Una conversazione libera tra due Millennial su matrimonio gay, diritti acquisiti e diritti da conquistare, vite da privilegiati e vittimismo social, militanze vecchie e nuove e prospettive per il futuro.
Com’è nata la stretta di mano
«È proprio quando ti viene detto di non fare qualcosa, che inizi a chiederti perché lo fai», afferma Mary Beard su Tls, prima di ripercorrere la storia di uno dei gesti più comuni diventato in tempi di Coronavirus oggetto di stigma sociale: la stretta di mano. Mentre noi abbiamo provato a salutarci come nella scena dell’addio alla stazione in Frankenstein Junior, gomito a gomito, Beard ha analizzato il significato del gesto nella sua accezione di saluto occidentale, avvalendosi dell’arte e dei testi antichi.
«A Roma il gesto era noto come “dextrarum iunctio”, o “l’unione delle mani giuste”, usato come simbolo di vicinanza, affetto o fiducia, ma non per salutarsi», scrive. Nell’antica Grecia e nell’antica Roma infatti, il modo di salutare era legato in parte a una questione di status. «Se avessimo incontrato qualcuno di livello più elevato, e avessimo dovuto chiedergli un favore, molto probabilmente ci saremmo inginocchiati per terra e lo avremmo stretto attorno alle ginocchia. Come una sorta di inchino». Nel caso in cui avessimo incontrato qualcuno al nostro stesso livello sociale, invece, «probabilmente lo avremmo baciato sulle labbra o sulle palpebre».
Per quanto riguarda la stretta di mano come saluto, quale tipica usanza occidentale, una spiegazione è offerta da Regni dimenticati di Gerard Russel (Adelphi), con riferimento alla campagna militare contro l’Impero partico (erede dell’Impero persiano di Ciro) lanciata dal plutocrate romano Crasso nel 53 a.C., «una guerra che ha plasmato il nostro mondo tanto quanto il loro», scrive Russel, autore ed ex diplomatico britannico e delle Nazioni Unite. «Nel corso di quella guerra si verificò un singolare incontro transculturale. Nel Primo secolo d.C. la Turchia meridionale cadde per la prima volta preda dei romani. I legionari che vi si erano stanziati si imbatterono in una religione a loro totalmente sconosciuta. Si direbbe che la trovassero attraente: quando tornarono a Roma, ne portarono con sé una loro versione. Era il culto del dio Mitra, e aveva una certa somiglianza con la religione degli yazidi, i più vicini dei quali vivono oggi duecento chilometri a est di Harran», e di cui nessuno studioso conosce per intero la storia. «Entrambe le religioni ingiungevano di pregare tre volte al giorno, di riverire il sole, di indossare fasce speciali e di sacrificare tori. Infine, gli adoratori di Mitra si definivano “quelli uniti dalla stretta di mano”».
È opportuno ricordare infatti che all’epoca in cui il culto di Mitra divenne oggetto di attrazione a Roma, la stretta di mano, come affermava Mary Beard, non era ancora quel gesto consueto di saluto che è diventato in seguito in Occidente. Anzi, «sembra che lo sia diventato proprio grazie ai mitraisti», continua Russel, «per i quali costituiva un rituale di appartenenza al gruppo come lo è oggi per gli yazidi». Nonostante il culto di Mitra finì per sparire quando il cristianesimo iniziò ad affermarsi nell’Impero, il gesto è sopravvissuto, sebbene «interamente privato delle sue risonanze mistiche».