Il romanzo italiano è diventato expat

Negli ultimi anni diversi autori e autrici hanno ambientato i loro libri in giro per l’Europa. Anche le loro vite lo sono. Hanno dei tratti in comune? E come si rapportano con la crisi dell’Europa di oggi? Una conversazione a più voci.

25 Marzo 2025

Quando Cesare Pavese, nelle prime righe di La luna e i falò, scriveva che «un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via», scriveva “paese” con la p minuscola. Il paese da lasciare era Santo Stefano Belbo, tremila abitanti in Langa, Piemonte. Quasi 80 anni dopo, la frase – una delle più belle, ancorché lisa dall’abuso, della letteratura italiana del Novecento – si può infine declinare con la P maiuscola. Il Paese che serve per poterlo lasciare è ormai l’Italia, 70 milioni di anime, pochi lettori ma molto forti, dicono i dati, e stipendi che non crescono dal 1991. L’Italia è sempre stato un Paese di emigrazioni. Nel primo Novecento, soprattutto dal Mezzogiorno, per il proletariato e il ceto contadino; negli ultimi anni del secolo e ancora nel nuovo Millennio per giovani diplomati e laureati, in quella che è stata chiamata – con un tocco di inconsapevole classismo – “Fuga dei cervelli”. Ad andarsene, dicono gli ultimi studi come il “Rapporto italiani nel mondo 2024”, sono sempre di più: quasi 100 mila ogni anno, quasi tutti con un livello di istruzione medio-alto, e distribuiti geograficamente in modo abbastanza omogeneo: le regioni più abbandonate sono Sicilia, Lombardia e Veneto. La destinazione preferita è l’Europa. È inevitabile che questo movimento si specchi nella letteratura. E in questi anni, mi sono accorto, sono usciti diversi romanzi italiani in cui l’Italia non è l’ambientazione dominante: sono invece ambientati in Europa, a volte in Germania, a volte in Francia, a volte in Portogallo. Oppure in più Paesi: sono romanzi in movimento. Ho iniziato a ragionarci quando Le perfezioni, di Vincenzo Latronico, storia di due expat italiani tra Berlino e Lisbona, nomadi creativi e digitali, è stato inserito nella longlist dell’International Booker Prize. Poi mi sono accorto che l’avevano preceduto, e continuano a seguirlo, decine di altri casi. Una lista niente affatto esaustiva, ma un tentativo di iniziare, comprende anche Ragazze perbene di Olga Campofreda, Spatriati di Mario Desiati, Polveri sottili di Gianluca Nativo, La straniera di Claudia Durastanti, e poi Ospiti di Mario Capello, La più brava di Carolina Bandinelli, Wild Swimming di Giorgia Tolfo, Tangerinn di Emanuela Anechoum.

Mi sono chiesto se si possa allora parlare di una tipologia di romanzo: un “romanzo dell’expat”, di italiani venti-trenta-quarantenni che vivono in Europa da pochi o molti anni, affiancano solitamente al lavoro di scrittura un mestiere che ha a che fare con la creatività o l’insegnamento, non escludono di spostarsi, prima o poi, in altre capitali. È quello che fanno Anna e Tom, i protagonisti de Le perfezioni, che sembrano pieni di un orgoglio puerile, di riscatto, per aver lasciato l’Italia, e vedono l’espatrio come una realizzazione in sé e per sé, un orgoglio di cittadini della provincia del continente. Altri hanno rapporti più difficili con il Paese d’origine: lo vogliono rinnegare, come Mina di Tangerinn, lo pensano con tristezza, come Michelangelo in Polveri sottili, o ci si specchiano per fare i conti con sé stessi e con la loro fuga, come Clara di Ragazze perbene.

«Più che la distopia climatica o il romanzo “dei social”, forse è questo piccolo gruppo di libri divisi tra l’Italia e il resto della Comunità europea quello che meglio descrive l’Italia di oggi?»

Più che la distopia climatica o il romanzo “dei social”, forse è questo piccolo gruppo di libri divisi tra l’Italia e il resto della Comunità europea quello che meglio descrive l’Italia di oggi? O meglio, non tutta l’Italia: quella che vorrebbe continuare a proiettarsi in una dimensione continentale, e quella, anche, che può permettersi di farlo. Ho chiamato un po’ di queste scrittrici e questi scrittori, e ho chiesto loro: esiste un gruppo di scrittori e scrittrici italiani e italiane che sono però più europei ed europee?

Vincenzo Latronico, foto di Maria Ródenas Sáinz de Baranda

Una scrittura più europea che italiana?

