Cultura | Dal numero

Sally Rooney e le ragazze di oggi

In attesa dell'uscita in Italia del suo nuovo libro, un'intervista alla scrittrice irlandese che con il suo romanzo d'esordio, Parlarne tra amici, ha conquistato una generazione di lettori.

Fotografie di Giovanni Corabi x Studio n° 34

Alla fine dell’estate del 2013, sul Telegraph viene pubblicata la recensione non troppo entusiasta di uno spettacolo scritto e recitato da Phoebe Waller-Bridge e messo in scena a Edimburgo. Secondo l’autrice della recensione, il dibattito su «cosa significa essere una donna moderna» si sta facendo sempre più acceso: cita diversi libri sull’argomento usciti in quel periodo e dice che Fleabag, «un monologo travolgente di una giovane donna che cerca di dare un senso alla sua sessualità, alle sue relazioni e a se stessa » si inserisce perfettamente nel clima (lo giudica però un po’ noioso). Un anno prima su Hbo esordiva Girls, la serie tv di Lena Dunham, sceneggiatrice e attrice protagonista, che raccontava la vita a New York di Hannah Horvath, un’aspirante scrittrice per nulla attraente, sovrappeso, goffa, egoista, ambiziosa, affetta da disturbo ossessivo compulsivo.

Sono passati diversi anni da allora. Dai podcast alla letteratura, da Future Sex di Emily Witt a “Cat Person”, il racconto di Kristen Roupenian pubblicato sul New Yorker e diventato virale, sembra siano sempre di più le ragazze che hanno voglia di dire la loro. L’impressione è quella di un organismo che cresce e si espande, sviluppando nuove forme. Che stia aumentando l’interesse del pubblico? Sempre più donne riescono a godere della libertà e dei privilegi necessari per avere il tempo e il modo di sviluppare una propria voce? Il trambusto del caso Weinstein ha puntato i riflettori sull’esperienza femminile? O questo coro è piuttosto un gesto di autodifesa, perché, nonostante le conquiste e gli apparenti progressi, essere una femmina sta diventando sempre più complicato? Qualcosa sta davvero cambiando o questa voglia di parlare di donne è soltanto una specie di moda?

Ho chiesto un parere a Sally Rooney. Nata nel 1991, irlandese, è l’autrice di Parlarne tra amici, romanzo d’esordio uscito nel 2017, scritto in tre mesi e diventato uno dei casi editoriali dell’anno (pubblicato in Italia da Einaudi nel 2018 nella traduzione di Maurizia Balmelli). Racconta la relazione tra la protagonista, una ragazza di 21 anni, e un attore sposato di 32, ma è prima di tutto un libro che osserva al microscopio, come disposti su un vetrino, i movimenti del pensiero e del corpo con cui l’identità di una ragazza prende forma, una forma che non sempre si sviluppa in maniera naturale, ma in molti casi, come questo, è il frutto di un’attenta costruzione e di tanti piccoli o grandi momenti di autodistruzione.

«Vorrei avere qualcosa di originale da dire a proposito di #metoo e tutto il resto, ma non è così», ha detto, con il tono autentico, fermo e severo che ha mantenuto in tutte le sue risposte. «I dati sugli abusi sessuali dimostrano quanto questo tipo di comportamenti sia endemico. Viviamo in una cultura in cui, in genere, gli individui sono incoraggiati fin da piccoli a ricercare la dominazione uno sull’altro. Tra uomini e donne, questa urgenza di dominare si esprime con la violenza sessuale e la degradazione. Non credo sia una patologia di pochi uomini cattivi. Credo sia parte della struttura sociale nella sua interezza. Vorrei pensare che stiamo finalmente iniziando a confrontarci con questa realtà, ma non ne sono così sicura».

