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Morale della favola

La sentenza di risarcimento in libri da leggere per una ragazza finita in un giro di prostituzione è un segno brutto di come viene considerata la lettura in Italia.

27 Settembre 2016

Un risarcimento in libri invece che in soldi da spendere. È stata la sentenza del giudice del Tribunale di Roma per la ragazzina minorenne finita nel giro della prostituzione del quartiere romano dei Parioli. Li comprerà alla quindicenne uno dei suoi clienti, che sarà giudicato per prostituzione minorile. Un risarcimento alla ragazza che sembra più una punizione che un risarcimento. I libri riguardano la storia e il pensiero delle donne.

Il giudice Di Nicola ha dunque scelto chiaramente di dare alla ragazza una lezione morale. Ma la sentenza fa inevitabilmente riflettere sulla percezione dei libri oggi in Italia. Molto diversa dal ruolo che i libri hanno spesso rappresentato in passato. Quando i libri fanno il loro dovere, infatti, destano sospetti, sono censurati, a volte proibiti dai genitori, tanto che per farli circolare si è costretti a ricopiarli, a fotocopiarli, a leggerli di nascosto. La forza e l’attrazione dei libri è arrivata a volte proprio dalla loro esistenza clandestina. I libri possono sedurre perché si fanno carico di pensieri eversivi, di teorie illecite, spingono alla diserzione, alla rivolta, mettono in crisi i valori correnti. Sono osceni, oscuri, devianti. Pochi decenni fa i libri erano ancora circondati da un’ombra ambigua. Erano scritti da poeti maledetti, erano dettati dall’uso di droghe o alcol, e la loro pubblicazione suscitava preoccupazione. Solo quando mantengono un lato misterioso e pericoloso non perdono la loro naturale virtù: dispiacere.

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Bene che i libri siano letti, ma è un dolore che siano ormai ritenuti binari su cui lanciare una vita ordinaria, modellata sulla buona condotta, triste che siano sinonimo di sane regole della società. Non si deve mai infatti dimenticare che i libri possono iniettare il virus di comportamenti asociali o autodistruttivi e possono finire nei roghi. Poveri poeti tragici, poveri romanzieri suicidi, si dispererebbero ulteriormente se sapessero che i libri sono oggi ridotti a mattoni per costruire identità sagge ed equilibrate. Povero Verlaine che sparò un colpo di pistola a Rimbaud, e povero Baudelaire, processato per un libro di poesie, processato con l’accusa di offendere la morale pubblica. Poveri poeti italiani della scapigliatura, la vostra esperienza è stata vana, nessuno si ricorda più del 6 febbraio 1862 quando si celebrava una vita sregolata ed eccessiva. Povere poetiche ribelli e rivoluzionarie concepite a ogni latitudine, e cadute nell’oblio. Poveri autori imprigionati e uccisi per aver pubblicato libri scomodi e scandalosi. Povera Edna O’ Brien e i suoi libri considerati “immondi”.

Troppe campagne di promozione alla lettura non fanno che costruire l’immagine dei libri come medicinali, oggetti da terapia dell’umore, cibi sani senza zucchero e senza sale che nessuno vuole ingerire. Più si insisterà nello spingere i ragazzi a leggere, più questo mantra mostrerà l’inevitabile risultato controproducente. Bisogna ripensare anche alla vera natura dei libri, nemici del buonsenso, amici di una moralità irregolare, indecenti, boccacceschi, capaci di corrompere. In questo, gli scrittori potrebbero forse dare una mano: rinunciare alla visibilità, alle vetrine dei premi prestigiosi, cercare di essere allontanati e ripudiati dalla società. Morire in disgrazia. Sarebbe un gran bene, per i libri e per i lettori.

Foto Getty Images.
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