Per decenni a Caserta è stato l’argomento regale, e di molte generazioni. E ci credo, citta di caserme, una quantità sconfinata di suolo occupato dalle forze militari. Se tutte le strade portano a Roma, a Caserta tutte le strade incrociavano una caserma. Caserme vuol dir militari. Quelli in libera uscita affollavano le vie della movida (ma allora non si chiamava movida, bensì struscio), praticando la cosiddetta pusteggia alla militare. Che già la pusteggia era al tempo sfiancante, avvicinare una ragazza, elogiarla in tutti i modi possibili, pavoneggiarsi a dismisura: appunto una pratica sfiancante per tutti quelli costretti a praticarla dagli usi e costumi del tempo. Ma la pusteggia alla militare era ancora peggio.
A volte, durante i miei voli pindarici, immagino di portare un’attivista di oggi indietro nel tempo, a Caserta, durante gli anni ’80, per osservare i militari in libera uscita che praticavano la pusteggia alla militare. Anche il noto e biasimevole catcalling non è niente a confronto. Ragazzi appena 18enni, contadini senza futuro, universitari che invece volevano togliersi l’anno di naja il prima possibile, ragazzi che venivano da tutta Italia, con dialetti spesso incomprensibili, aspirati calabresi, raucedini meridionali, cadenze venete e friulane, arabeggianti siculi, stonati marchigiani o umbri, antipatici toscani e anche evidenti omosessuali bullizzati e depressi, tutti questi approcciavano una ragazza ripetendo a iosa: quanto sei bella, quanto sei bella, quanto sei bella, vuoi uscire con me. Così all’infinito.
La ragazza ovviamente non rispondeva e il silenzio era un assenso e quindi il militare continuava l’assedio, finché lei lo mandava a fare in culo e lui allora era felice, ché quanto meno una risposta l’aveva avuta. Quindi s’attaccava all’insulto e riprendeva: quanto sei bella, quanto sei bella, finché all’improvviso il militare mollava la presa e si rivolgeva ad un’altra passante. Chissà l’attivista di oggi alle prese con la pusteggia alla militare di allora. Che poi in pochi tra i militari avevano ascoltato De André che traducendo Brassen cantava le passanti, insomma nessuno di loro aveva una scusante poetica.
Per questo a Caserta è stato sempre l’argomento regale: Caserta era il luogo dove il tragico destino dei 18enni era già chiaro in anticipo. Se Kafka fosse cresciuto a Caserta avrebbe scritto i suoi straordinari racconti con più forza, altro che davanti alla Legge c’è un cancello: a Caserta era da subito chiaro che davanti alla tua vita c’era un anno da sprecare in una caserma italiana, un anno destinato alla pusteggia alla militare, a marciare, a fare la guardia all’armeria, e nemmeno lo avresti sfruttato per scrivere Pao Pao. Anzi, nel momento più bello della tua vita, quando la New Wave inglese ti stordiva e i Joy Division ti consigliavano di stare attento al pericolo, quando i Bronski Beat ti facevano notare che la vita di un omossessuale in una piccola città inglese era tragica, figurarsi quella in caserma, in questo momento così intenso di ribellione creativa, tu avresti obbedito e pronunciato “signorsì!”. E non si sa perché: faccio per dire, a Caserta si leggeva poco (anche se si sarebbe sviluppata un’avanguardia teatrale e letteraria e artistica niente male) ma tutti quelli che conoscevo, infanti, ragazzi adolescenti, adulti, nonni e centenari, citavano, a proposito della naja, il Deserto dei Tartari. Infatti a Caserta si conoscevano a memoria i giocatori di basket e Giovanni Drogo.
A Caserta capitava che in certi momenti di malinconia o in quei all tomorrow’s parties qualcuno ti raccontava di quello che ti attendeva allo scoccare dei 18 anni. Un bel giorno il postino, un po’ ridendo un po’ complice per il disagio arrecato, ti avrebbe consegnato la famosa cartolina con la quale andavi a fare la visita militare. E qui i racconti si sprecavano: tutti nudi a mostrare i testicoli, senza gioia. Tutti accalcati per i test, una bailamme linguistica, una confusione di classi sociali, contadini analfabeti e il sessanta/sessantesimi alla maturità che traduceva versioni all’impronta, tutti costoro erano ammassati e indispettiti, e affranti si chiedevano come in un racconto di Cechov: che ne sarà di noi?
