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Tra Lucio Corsi e Simone Cristicchi spuntano gli Olly Fans

Il bipolarismo italiano è tornato in scena a Sanremo, un Festival nel quale tutti si sono scelti una parte: a destra per Simone Cristicchi, a sinistra con Lucio Corsi. E alla fine ha vinto il Terzo Polo di Olly.

di Lorenzo Camerini

Il metodo Conti, procedere con ritmo incalzante e scarsa empatia per evitare fuoriprogramma pericolosi, funziona quasi fino alla fine, quando inciampa nel televoto che disegna una finalissima riservata solo agli uomini. Polemica. Il pubblico rumoreggia per l’assenza di Achille Lauro prima, e esplode per il sesto posto di Giorgia poi. Pernacchie e riprovazioni. Conti è sorpreso, si spazientisce. Ma è un attimo: vince Olly, il bravo ragazzo con la r moscia, e sistema tutto.

Se il Festival è lo specchio del Paese, anche in questa edizione con poco brio si è intravisto il tipico bipolarismo italiano, un po’ alla Ferie d’agosto di Virzì. Di qua Lucio Corsi, di là Simone Cristicchi. Il primo è entrato nel cast da autore di nicchia e finisce la competizione con centinaia di migliaia di follower in più, meritati, e il pass per diventare una celebrità. Lucio Corsi show: ha duettato con Topo Gigio omaggiando Modugno, camminato senza scorta dall’hotel al Teatro Ariston per la diretta con la chitarra nella custodia, come se stesse andando in sala prove, ha barattato una spilletta sul suo cappello con un vassoio di chiacchiere, ha suonato la chitarra in conferenza stampa e l’armonica nelle interviste in tele, prima di Sanremo ha incontrato i giornalisti nella sua osteria sincera di fiducia a Milano nord, piace a Franky Morbidelli, pilota di motociclismo, piace anche a mio papà, si veste da solo, ha messo le patatine confezionate nelle spalline del vestito per fare l’imbottitura, ha scritto online: questo è il mio codice, ma votate per chi volete tanto la musica non è una gara. Bingo. Arriva secondo, porta a casa il premio della critica Mia Martini, va bene così. Si è dimostrato un vero duro.

Dall’altro lato, il nemico pubblico più insospettabile: Simone Cristicchi. Nei giorni precedenti, mormorii pronosticavano la sua canzone fra le favorite. Amatissima dalla stampa, commozione alle prove. E poi? Un’intervista arrogantella, un breve concerto intimo nella Concattedrale di San Siro a Sanremo, qualche dichiarazione riemersa dal passato dove Cristicchi si dichiarava contrario alla maternità surrogata, un duetto insipido con la moglie, uno spettacolo sulle foibe nel curriculum. Apriti cielo. I commentatori social non hanno avuto dubbi: è di destra. Sono l’artista meno ascoltato su Spotify fra quelli in gara, ha provato a difendersi Cristicchi. Tutto inutile. Come ti permetti di usare tua madre per farci piangere? Qualche influattivista si è lamentata: noi donne accudiamo i deboli da sempre, e non ce ne vantiamo in una canzonetta. Pillon e Libero gli hanno manifestato solidarietà. Povero Cristicchi. Finisce la sua ultima esibizione in lacrime, un po’ provato. Vince il premio della sala stampa dedicato a Lucio Dalla, e arriva quinto.

Si torna sempre lì, è la solita Italia, divisa fra chi ha il busto di Mussolini in salotto ereditato dal nonno e chi tiene il vhs con i discorsi di Berlinguer nello scaffale in corridoio. Gerry Scotti, socialista durante la Milano da bere e poi berlusconiano, è lo zio di destra, Geppi Cucciari invece è la cognata simpatica di sinistra. Marcella Bella è di destra, vecchia storia, Massimo Ranieri è senza dubbio un gentiluomo di sinistra. Benigni si è definito di destra, addirittura un militante di Fratelli d’Italia, ma stava scherzando, in realtà lo sappiamo tutti che è di sinistra. I dirigenti e i funzionari in prima fila sono molto a destra, le conferenze stampa furbe di Elodie cercano l’applauso a sinistra. Bianca Balti è decisamente a sinistra, offendersi e fare una scenata se una maestranza ti chiede di levare le collane per esigenze di scena è di destra.

