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La scuola italiana non è pronta per il 2025

Anzi, vuole tornare al passato.

di Antonio Pascale

È chiaro: visto il mio curriculum scolastico, non sono la persona adatta. Sempre costantemente rimandato, latino, matematica, un paio di volte italiano. Posso dire che il latino e le cose imparate a memoria mi hanno rovinato i cinque anni di liceo scientifico. Quindi non posso apprezzare le proposte del ministro Valditara. La Bibbia invece, avendo fatto le scuole medie ai salesiani, quella me la ricordo bene. D’altra parte i religiosi insistevano molto su alcuni aspetti legati all’irascibilità di Dio, alle punizioni e alle mortificazioni della carne: ricordatevi! un minuto di piacere non vale l’eternità passata all’inferno, disse don Tobia. Il mio compagno di banco mi chiese: ma come si fa a farlo durare un minuto?

Questione di formazione: quello che ho imparato non l’ho imparato a scuola. Al liceo Scientifico Armando Diaz, Caserta, negli anni di grazia 1979/84, nella mia classe i bravi erano quelli che imparavano a memoria, tipo Bosco che leggeva un testo poco prima dell’interrogazione e lo ripeteva a pappardella e, incredibile, anni dopo, è diventato un politico capace di imparare i testi scritti per lui e ripeterli a pappardella. Erano bravi anche i figli dei notai e degli avvocati (Caserta ha una tradizione di notabili) che il latino lo usavano ancora. A casa di Porfidia, per esempio, era facile incrociare il padre che seduto nel suo studio recitava intere frasi in latino (ricordo la luce che si abbrumava man mano che dalla soglia si avanzava verso la scrivania).

La tradizione umanistica era così forte a Caserta che il liceo scientifico assomigliava al classico. Allo scientifico si dava molta importanza alle materie umanistiche. In fondo anche lì erano viste come la via privilegiata per accedere a una dimensione spirituale, nonché per apprendere il bello: noi – disse un professore di latino – siamo quelli che apprezziamo il seno delle donne, loro (i matematici) sono quelli che lo vogliono misurare. Battuta pure simpatica, sicuramente indicativa di una presunta superiorità dell’umanesimo sulle scienze. Comunque, il prof la pronunciò guardando il seno di Anna Rossi (tengo a precisare che da allora le ragazze lo soprannominarono il rattusone).

Vecchio problema: la scuola era classista, i privilegiati, cioè i figli dei notai, avvocati, magistrati andavano bene e amavano il latino. In fondo gli era utile, lo usavano ancora. I figli dei contadini e della classe media andavano peggio, avevano altre passioni. Loro, i notabili (i loro padri, i loro parenti) ci dicevano che il latino allenava la mente, come allenava la mente imparare una poesia a memoria e infatti recitavano senza tentennamenti sia il 5 maggio di Manzoni sia i codici civili e penali o un’intera filastrocca latina che spesso era: defecatio matutina bona tam quam medicina, ecc. ecc.

Noi invece guardavamo con interesse gli anime alla tv e ci appassionavamo ai primi personal computer, roba antitradizionale (gli anime sono fatti col computer, si diceva). Qualcuno più politicizzato prevedeva che l’avvento del computer con la rapidità di calcolo avrebbe risolto l’annoso problema dell’allocazione delle risorse in una società comunista (problema allora affidato alla burocrazia). Vabbè, si sbagliavano, però andava apprezzato lo sguardo futuristico. A noi ci chiamavano i rinnegati, cioè quelli che odiavano la tradizione. Vero trampolino di lancio verso il futuro, dicevano allora i notabili della tradizione (interessante notare che quelli poi sì, hanno avuto un buon futuro ma solo sfruttando i beni e l’eredità di famiglia, anche se a onor del vero, ogni volta che li rincontro sanno ancora recitarmi a memoria il 5 maggio e defecatio matutina).

Noi rispondevamo citando un brano di Edoardo Bennato (contenuto nel suo album di esordio, Non farti cadere le braccia, 1973), nel quale cantava: “Eugenio dice che io sono rinnegato / Perché ho rotto tutti i ponti col passato / Guardare avanti, sì ma ad una condizione / Che tieni sempre conto della tradizione”. Eugenio era Eugenio Bennato, fratello di Edoardo, questo per dire che ai tempi la tradizione non era solo ostaggio della destra, ma pure la sinistra (nella canzone rappresentata da Eugenio Bennato) si divertiva con la musica popolare, tradizioni ecc. Tutte cose che poi sarebbero confluite nell’ideologia alimentare di Slow Food, sovranista (ma di sinistra).

Poi, riflettendoci, il latino allena la mente? Certo che sì, ma pure l’inglese, l’arabo, il cinese, queste ultime, tra l’altro, più utili per attraversare il mondo moderno (che ricordiamo avrà a breve 2 miliardi di africani e 5 miliardi di asiatici). Qualsiasi nuova lingua da apprendere allena la mente. Ci sono evidenze oggettive che le neuroscienze hanno confermato, ma purtroppo le neuroscienze vengono ignorate perché siccome noi (sempre per citare Edoardo Bennato) discendiamo dagli antichi romani, non consideriamo le neuroscienze come viatico verso la comprensione del mondo, tanto meno del bello: quindi come funziona il cervello non viene insegnato a scuola.