Frances, la protagonista bisex di Parlarne tra amici, si definisce femminista, comunista e, durante una chat con la sua migliore amica ed ex fidanzata Bobbi, addirittura «antiamore». Eppure non può fare a meno di sedurre Nick, il marito attore – in apparenza uno stereotipo vivente del maschio virile – dell’amica/nemica Melissa, scrittrice borghese. Le due ragazze conoscono Melissa dopo una loro esibizione di spoken word (è Frances a scrivere le poesie, ma le recitano insieme). Melissa vuole scrivere un articolo su di loro e le invita nella sua bella casa in un quartiere chic di Dublino. Il quadrato (due ex fidanzate rimaste amiche, una coppia in crisi di 10 anni più grande) si attiva lentamente: all’inizio è Bobbi a invaghirsi di Melissa, ma sarà poi Frances a diventare l’amante di Nick.

Le dinamiche sociali e relazionali sono chiare fin da subito: l’unica di origini piuttosto umili è Frances, non bella («Avevo una faccia insignificante, ma ero talmente magra che acquistavo interesse, e sceglievo i vestiti in modo da sottolineare l’effetto») ma intelligentissima, dotata di una singolare forza passiva, una specie di potenza che non si propaga nel movimento ma pulsa nella stasi. Bobbi, invece, è ricca e bellissima, Melissa è esuberante e molto apprezzata nell’ambiente letterario, Nick, un attore di medio-successo estremamente attraente, condivide con la moglie una vita più che agiata. Proprio come i soldi, la fama e la famiglia (ognuna, anche qui, è infelice a modo suo), l’aspetto fisico ha il suo peso sulle dinamiche di comunicazione e di potere tra i personaggi.

Se Nick si innamora della protagonista è anche grazie alle sue spiccate doti nell’arte della conversazione. Frances si impegna molto a scegliere con cura le parole da dire, per costruire, attraverso il loro potere, l’immagine di sé che decide di dare. Come la programmazione neurolinguistica insegna, i termini che usiamo per descriverci e descrivere il mondo creano chi siamo: Frances lo sa bene quando compone con estrema attenzione i messaggi che invia a Nick. Ma quest’attenzione ossessiva nei confronti delle parole nasconde una specie di horror vacui, che serpeggia tra le pagine ed è una delle forze più sofisticate e riuscite del libro: «Bobbi mi ha detto che pensava non avessi “una vera personalità”, ma per lei era un complimento, ha detto. In linea di massima ero d’accordo con lei. Avevo sempre la sensazione che avrei potuto non fare e non dire niente, e solo in un secondo tempo pensavo: ah, quindi sono quel tipo di persona».

Parlarne tra amici sembra composto con la stessa attenzione morbosa a ogni singolo termine, come se l’intero libro fosse una mail scritta da Frances per far capire al mondo chi è e cosa vorrebbe essere. Ho voluto carpire da Sally, allora, il segreto della sua scrittura. Ho allegato alla mail un saggio di Zadie Smith in cui gli scrittori vengono divisi in due categorie: i Micro Manager e i Macro Planner. I primi, spiega Smith, costruiscono la casa nei dettagli: alle pareti c’è già la tappezzeria e sulle mensole i soprammobili, ma la scala non porta da nessuna parte. I secondi, invece, prima creano i muri portanti, poi le stanze, l’arredamento. «Se pianifico una storia», ammette Sally, che a differenza della protagonista del suo libro ha risposto a tutte le mie mail dopo pochi secondi, «è un chiaro segno che non funzionerà. Mi definirei quindi un Micro Manager, anche se Smith dice che loro non hanno bisogno di editare più di tanto. Io sì: scrivo dalle 10 alle 15 bozze, ognuna molto diversa dalla precedente. Quindi credo di essere un po’ entrambi». Particolari abitudini, dice, non ne ha: quando ha un’idea, scrive finché non ha finito. Quando non ha idee non scrive per niente.