Affranti, indispettiti, con questa spada di Damocle che per un anno avrebbe penzolato sulle loro teste, guardinghi e attenti a non farsi arrestare. Perché magari una cazzata la dicevi: c’era un tale per esempio che aveva detto ai colloqui con lo psicologo che il militare era un’attività inutile, ormai in guerra premevi un bottone e partiva il missile e il missile uccideva le persone e quindi non capiva questo spreco di risorse utilizzate per costruire caserme, cucinare una quantità di roba per battaglioni in nuce che siccome oggi in guerra premi un bottone e parte il missile, questi battaglioni sprecavano energie in occupazioni inutili che sciupano la parte migliore del tempo, una scempiaggine, di cui non rimane nulla, energie dissipate per fare la pusteggia alla militare, salutare la bandiera, marciare in piazze costruite per l’occasione, fare lavate di testa ai contadini analfabeti non appena avevi un po’ di potere e bullizzare il timido di turno, fare le guardie notturne col fucile Garand, tra l’altro scarico, che dovevi caricarlo manualmente e rischiavi che ti rimaneva il dito incastrato. Insomma, dopo aver detto tutto questo, quel tale aveva subìto punizioni indescrivibili, come il divieto della libera uscita e dunque l’impossibilità di praticare la pusteggia alla militare.
E quel qualcuno ti elencava altresì quello che poteva esonerarti dall’incubo della naja: essere figlio o fratello di militare deceduto in guerra, fratello di militare deceduto durante la prestazione del servizio; orfano di entrambi i genitori (primogenito); vedovo o celibe con prole, ecc. ecc. (o che venivi dalle zone terremotate e che eri interessato alla chiamata alle armi negli anni 1981 e 1982). Oppure che avevi un torace poco ampio, e conveniva quindi non fare troppa cultura fisica che poi ti crescevano i pettorali ed eri finito. O che eri omosessuale dichiarato e certo potevi dichiararti tale anche se non lo eri ma poi te lo scrivevano sul certificato di esonero ed eri ugualmente segnato, quindi diventavi omosessuale a vita.
Quel qualcuno non solo ti rovinava il tuo momento spleen, poi non pago prendeva a raccontare la sua esperienza di naja. Ed era tutta una marcia, tutta una guardia all’armeria, tutto una immobilità, tutti stratagemmi per far passare il tempo, tutta una pusteggia alla militare che poi qualcuno c’era davvero uscito con una ragazza e si erano sposati, quindi alla fine che costa tentare? Sprecare cento donne per conquistare una, ma del resto come si poteva impiegare quell’anno diversamente?
Ricordi sparsi che avevano varie declinazioni, tipo quello più adulto che andava nelle case chiuse e ti raccontava orribili particolari della seduta, roba che ti rimaneva in testa e molto spesso inquinava il tuo futuro rapporto con le altre persone. Quello che aveva portato il carrarmato o quello che aveva sparato e poi si era appassionato alle armi e ora ti raccontava le giornate passate al poligono di tiro, insistendo su certi particolari che poi ti fanno venire voglia di metterti nudo come John Lennon e Yoko Ono e gridare peace and love. O quello che alla fine aveva messo la firma ed era diventato militare, tanto i Joy Division comunque non li ascoltava. I ricordi del tizio ti annebbiavano, ti incupivano, quel nonsense della routine militare, quella costrizione, la tua vita che all’improvviso si incammina in un vicolo cieco e tutti a dire, pure se eri contadino analfabeta: siamo finiti alla Fortezza Bastiani – io non ho mai letto il Deserto dei Tartari perché è come se l’avessi letto.
Ecco detto tutto questo, a ricordare che a Caserta era circondata da caserme e che ascoltavo ogni sera uno struggente silenzio d’ordinanza e ogni sera pensavo che alla fine tutto finisce ed è necessario deliberare al meglio nella nostra vita, altrimenti siamo infelici e preda di passi che non sappiamo contare né tantomeno classificare; dicevo, ad osservare oggi quelle caserme vuote, quegli spazi liberati da carri armati, dai battaglioni, dalla pusteggia alla militare, quegli spazi che solo a volerlo con un po’ di fondi, potrebbero diventare parchi meravigliosi dove incontrarsi e celebrare, sotto piante magnifiche, lo spirito civico, quello sì, indispensabile per migliorare il nostro senso della decenza o dell’ordine, ecco a ricordare tutto questo, cosa volete che pensi della pessima idea di Salvini di far rivivere il passato, seppure con tempi dimezzati?