A proposito, lo sbarco in Liguria di Tony Effe ha suscitato interrogativi. Il tentativo del suo team di califanizzarlo non ha avuto l’effetto desiderato, anche senza curarsi del quintultimo posto in classifica. Forse “Damme ‘na mano” non era la canzone giusta per lui, chi lo sa. Durante la serata dedicata alle cover sembrava un tizio qualunque al karaoke che duettava per sbaglio con Noemi. Settimana confusa per Tony: debutta all’Ariston con look da bravo ragazzo e i tatuaggi coperti con trucco pesante, addirittura annuncia di volersene levare qualcuno con il laser. Ripulito. Poi, dal nulla, torna coatto per il collana gate, fa il permaloso, lo stizzito, viene preso in giro in diretta da Carlo Conti, diventa un meme. Infine, prova a rimediare con svolta ironica insincera, indossa la maglietta di Lucio Corsi e otto collane al collo in conferenza stampa. Mah. C’era bisogno di questa ospitata, dopo aver pubblicato il disco più venduto del 2024? No. Avrà ripercussioni negative sulla sua carriera? No, i suoi fan non si aspettano il cantautorato, e per fortuna a breve ci saremo dimenticati di questo progetto. Per favore Tony se ci incontriamo non picchiarmi, sono un ex piskelletto dark.

Fedez continua la sua Temptation Island City Life, è l’ex amante e l’ex marito che nessuna donna vorrebbe avere. Brunori Sas, probabilmente, ha fatto il Festival che avrebbe voluto fare Cristicchi, sempre con un bicchiere di vino in mano, lui invece è il padre e marito che tutte le donne vorrebbero avere, e vince il premio per il miglior testo. Joan Thiele meritava di più. Questi sono i bilanci. E la cronaca, la finale della settantacinquesima edizione, trequarti di secolo di storia, che desertifica le strade anche a Milano? Bah. Niente fronzoli. C’è il calcio, il monologo di Bove, l’unico concesso da Carlo Conti, tifosissimo della Fiorentina. Un surreale saluto ai campioni mondiali di curling. Due canzoni al volo di Venditti. Conti ha chiamato Alessandro Cattelan, ma solo per bullizzarlo: “Non sono ancora pronto per la pensione, ragazzo, stattene al tuo posto”. Tutto liscio, come detto, fino al finale thriller. Grazie al premio della Tim, Giorgia si prende la standing ovation di un Ariston adorante. Bromance totale fra i cinque finalisti: Fedez, Cristicchi e Brunori Sas lasciano il palco con abbraccioni di gruppo.

Ultimi due in scena, rimangono Olly e Lucio Corsi. Che cosa vuoi dirgli, sono bellissimi. Giovani, talentuosi, gagliardi. Frodo Baggins e Sam Gamgee, se proprio vogliamo abbracciare lo spirito dei tempi, con Tommaso Ottomano, il chitarrista di Corsi, nei panni di Merry e Pipino. Adorabili. Vince Olly, famiglia bene di Genova, ventitré anni ma già otto di gavetta alle spalle (a sedici pubblicò l’acerbo singolo rap “Chiara Ferragni”, ancora disponibile su YouTube). Ci sarebbe la polemica da cavalcare sulla manager di Olly, Marta Donà, che ha visto un suo assistito vincere in quattro delle ultime cinque edizioni del Festival, ma chissenefrega. Si torna alla vita normale, alle preoccupazioni per la nostra civiltà, affidata ai capricci tossici di Elon Musk. Con la consolazione che anche nei tempi più cupi avremo sempre il nostro sabba di inizio febbraio. E se la nostalgia è troppo balorda, basta pensare che mancano solo 360 giorni al prossimo Sanremo.