Il latino migliora le capacità di ragionamento, dicevano allora e lo dicono anche adesso. A parte che mancano le evidenze scientifiche, ma allora, invece di usare un surrogato, perché non insegnare direttamente la logica e l’argomentazione? Il grande problema dell’umanesimo è la considerazione che abbiamo dell’umanesimo: sempre uguale a sé stesso, immarcescibile. Come se l’uomo del Neolitico o quello rinascimentale o quello moderno fossero la stessa cosa. L’umanesimo, ovvero una variabile indipendente: è così che se ne parla. Come se l’uomo non fosse influenzabile dagli eventi, dai peggioramenti e dai miglioramenti. Un umanesimo che naturalmente deve essere preservato dalla tradizione e dagli strumenti tradizionali, il latino, il greco, mica le neuroscienze, mica le scienze sociali, mica la psicologia sperimentale. Meglio la Bibbia, no? Che tra l’altro in questo testo una donna moderna vi vedrebbe un Dio somigliante a un narcisista, uno che ti controlla, ti punisce e dice di continuo che lui è Dio.

Diciamo la verità, amiamo sempre di più la tradizione perché stiamo invecchiando, il prossimo futuro non sarà all’insegna dei sogni utopistici di vita eterna e di never give up, dell’energia sostenibile, ma sarà un mondo grigio, spopolato, invecchiato. I dati che non siamo abituati a leggere perché impegnati nelle operazioni mnemoniche o a recitare filastrocche in latino ci dicono questo: invecchiamo dovunque e non c’è modo per evitare la tendenza, finirà così, con una lenta decrescita demografica e cerebrale, e tutta una serie di problemi che non siamo capaci di prevedere, perché ai tempi dei latini il mondo andava in altro modo.

Ma queste cose dette da uno con un curriculum scolastico così deludente, uno che ha problemi con la prima declinazione, uno che non ricorda bene le citazioni, queste considerazioni possono mai essere prese sul serio? No, infatti, la mia più che una riflessione è l’esposizione di un sogno: di una scuola diversa, più semplice, dove siano aboliti latino, greco, i romani, le guerre e si affronti solo quel secolo importante che è stato il Novecento, il secolo che, grazie a scoperte tecnologiche, ha cambiato i connotati di noi umani, ha cambiato l’umanesimo, con pregi e benefici.

Sogno una scuola che sposi le tesi di James R. Flynn e proponga l’insegnamento di poche chiavi, utili a capire il mondo. Oggi dobbiamo disinnescare una bomba potente, quelle delle opinioni, quelle dell’io sono sincero, quello che penso dico. Una bomba che si è armata nei secoli passati quando alla maggioranza di noi non era permesso di esprimere opinioni. Una bomba ora diventa pericolosa, perché è piena zuppa di opinioni rumorose. Ebbene, questa bomba ci pone davanti a una domanda: quello che conta davvero nella vita è esprimere opinioni, oppure essere in grado di validarle? Direi la seconda. Solo così possiamo abitare il mondo ed evitare quei fastidiosi bias che complicano la risoluzione dei problemi, oltre a immergerci in un improduttivo rumore di fondo.

La scuola c’entra. Possiamo oggi stare al mondo (e dunque provare a capirlo) senza sapere cos’è il mercato? Cos’è un campione statistico? Possiamo ignorare cosa sia la percentuale o proporzione (senza il concetto di percentuale e di proporzione non si riesce a valutare il rischio)? E l’universabilità (cioè, se si afferma un principio morale bisogna poi sostenerlo con la logica). Possiamo ignorare la tautologia/falsificabilità (no, altrimenti finisce che abusiamo della logica quando la usiamo per difendere in maniera fraudolenta qualcosa). Possiamo fare a meno di sapere cosa sia una fallacia naturalistica (cioè possiamo fare a meno di non argomentare partendo dai fatti per arrivare ai valori). E la fallacia della scuola della tolleranza (la tolleranza non sempre è una virtù suprema). Possiamo ignorare l’effetto placebo? Perché senza la nozione di placebo, una razionale politica di gestione dei prodotti farmacologici si scontrerebbe con il disperato desiderio di una cura da parte di chi è colpito da una malattia. E dell’effetto carisma, cioè quel principio che spiega che quando una teoria viene applicata da un carismatico innovatore o da suoi discepoli infiammati dal zelo, il suo successo potrebbe essere dovuto proprio a questo fattore.

Sono tutte chiavi per capire il mondo, senza le quali poi vincono le antichiavi (pensare che la realtà sia un testo, per esempio, è un’antichiave che ci distrae dal compito della scienza: la decodifica del mondo reale. Le storie alternative, le scienze alternative, il progetto intelligente sono antichiave: cose contenute nella Bibbia). Chiavi che possono essere ben declinate a partire dalle elementari. Chiavi che ci donerebbero più sapienza, più consapevolezza, meno arroganza e sicuramente più tempo sia per dedicarsi sia alle meraviglie dell’umanesimo sia per innovarlo.

Nell’immagine: una scena di Bianca di Nanni Moretti.