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Chi era Robert Durst, il miliardario che confessò tre omicidi nella serie tv The Jinx

11 Gennaio 2022

Robert Durst è morto ieri mattina nel carcere di Stockton, in California. Aveva 78 anni, a confermare il decesso è stato il suo avvocato, Chip Lewis: Durst era ricoverato presso il San Joaquin General Hospital per degli accertamenti, ha sofferto un arresto cardiaco dal quale i medici non sono riusciti a salvarlo. Secondo Lewis, le condizioni del suo assistito erano grandemente peggiorate dopo aver contratto il Coronavirus ed essere stato costretto, per sopravvivere, alla ventilazione polmonare. Durst stava scontando una condanna all’ergastolo per l’omicidio di Susan Berman, sua amica di lungo corso e confidente.

Magari il nome Robert Durst non vi dirà nulla, di primo acchito. Il suo nome è, nella memoria e nell’immaginario collettivo, indissolubilmente legato al titolo di una serie tv di cui all’epoca si parlò moltissimo, anche in Italia: per la precisione era una miniserie, un documentario in sei episodi trasmesso da Hbo, andato in onda nel 2015 e intitolato The Jinx, racconto della vita violenta e terribile di quest’uomo nato in una famiglia di ricchissimi immobiliaristi americani. Ci fu una scena di quel documentario che scosse l’opinione pubblica di mezzo mondo ed ebbe conseguenze giudiziarie che hanno portato alla condanna di Durst. Nell’ultima intervista registrata per la miniserie, Andrew Jarecki (uno dei tre autori di The Jinx) mise davanti a Durst due buste delle lettere: una lettera l’aveva scritta nel 1999 lo stesso Durst, alla sua amica Susan Berman; l’altra era stata inviata da un anonimo alla polizia di Los Angeles, dentro erano scritte indicazioni che porteranno poi le forze dell’ordine alla scoperta del cadavere della stessa Berman. In quell’intervista, Jarecki diceva che un esperto gli aveva confermato che quelle due lettere erano state scritte dalla stessa persona. Entrambe contenevano un refuso: invece di “Beverly” Hills c’era scritto “Beverley”. Dopo quest’intervista, Durst (evidentemente scosso) andò in bagno, senza accorgersi che il microfono wireless usato nella conversazione con Jarecki era ancora acceso. Cominciò a parlare da solo: «Che diavolo ho combinato? Li ho uccisi tutti, ovviamente», fu l’ultima, agghiacciante frase registrata dal microfono. Nel processo che ne seguì, i suoi avvocati portarono avanti una linea difensiva secondo la quale Durst aveva scritto quelle lettere, certo, ma che questo fatto dimostrava solo che l’uomo era a conoscenza degli omicidi, non che l’assassino fosse lui.

Sembra assurdo, ma questa non è nemmeno la parte più incredibile della vita di Robert Durst. Come la definiscono sul New York Times, la sua esistenza sembra scritta da un navigato giornalista di «supermarket tabloids». Per quarant’anni, Durst fu il principale indiziato in tre omicidi: quello di sua moglie Kathleen, scomparsa misteriosamente il 31 gennaio del 1982 dopo una lite nella casa di South Salem (nello stato di New York) in cui vivevano all’epoca; quello già citato di Susan Berman, morta a causa di ferite da arma da fuoco nel 2000 a Los Angeles; e, infine, quello di Morris Black, un vicino di casa di Durst, ucciso anche lui con un’arma da fuoco nel 2001 a Galveston, Texas. In ognuna delle indagini che furono eseguite, c’erano indizi che puntavano alla colpevolezza di Durst, ma solo l’omicidio di Black sembrava un caso relativamente chiaro: i due vivevano uno accanto all’altro e fu Durst a raccontare del litigio che nella sua versione, però, finiva con un colpo di pistola partito per sbaglio e con la morte “accidentale” di Black. Quello che avvenne dopo la morte di Black, però, è una delle parti più (letteralmente) incredibili della storia di Durst: smembrò il cadavere e ne gettò i pezzi nella Galveston Bay, fu arrestato con l’accusa di omicidio, fuggì e dopo una caccia all’uomo durata 45 giorni fu catturato in Pennsylvania mentre cercava di rubare un sandwich al pollo. Il processo per l’omicidio di Black si tenne nel 2003: Durst disse di aver fatto tutto per auto difesa e mosso dal panico. Fu assolto.

A porre fine a quarant’anni di sospetti fu l’omicidio di Susan Berman. La donna era un giornalista che per anni aveva difeso Durst, sia dagli altri giornalisti che dai familiari e amici della moglie Kathleen. Nel 2015, quindici anni dopo la morte di Berman, fu riaperta l’indagine sul caso perché, secondo l’accusa, la donna era stata uccisa da Durst per impedirle di rivelare la verità sulla scomparsa della moglie, Kathleen: era tutta una farsa organizzata da Durst stesso per coprire l’omicidio. Durst fu arrestato di nuovo, ma per cominciare il processo ci sono voluti sei anni: l’uomo, anziano e malato, fu sottoposto a interventi chirurgici per rimuovere un cancro all’esofago e del fluido accumulatosi nel cervello. Una giuria fu finalmente selezionata all’inizio del 2020, le parti fecero le loro dichiarazioni iniziali, e poi tutto fu sospeso e rimandato ancora una volta a causa della pandemia. Il processo è cominciato davvero solo a maggio dello scorso anno, un evento terribile e surreale come tutta la “saga” di Robert Durst. Per l’accusa hanno testimoniato addirittura il fratello di Durst, Douglas, responsabile dell’immenso patrimonio immobiliare (valutato in circa otto miliardi di dollari) ereditato dalla ricchissima famiglia, e Nick Chavin, un tempo carissimo amico di Durst. Chavin, sotto giuramento, ha rivelato che nel 2014 Durst gli aveva confessato di aver ucciso Berman: «Non avevo scelta», pare furono queste le parole con le quali Durst spiegò all’amico le circostanze dell’omicidio.

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