Olga Campofreda, da Londra, mi dice: «Sì, questo gruppo lo vedo e ultimamente penso spesso a una cosa: gli scrittori e le scrittrici che si sono formati dentro l’idea di Unione Europea hanno preso l’ottimismo che hanno tutti i nuovi progetti quando nascono, sono cresciuti con la convinzione che i confini potevano non solo essere attraversati, ma abbattuti. Questa stessa generazione però ha anche subito una delle più pesanti crisi finanziarie che ha dato un duro colpo a quell’ottimismo iniziale e ai loro percorsi di vita. Il risultato è un’ironia diversa da quella postmoderna, che porta in sé non poco rancore nei confronti di grandi promesse che poi non sono state mantenute». Casualmente, sempre di disillusione mi parla Vincenzo Latronico, quando dice: «Uno degli elementi unificanti è una serie di esperienze che hanno definito una generazione: l’apertura dei confini, l’idea che l’Europa si sarebbe andata unendosi sempre di più. Idea ingenua e falsificata dalla storia come ora sappiamo». Si accoda anche Durastanti, che in Inghilterra ha vissuto molti anni: «La domanda rinnova un irrisolto che mi porto dai tempi di Brexit, quando vivevo ancora in UK: era molto complicato difendere i principi di un’Unione Europea che sentivo lontanissima nella gestione dell’economia e della migrazione, avvertivo che c’era solo imbarazzo a sentirsi europei e nondimeno costretti a ribadirlo per opporsi a qualcosa di più autoritario, mentre questa affiliazione restava completamente intatta su un piano letterario. Lì non generava imbarazzo né perplessità, era anzi un’aspirazione».

È normale che i romanzi arrivino con un certo ritardo sulla realtà: la letteratura ha bisogno di essere elaborata e digerita, poi messa in bella copia, infine abbigliata dal sistema editoriale: è uno dei motivi per cui un Grande Romanzo sul Covid non è ancora stato scritto, per esempio. Quindi questi libri iniziano a coagularsi in un canone nel momento in cui l’Europa è più debole e frammentata, o comunque diversa dal sogno degli anni Duemila in cui gli autori si sono formati. Gianluca Nativo infatti mi scrive che quell’Europa «ha rappresentato a lungo, soprattutto per l’Italia – e in particolare quella del Sud – una forma di desiderio». Giorgia Tolfo, anche lei con uno sguardo critico, dice che «non credo che a unirci sia un’appartenenza “europea”. La mia sensazione è che quella europeista sia stata un’utopia contraddittoria degli anni Zero», e poi tocca un altro punto che non rimarrà isolato in questa conversazione: «Credo sia semmai una comunanza di esperienza, la condivisione di un comune sguardo estraneo ed estraneizzante rispetto alla cultura italiana. Siamo soggetti nomadi».

Claudia Durastanti, foto di Maria Ródenas Sáinz de Baranda

Dall’Europa al Mediterraneo

Ecco, il nomadismo: mentre leggevo le varie risposte, mentre ragionavo ancora su una letteratura italiana che abbia una casa europea, ho pensato al movimento. Così come Fernand Braudel definiva il mar Mediterraneo come uno «spazio-movimento», anche il sogno dell’Europa di Schengen può essere identificata con il viaggio. Non con un luogo fisso, ma con un’assenza: di frontiere interne. Carolina Bandinelli, che vive e lavora in Inghilterra, mi dice: «È vero che io non mi sento fuori dall’Italia, non mi sento così lontana. Nella mia geografia emotiva sono stata sempre più interessata a tracciare e abitare le relazioni tra i luoghi, quindi quello che sta in mezzo e attraverso l’Italia, l’Inghilterra e gli altri Paesi d’Europa. Sento molto presente in me questa concezione di un mondo senza confini nazionali». Anche Mario Capello, che ha ambientato Ospiti in Svezia, un Paese molto poco battuto dalla letteratura italiana, parla di «scrittori che si sentono di molti luoghi, e nessuno».

Può essere l’Heimat allora non nazionale, ma ancora più piccolo, regionale? È una contraddizione, ma come scriveva Daniele Del Giudice, in un breve saggio intitolato “Occidente Europa” (contenuto in In questa luce, Einaudi), «l’Europa ha sviluppato da sé medesima, nel proprio interno, l’opposizione corrispondente a ogni posizione. (…) Essenza dello spirito europeo è sempre stata l’idea di conflitto e di contraddizione (da cui, anche, uno struggente rimpianto e desiderio d’armonia)». Allora in questi libri c’è spesso l’eco – o lo struggimento – che viene non dal Paese che manca, ma dalla regione o dalla città, soprattutto se si tratta di Mezzogiorno. C’è nell’esordio Tangerinn di Emanuela Anechoum, che si divide tra Londra, il Marocco e la Calabria, in un continuo migrare. Lei dice: «La mia prospettiva è regionale: proprio questa estate litigavo con degli amici di Reggio perché dicevo che io non mi sono mai sentita né trattenuta né richiamata, ma anzi rigettata, respinta dalla mia terra – e non intendevo l’Italia, ma la Calabria. Per me tutto gira intorno a questo, lo spostamento delle persone da sud a nord». Mario Desiati scrive di Europa e di Puglia, più che di Italia: «Sono di Martina Franca, in Puglia, con un debole per il concetto di Puglia come Mitteleuropa del mare, ossia di una terra dove si incontrano le culture e si contaminano tra di loro. Battiato una volta venne a Bari e rilasciò un’intervista dove disse che si sentiva un arabo mitteleuropeo». E Olga Campofreda: «La dicotomia non è tanto tra Europa e Italia quanto tra Mediterraneo e gli altri mari, tra cattolicesimo e confessioni riformate. La narrazione di chi va via e poi torna nella nostra cultura è già un format: quello del figliol prodigo che per pacificare la propria coscienza deve rientrare e ottenere il perdono del padre».