Credo abbia senso, oggi, dare spazio a identità sessuali senza nomi né categorie. Non tutti sperimentano la loro sessualità in funzione di un genere

Non è facile trovare una scrittrice così giovane che maneggi già così bene il suo mezzo espressivo, ma ci sono altri esempi, tra i quali le autrici che abbiamo raccolto in queste pagine: artiste che come Sally hanno dato forma a una loro personalissima visione di cosa significa essere una giovane donna oggi. Non è solo la capacità di comunicare in modo efficace, ad accomunarle. A legarle è anche un modo nuovo di concepire le relazioni e l’identità sessuale. Il libro di Sally è stato più volte definito “queer”, nel senso che i suoi personaggi sembrano avere un modo fluido di approcciare il sesso e l’amore. L’idea è quella di un’identità sessuale instabile, in continuo divenire. «Credo che ci siano buone ragioni, storicamente, se usiamo termini come “queer” o “gay” o “bisessuale”. La discriminazione ha fatto sì che fosse necessario dare un nome al problema, per risolverlo. Ma credo anche abbia senso, oggi, dare spazio a identità sessuali senza nomi né categorie. Non tutti sperimentano la loro sessualità in funzione di un genere».

Akwaeke Emezi, autrice dell’acclamato Freshwater (qui fotografata da Annie Leibovitz per Vogue Us), ha espresso un concetto simile in un saggio pubblicato su The Cut a gennaio, intitolato “Transition. My surgeries were a bridge across realities, a spirit customizing its vessel to reflect its nature”, in cui parla dell’intervento con cui si è fatta rimuovere l’utero. Emezi non si sente un uomo in un corpo di donna: semplicemente non si sente una donna. «Cerco di ignorare la cosa perché a volte è più facile non combattere, accettare l’isolamento di non essere vista come un luogo sicuro. Esisto separatamente dal concetto impreciso di genere come un fatto binario; senza il limite di quelle categorie, non dovrei nemmeno pensarci, al mio genere. Quando sono sola, ci sono solo io, e vedo chiaramente quello che sono». Sul suo sito Emezi si definisce «scrittrice e artista che abita uno spazio liminale».

Tutti i ritratti in questo articolo sono di Giovanni Corabi

Dal canto suo, la protagonista di Parlarne ha vissuto soltanto una relazione lesbica, e si ritrova, con un certo stupore, a desiderare un uomo. Ma il rapporto esaminato nel libro di Rooney non è solo quello tra Frances e Nick, ma anche tra Frances e Bobbi: una relazione d’amore che si trasforma in un’amicizia squilibrata, difficile, strettissima, in cui l’intimità che lega le amiche sembra più solida di un legame familiare. Che tipo di relazione è questa? Che sia qualcosa per cui ancora non è stato inventato un nome? Nel dipingere questo tipo morboso e agonistico (nel senso di perenne gara tra due concorrenti) di strana amicizia femminile, Rooney non è sola: Elena Ferrante, Chiara Barzini, Olivia Sudijc, Emma Cline, Alexandra Kleeman, risalendo fino a Virginia Woolf (Clarissa e Sally Seton in Mrs Dalloway). C’è una curiosità crescente per la vita interiore delle donne e quindi, inevitabilmente, per l’amicizia femminile, che spesso forgia la personalità di una ragazza molto più dell’amore.«Ricordo che leggendo Mrs Dalloway al college, i sentimenti di Clarissa per Sally mi emozionarono molto: ora che mi ci fai pensare c’è molto di Sally Seton in Bobbi. Mi piace che hai fatto questo esempio perché è un altro caso di “amicizia femminile” in cui c’è qualcosa di più, o di più complicato, che in una semplice amicizia».

A proposito di amicizia: le recensioni di Parlarne abusano della parola Millennial, ma la presenza di Facebook è minima, per non parlare di Instagram. Com’è possibile che i social network abbiano così poca importanza nella vita di queste persone? «Non uso molto i social media», confessa Sally (controllo su Instagram: dal 2014 ha pubblicato in tutto 6 foto, segue 23 persone e ha 291 follower). «I personaggi del mio libro sono piuttosto introversi, e avrei fatto fatica a immaginare un loro alter ego su internet, soprattutto per via delle difficoltà che hanno nell’affrontare cosa gli altri pensano di loro. E poi faccio fatica a immaginare un modo efficace di usare i social in senso drammatico, dentro la struttura di un romanzo. Magari in futuro capirò come fare».

