, non ha nessuna valenza sociologica), si commenta molto in queste ore l’ultima uscita di Flavio Briatore durante un incontro organizzato a Otranto. L’obiettivo era discutere di futuri modelli di sviluppo del turismo e la frase che più è rimbalzata sui social è stata quella con cui Briatore spiegava chi è il «ricco» che lui incarna e conosce. «Ci sono persone che spendono dieci, ventimila euro al giorno quando sono in vacanza, ma a questi turisti non bastano cascine e masserie, prati e scogliere: vogliono hotel extralusso, porti per i loro yacht e tanto divertimento». Come a dire, basta con questi corsi di orecchiette e tombolo, masserie affrescate e cibo a chilometro zero: i ricchi, quelli veri, cercano tutt’altro, vogliono tutto e subito, l’hanno sempre fatto. Con un volo pindarico giustificato probabilmente solo dal mio essere pugliese, il pensiero semplice ma conciso del saggio Flavio, che sicuramente rappresenta una parte dei facoltosi del mondo, potrebbe trovare un qualche riscontro con gli esperimenti che stiamo vedendo in questi giorni su molte passerelle. Ma forse conviene spiegarsi meglio.

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Da New York a Londra, le collezioni per la Primavera Estate 2017 hanno segnato quello switch di cui si è parlato tanto lo scorso anno, quando si provava a capire dove stesse andando l’industria e quale fosse il “nuovo ordine” della moda. Lo chiamano modello del see-now, buy-now, venni, vidi e comprai, e nella scioltezza del motto è racchiusa la (semplice) idea di fondo: perché aspettare sei mesi per avere qualcosa, quando posso farlo mio con un click subito dopo lo show o recandomi nel negozio giusto? Perché lasciare che escano prima la versione diluita della pre-collezione o, peggio ancora, il copycat del fast fashion, prima che io possa mettere le mani su un oggetto per il quale spenderò una somma considerevole? Lo si è detto fino allo sfinimento, i tempi dell’esclusività della sfilata, del timore di essere copiati, dell’evento per pochi, sono irrimediabilmente passati e sia ben chiaro, non dev’essere per forza un male. Non lo è innanzitutto per l’industria stessa, che dal cambio di paradigma di cui sopra può ricavare nuova linfa, né lo è per il cliente. È più prosaicamente lo specchio del tempo in cui viviamo e il riflesso delle nostre abitudini di consumo, i cui effetti si spalmano anche laddove, per definizione, la massa non arriva: in questo caso l’abbigliamento di lusso.

Il grande problema è piuttosto il fatto che non esiste un’unica ricetta che vale per tutti, com’era quella della sfilata, dell’atelier, dei marchi portabandiera di questa o di quella classe sociale privilegiata: l’influenza di quelle sfilate, allora sì benefica, era solita arrivare come una manna dal cielo anche all’ultimo dei cataloghi di pronto moda, senza che nessuno ne fosse troppo cosciente, come d’altronde insegna mirabilmente il maglioncino blu de Il diavolo veste Prada. Poi sono arrivate le catene di abbigliamento low-cost, che hanno imposto i loro ritmi serrati e, fra le altre cose, hanno contribuito a dare uno scossone a quel modello. Siamo ora in una fase in cui i marchi provano a sperimentare con le diverse modalità a loro disposizione e gli show di questi giorni ne sono la dimostrazione. Tommy, che ha perso l’Hilfiger come Saint Laurent ha perso l’Yves, ha puntato tutto su Gigi Hadid e i numeri gli hanno dato ragione: 80 mila visitatori sul sito TOMMYNOW nel giorno della sfilata,+220% delle vendite online, +60% di vendite nei negozi e traffico del sito a +420% rispetto alla stessa data dell’anno precedente. Prezzi abbordabili, capi appetibili a un pubblico vasto e giovane che ha l’e-commerce nel sangue, la sfilata-carnevale che è andata bene sui social, Gigi che piace a tutti: l’idea funziona nell’ottica del marchio, chapeau.

Non si può dire la stessa cosa per Ralph Lauren, come ha scritto Cathy Horyn sul New York: «[questo modello] funziona per i brand di fascia medio-alta ma potrebbe finire per intaccare quell’appeal che hanno marchi del lusso». Alexander Wang, allora, ha optato per la collaborazione con adidas Originals, che arriva sì nei negozi la primavera prossima, ma è stata distribuita a New York in un camion adibito a pop-up store il giorno dopo la sfilata. Un altro modo di ridisegnare l’esclusività, di far crescere l’hype, mentre la collezione core rimane nei ranghi sperimentati. Hanno reso le proprie collezioni immediatamente disponibili anche Tom Ford, Versus Versace e Prabal Gurung fra gli altri. E poi c’è stato Burberry a Londra, che a quello switch ha dato il via con l’annuncio dello scorso febbraio. Primo esempio di direttore creativo-Ceo, Christopher Bailey si è dimesso da quest’ultimo ufficio lo scorso giugno, tornando a supervisionare il prodotto, esempio di come una direzione precisa, oggi come oggi, di fatto non esista. Il ritorno alle sue mansioni gli ha giovato e la collezione, seppur ripetitiva, è piaciuta a molti.

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Jo Ellison sul Financial Times ha notato come una sua vicina di posto indossasse un completo pigiama come quelli che sfilavano in passerella: Bailey, infatti, aveva già realizzato una capsule per Barney’s basata sui capi chiave della collezione, così come TommyXGigi era stata già vagliata dai buyer lo scorso gennaio, come ha dichiarato lo stesso Hilfiger al New York Times. Quei passaggi intermedi della catena produttiva, quelle persone che selezionano i maglioncini blu, insomma, non possono scomparire del tutto: piuttosto, saranno sottoposti a nuove scadenze e a nuovi ritmi lavorativi. E poi vabbé ci sono gli altri, quelli che hanno deciso che il lusso è un’altra cosa, che si può aspettare, che alla fine sono un po’ come quelli che in Salento ci vanno di questo periodo: in fondo, è una questione di scelte.

In testata: finale della sfilata Primavera Estate 2017 di Burberry a Londra, foto di Jeff Spicer/Getty Images; nel testo: Gigi Hadid in un momento della sfilata TommyXGigi a New York, foto di Mike Coppola/Getty Images for Tommy Hilfiger; presentazione della capsule collection di Alexander Wang per adidas Originals durante la sfilata Primavera Estate 2017 a New York, foto di Angela Weiss/AFP/Getty Images.
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