Riarmare l’Europa è davvero una soluzione per gli europei?

Le follie dell'imperatore Trump e la minaccia russa stanno portando il Vecchio Continente verso posizioni che non troppo tempo fa sembravano impensabili.

05 Marzo 2025

«Trump ha unito l’Europa più di chiunque altro dai tempi di Carlo Magno», ha scritto Foreign Policy. I trenta miserabili minuti di bullismo ed estorsione praticati in diretta al leader di un paese aggredito da parte del presidente degli Stati Uniti hanno innescato una reazione a catena. «Siamo nell’era del riarmo, questo è il momento dell’Europa e dobbiamo essere all’altezza», ha detto Ursula von der Leyen presentando ReArm Europe, dando la sensazione di panico spacciato per strategia. L’Europa oggi sembra un anziano professore universitario che dopo aver guardato troppa cronaca nera in televisione va su Internet a cercare di comprarsi una pistola e nel frattempo guarda compulsivamente i tutorial su YouTube su come usarla.

Alle armi

La minaccia a est dopo tre anni di aggressione in Ucraina è grave e reale, ma nel panico ora stiamo parlando solo di come difenderci, senza più nessun dibattito politico o democratico su cosa dovremmo difendere. La militarizzazione del nostro futuro, calata dall’alto come una necessità ontologica, sembra esattamente la linea tratteggiata per noi da Putin e ora anche da Trump: spingerci a comprare armi che non possiamo permetterci, per guerre che non vogliamo combattere e che non siamo in grado di combattere, rinunciando nel frattempo a ogni identità del disegno europeo. A un tedesco, un francese o un italiano del 1945, l’idea di un’Europa senza confini, in relativa pace per quasi un secolo, con una sola moneta e addirittura un parlamento comune, doveva sembrare impensabile, proprio come a noi sembra impensabile questo piano inclinato in cui ci troviamo ora, in cui guardiamo i bambini nati nel 2025 e ci chiediamo: sarai in grado di combattere per la nostra libertà? Sarai come la classe del 1899 nelle trincee del Belgio?

Nel giro di poche settimane regole e parametri sembrano saltati. Sul futuro della Nato nessuno sembra farsi più illusioni: quanto passerà prima che Trump inizi a dire che tutto sommato gli Stati Uniti possono farne a meno, dell’iscrizione a questo club? La diretta conseguenza di questa disillusione è la decisione dell’Unione europea di consentire l’impiego a fini di riarmo dei fondi di coesione, che servirebbero a ridurre le diseguaglianze e favorire l’integrazione. Il patto di stabilità maledetto a ogni pronto soccorso chiuso perché bisognava tenere in ordine i bilanci ora può essere allentato per il fine supremo di creare un complesso militare industriale europeo al costo di 800 miliardi di euro. La scommessa del sostegno totale all’Ucraina dopo l’invasione del 2022 era che Putin si sarebbe stancato prima di noi, che la Russia non avrebbe retto all’economia di guerra, alle sanzioni, all’isolamento, invece in tre anni abbiamo scoperto che la dittatura russa sembrava costruita apposta per questo progetto, mentre noi siamo esausti, sgomenti e destabilizzati, pronti a rinunciare a qualunque valore avesse fondato questa Unione, senza voltarci indietro e soprattutto senza capire se è questo che vogliono davvero gli europei.

L’ipocrisia europea

Il 15 marzo ci sarà una manifestazione a Roma, evocata da Michele Serra, con solo bandiere europee. «Un progetto politico innovativo e rivoluzionario che non si rivolge al passato, ma parla del domani. Parla dei figli e dei nipoti», ha scritto su Repubblica. «Una manifestazione che avrebbe un significato profondo e rasserenante», e c’è da chiedersi come si possa essere rasserenati, in questa situazione, ma forse è questo il punto, abbiamo visto l’Europa come uno xanax da assumere collettivamente, dicendoci: certe cose non possono succedere perché siamo in Europa, perché l’Europa ci protegge. E così abbiamo partecipato una guerra vera come si combatterebbe una guerra culturale, mentre gli ucraini ci mettevano i corpi e gli americani le armi, noi abbiamo fornito i valori. Non ha funzionato, gli Stati Uniti si sono accorti che in Ucraina si può fare business e che comunque in mezzo c’è l’oceano, e il nostro riflesso, sottoposto a nessun vaglio democratico, sembra essere: allora noi compriamo le armi per difendere i nostri valori supremi. Come andrà? Probabilmente male, molto male, come sempre successo nella storia umana quando il metodo è stato questo: princìpi e polvere da sparo.

L’Europa aveva legittimamente scelto la difesa dell’Ucraina come suo interesse politico esistenziale, ma troppo a lungo ha travestito questa legittima scelta politica in un assoluto morale, senza rendersi conto che gli assoluti morali non si innescano a comando. L’altra guerra, quella a Gaza, ha svelato l’ipocrisia europea. Non ci interessano la libertà, la dignità, l’autodeterminazione, le madri, i bambini, gli ospedali e le bombe: ci interessa il confine. Era una legittima esigenza politica, ma allora perché non abbiamo fatto politica? Perché oscilliamo tra il tentativo di farci autorità morale, come se fossimo il Vaticano o l’Onu, e la corsa alle armi una volta scoperto che i nostri valori non li ascolta nessuno? C’è qualcosa in mezzo per l’Europa tra l’impotenza infantile e la volontà di potenza adolescenziale? E soprattutto, qualcuno lo sta chiedendo agli europei se preferiscono allentare il patto di stabilità per l’esercito o per la sanità o per la lotta alla crisi climatica?

Credere ancora nell’Unione europea

L’Unione Europea è stata un grande esperimento democratico, questo è il momento di capire se alla costruzione democratica dell’Unione ci crediamo ancora. La sensazione è che Trump stia trattando l’Unione come troppo stupida per badare a se stessa (parlando per bocca di Vance ci ha fatto sapere che gli interessi economici degli Stati Uniti in Ucraina sono «una garanzia di sicurezza più forte di 20 mila soldati inviati da qualche Paese che non fa una guerra da 30 o 40 anni», frase che ha fatto incazzare parecchio il Regno Unito), e allora l’Unione sta trattando i suoi cittadini allo stesso modo: come troppo stupidi per badare a se stessi. Se ha un senso fare una manifestazione di sole bandiere europee è probabilmente questo: non l’astratta celebrazione ansiolitica dell’Europa, né cementificare un nuovo nazionalismo continentale armato, ma la richiesta di una restituzione democratica. La sicurezza è un interesse legittimo di ogni Paese o blocco, ma siamo sicuri che nelle condizioni in cui si trova l’Europa la strada per la sicurezza sia il riarmo? Possiamo parlarne? La sensazione è che la Commissione stia chiedendo non solo una crescita vertiginosa della spesa militare ma anche una delega in bianco per stabilire la lista delle priorità esistenziali di 450 milioni di persone. Questo però non è il 1914 e non si dovrebbero firmare deleghe in bianco sul nostro futuro. È questo che dovrebbe rendere l’Europa diversa dalla Russia, o dall’America in transizione verso l’autocrazia.

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L’Europa è di chi la vuole

Il sogno di un continente senza confini è stato offuscato da anni di crisi economica e orgogli nazionalisti, poi la guerra in Ucraina e le proteste in Georgia hanno riportato improvvisamente l’Europa alla sua origine di ideale al quale aspirare. Dal numero 55 di Rivista Studio, New World Border.

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