Sono invece la musica, i film e i libri a definire l’appartenenza dei personaggi a un determinato circolo sociale e culturale. Si cita James Blake, Brazil, Patricia Lockwood, gli Animal Collective, I Love Dick di Chris Kraus. «L’ho letto quando stavo finendo di scrivere il libro e l’ho inserito. Non ho altri motivi per citare libri o film o canzoni: fanno parte della vita dei personaggi. Non vedo questa gran somiglianza tra il mio libro e I Love Dick, anche se molti li accostano: Kraus è sperimentale e speculativa, mentre il mio libro è molto convenzionale. Però sì, sono tutti e due sull’adulterio, credo siano sulle stesse fondamentali questioni di potere tra uomini e donne. Sono i problemi che mi appassionano di più e i miei esempi in questo senso sono Il taccuino d’oro di Doris Lessing, George Eliot, Virginia Woolf. Ho amato Gli ambasciatori di Henry James (letto l’anno scorso) per le stesse ragioni: mi è sembrato un modo nuovo di interrogare i funzionamenti di amore e amicizia tra uomini e donne (nuovo per me, intendo!)».

Nel cuore del libro di Rooney c’è la conversazione: un mezzo potente per analizzare, decostruire, capire, darsi una forma, ma anche un trucco per depistare e nascondere, mentire. Brillanti dialoghi su temi politici e sociali, tantissime etichette usate dai personaggi per auto-definirsi, che vengono continuamente contraddette dai loro comportamenti e dalle loro condizioni di vita. «Scrivere il libro è stato un esercizio nella scoperta di quanto le conversazioni possano essere complicate. Mi sono spesso trovata a seguire il filo di quello che sembrava, in superficie, un semplice scambio tra due o tre personaggi e scoprire che diventava qualcos’altro, un conflitto velato, un’obliqua confessione di sentimenti. Mi interessa moltissimo questo processo. Più che la psicologia mi interessano le dinamiche: come le persone si relazionano l’una all’altra, cosa significano le relazioni. E mi sembra che la conversazione dica qualcosa di essenziale, prima di tutto, sulle dinamiche tra le persone che parlano».

Classi sociali, circoli culturali, complessità e ambivalenze, giochi di ruolo e di potere, nel libro di Rooney sembra che l’unica forma di verità risieda e si riveli nei corpi: il corpo è più saggio di noi? «Questa è proprio una delle domande alle quali ho cercato di rispondere nel libro, parlando di sesso così come di dolore fisico e sofferenza. Non so se il corpo sia più autentico della mente. Forse è altrettanto inaffidabile e complicato, ma di sicuro ha le sue aree di competenza. Frances, tra l’altro, è decisamente più a suo agio nella mente che nel corpo, e sono sicura che non è l’unica giovane donna a sentirsi così. Forse l’intuizione è l’unico luogo dove c’è un certo equilibro, dove le cose si uniscono?»

Il prossimo libro di Rooney, che verrà pubblicato da Einaudi il 21 maggio, si chiama Persone Normali (Normal People nella versione originale, uscita il 30 agosto 2018 per Faber And Faber). Ha uno spettro più ampio del romanzo d’esordio: segue i due giovani protagonisti, un uomo e una donna, a partire dagli ultimi anni di scuola fino alla loro vita da adulti. «in un periodo di 4 anni, a partire dagli ultimi anni di scuola. «Ma la vera protagonista del libro», dice Sally, «è la relazione e il modo in cui cambia».

L’ultima domanda che le faccio è su Dublino, la città in cui sono ambientati entrambi i romanzi. «Sono cresciuta a Castlebar, nella contea di Mayo, a tre ore di treno da Dublino. Mi sono trasferita a 18 anni e sono 9 anni che vivo qui. Mi piace molto, ma ancora non è casa, cosa che rende molto più facile scriverne. Credo ci sia una posizione precisa che è quella che sta tra l’appartenere a un posto ed essere un outsider, una specie di spazio di confine: è esattamente il luogo dal quale mi piace scrivere».

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