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Come dovrebbe essere il Salone del Libro

Lo spostamento a Milano della manifestazione deciso dall'Associazione editori è una conseguenza logica, perché il Salone andava e va radicalmente cambiato.

28 Luglio 2016

Il Salone del Libro viene rigettato dall’Associazione italiana editori. Le reazioni sono violente, emotive, brutali, scomposte. Io, però, da addetto ai lavori (autore, produttore culturale, collaboratore di riviste, direttore di una scuola, dieci anni fa ho persino fatto da assistente a Ernesto Ferrero alla programmazione del Salone) ancor più che da cittadino torinese part-time, non mi stupisco. Da anni scrivo e dico che il Salone va radicalmente cambiato, e che le persone chiamate a gestirlo ormai da decenni erano parzialmente inefficienti e distanti dal tono generale della cultura contemporanea. Ma non è solo una questione di professionisti inadeguati, ancorché galantuomini (Ferrero). Il problema è che la classe politica torinese e piemontese, sul Salone, ha sbagliato tutto.

Ieri ho riletto il testo integrale che, sulla sua richiesta di «lanciare idee», avevo inviato all’assessore alla Cultura della Regione Piemonte Antonella Parigi. Il motivo per cui è quasi inevitabile lo “scippo” e per cui lo ritengo la giusta conseguenza di una totale mancanza di visione contemporanea, sta nelle parole che seguono, ma soprattutto nel fatto che a queste parole non è mai arrivata una risposta di cortesia o di sostanza. Non dico che tutte le idee fossero da accettare acriticamente. Ma la triste vicenda del Salone, lo voglio dire chiaramente, è responsabilità quasi integrale di un gruppo di persone che non hanno saputo scommettere sulle idee nuove, che non hanno viaggiato abbastanza, che non hanno creduto abbastanza all’ambizione.

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Alla c.a. Assessore Antonella Parigi

SALONE DEL LIBRO 2016 > 2100

Il libro del futuro è integralmente multidisciplinare e viviamo in una società post-letteraria. Il libro è già ora un oggetto sociale quantistico: cartaceo ma anche virtuale, solido e insieme liquido, aspirazionale e nel contempo culturale. L’editoria deve cambiare prima di essere sommersa dal cambiamento in atto. Il tempo per leggere è cambiato radicalmente, ma mai come oggi c’è stata un’esplosione così virale e vitale del bisogno di raccontare storie. La necessità narrativa è ora pervasiva e frammentata. A guidarla non sono più le classiche discipline umanistiche ma la scienza e la tecnologia. Il libro è come un’isola in questa rete. Un luogo da cui si parte, cui si approda, non un fine ma un mezzo per una produzione di conoscenza diffusa, digitale, confusa, estrema, parcellizzata, potente, nella quale non c’è più posto per i muri tra una disciplina e l’altra. Per queste e altre ragioni il Salone del Libro deve cambiare. Ecco come, in 12 mosse:

1. Occupare meno spazio fisico.

2. Posizionarsi in modo più ambizioso: il centro per il libro ha fallito, e ormai la sfida è globale: invitiamo a Torino le menti migliori e più visionarie per discutere e proporre soluzioni. Il Salone non farà più traffico commerciale di Francoforte, ma può essere il luogo cool dove le persone migliori del mondo pensano a come traghettare nel XXI secolo la cultura del libro.

3. Essere più multidisciplinare e cross-disciplinare. Mettere al centro non la letteratura, non una disciplina, ma un dibattito pubblico e open-source in cui emergano i valori e le idee. Rinunciare a un po’ di popolarità in cambio di una fetta di rilevanza. A chi serve un public program in cui ci sono file immense per libri di calciatori e politici?

4. Il Salone dovrebbe selezionare le case editrici esattamente come le fiere d’arte selezionano le gallerie.

5. Il Salone deve diventare una piattaforma di lancio di idee pratiche e visioni per il futuro. Più tecnologia. Più arte, design e moda.

6. Il Salone deve parlare inglese per essere un vero appuntamento globale rilevante per il mercato editoriale e non solo.

7. Il Salone deve collaborare con le maggiori case di design per cambiare il proprio aspetto fisico.

8. Il Salone deve invitare Jeff Bezos a fare un keynote speech e dialogare con chi nell’editoria desidera agganciare e immaginare il futuro.

9. Il Salone deve distinguere in modo netto la gestione fiera e la gestione del programma culturale. Non devono essere presentazioni di libri ma discussioni.

10. Il Salone deve fare una mostra di arte contemporanea e tecnologia con i libri al centro, in modo da attirare pubblico e media internazionali.

11. Immagino una wunderkammer delle idee, oltre che un grande appuntamento pubblico, accessibile e sexy. Per fare ciò il legame con sponsor privati deve essere ulteriormente incentivato e drammaticamente migliorato, cercando di puntare al settore del “lusso democratico”. Il libro cartaceo diventerà sempre di più un bene di lusso democratico, cioè accessibile a “tutti”, e non è un caso che Lvhm abbia acquistato il 9% di Gallimard. È la strada da percorrere: usare il pensiero laterale per attivare processi di attribuzione di valore, anche attraverso i brand – anche i più inaspettati – che oggi costituiscono il deposito di “storytelling” più ampio e circostanziato e denso nel mondo contemporaneo.

12. Globalizzare il Salone: partnership con Financial Times Weekend Edition, e altre azioni simili, possono generare il tipo di attenzione e di turismo culturale di cui ha bisogno la città e l’istituzione.

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La direzione artistica del Salone dovrebbe essere affidata a un piccolo gruppo di menti che rappresentino diverse discipline (tecnologia/letteratura/arte/design/architettura) contigue al mondo del libro. Il gruppo va coordinato da qualcuno capace di cucire una narrazione visionaria e dare una credibilità culturale all’operazione. Il nuovo Salone del Libro va ri-disegnato come una grande impresa pubblica culturale e globale, capace di stringere legami fluidi e intensi con i principali attori privati e i media più rilevanti. Il Salone va ri-pensato come una macchina di idee per l’editoria mondiale. Una specie di Onu efficiente dell’editoria globale del XXI secolo, capace di tenere insieme in una sola visione la libreria indipendente curata come una piccola esperienza preziosa e la potenza di fuoco di Amazon, in modo laico e visionario, inclusivo e pragmatico. Aggiungerei che va ripensato il modello di interazione con le scuole, tassello centrale di questo domino virtuoso.

Immagini tratte dalle fiere del libro di Buenos Aires, Bogotà, Parigi (Getty Images).
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