Olga Campofreda

Le molte lingue dell’Europa

Quindi, cercando una sintesi nella contraddizione regionale, quali tratti comuni può avere una letteratura italiana senza confini? Vincenzo Latronico spiega: «Secondo me esiste un altro filone, che ha a che fare con un tentativo di trovarsi un’identità non solo o non puramente italiana, di mettere in crisi un certo tipo di appartenenza letteraria. Questo è indipendente dal fatto che un romanzo parli solo di Italia e secondo me c’entra con l’esperienza del tradurre, che è stata formativa per una parte delle scrittrici e degli scrittori che citi. Questo io lo sento in modo più forte. Tradurre vuol dire abituarsi a una sorta di bilocazione culturale, che ti porta a espandere il tuo senso di appartenenza. È anche, secondo Eco, la lingua dell’Europa unita». Parla di lingue anche Giorgia Tolfo: «Muovendoci e vivendo tra lingue diverse spesso ci troviamo a chiederci come portare un’esperienza vissuta in una lingua nell’altra, con tutte le conseguenze che comporta: forme diversi, sintassi alterate, idee e temi diversi». E Carolina Bandinelli: «Io percepisco un’appartenenza soprattutto alla lingua italiana: per me, dopo tanti anni che ho scritto in inglese, scrivere in italiano è stato un tornare a casa, a una lingua madre, uterina e viscerale rispetto a una lingua altra, matrigna, che non si dà con quella visceralità. Mi sono formato leggendo in italiano, letteratura tradotta in italiano. Questo essere in mezzo a due lingue determina uno sguardo che implica un andare al di là dei confini nazionali: quando scrivo in italiano spesso ho in mente il ritmo di certi libri in inglese, quindi adesso il mio italiano contiene qualcosa di quella alterità che è l’inglese». Claudia Durastanti, tra tutti questi, parla addirittura di un cambio di lingue: «Per la prima volta ho iniziato a scrivere fiction in inglese, e mi rendo conto che l’ibrido che porto nella scrittura è sicuramente modellato dalla sintassi e dal lessico della lingua italiana, mentre come forma deve molto a questa coscienza europea ideale, in cui per esempio riferimenti come Cristina Campo, Annie Ernaux e Rachel Cusk, diversamente radicate nelle loro tradizioni letterarie, con le loro specifiche vocazioni ambientali, spirituali o sociologiche, fanno parte della stessa costellazione».

Senza parlare esplicitamente di politica, questa letteratura nasce dalla politica e fa politica proprio per la naturalità con cui si sposta da lingua a lingua, da confine a confine: non rivendicandolo ma vivendolo come se fosse un gesto familiare, un corredo genetico ereditato come si fa con le abitudini. Ed è inevitabile chiedersi, con un peso sulla gola, cosa rimarrà di queste narrazioni così aperte, se l’Europa come spazio aperto finirà, e si frammenterà in un’Europa delle piccole patrie sovrane come auspicherebbe un certo estremismo di destra. Claudia Durastanti legge, nel mercato, già alcuni segni dei tempi che forse attraverseremo: «Se i Paesi convergono verso posizioni autarchiche (nelle nostre classifiche c’è pochissima straniera ormai, proprio come in Francia) sul piano politico è chiaro che ci sarà un riflesso su quello culturale. Spero di sbagliarmi, ma tradurre farà meno prestigio».

Related ↓
La sorprendente somiglianza tra Jude Law e Vladimir Putin nella prima immagine del film Il mago del Cremlino

Diretto da Olivier Assayas, è l'adattamento del romanzo omonimo di Giuliano da Empoli.

Dopo 40 anni, Amadeus di Milos Forman è ancora il miglior biopic musicale di sempre

Il 24, il 25 e il 26 marzo il capolavoro di Forman torna al cinema: è l'occasione per vedere o rivedere un'opera unica, un film-concerto che ruota tutto intorno all'invidia.

Bong Joon-ho ha chiesto a John Carpenter di scrivere la colonna sonora del suo prossimo film e lui ha detto subito sì

I due si sono messi d'accordo durante una proiezione della versione restaurata de La cosa.

La sconosciuta della Senna, un true crime di un secolo fa che nessuno è riuscito a risolvere

Leggenda inquietante, maschera funerea, ma anche volto scelto per i manichini su cui esercitarsi a fare la rianimazione cardiopolmonare: una storia che ancora oggi ispira chi scrive, come dimostra La ragazza che annega.

Grand Theft Hamlet prende in giro Shakespeare, GTA e soprattutto il pubblico

È un documentario tra i più assurdi e chiacchierati degli ultimi anni. Ma vedendolo si capisce presto che c'è il trucco: non è un documentario. Almeno, non solo.

I Fontaines D.C. hanno fatto una bellissima cover di “Heart-Shaped Box” dei Nirvana

Cucendola assieme a "Can You Feel My Heart" dei Bring Me The Horizon.