Una conversazione libera tra due Millennial su matrimonio gay, diritti acquisiti e diritti da conquistare, vite da privilegiati e vittimismo social, militanze vecchie e nuove e prospettive per il futuro.
Secondo l’Economist l’indice di democrazia nel mondo non era così basso dal 2006

La Intelligence Unit è una divisione dell’Economist che si occupa di ricerca e analisi sul mondo degli affari e dei governi, e che pubblica tra le tante cose un report annuale sullo stato della democrazia nel mondo, il Democracy Index. È uscito proprio oggi quello che prende in analisi il 2019, e come spesso accade di questi tempi (Freedom House ne è un altro esempio) lo studio non porta buone notizie.
La struttura del report è molto articolata, ma può essere riassunta così: si prendono in analisi 165 Stati, coprendo praticamente l’intera popolazione globale, e vengono ordinati tramite un indice basato su cinque categorie: processi elettorali e pluralismo; funzionamento del governo; partecipazione politica; cultura politica; libertà civili. Quindi, in base ai risultati dei vari indici, gli Stati vengono classificati in quattro tipologie: democrazie a tutti gli effetti, democrazie imperfette, sistemi ibridi o regimi autoritari.
Secondo i risultati gli Stati in cui vige una delle due forme di democrazia sono 76, ma di questi solo 22 rientrano tra le democrazie a tutti gli effetti. E non è tutto. Prendendo in considerazione il numero degli abitanti, appena il 5,7 per cento su scala globale vive in quei 22 Paesi (tra questi ci sono Canada, Australia e la maggior parte dei paesi dell’Europa Occidentale, mentre l’Italia figura tra le democrazie imperfette al pari dei paesi del blocco di Visegrad e degli Stati Uniti – declassati nel 2016). Il 35,6 per cento degli abitanti del mondo sono invece cittadini di Stati autoritari (Cina, Russia, Iran e Libia, tra i tanti).
Ma l’aspetto meno incoraggiante per chi ha a cuore la democrazia è soprattutto il fatto che il valore medio dell’indice tra tutti i 165 Stati è la più bassa dal 2006 – l’anno in cui la Eiu ha iniziato a pubblicare il report. Oggi quella media equivale a 5,44 in una scala che va da zero a dieci, e si inserisce in un trend di decrescita che va avanti dal 2016. I valori più alti sono stati raggiunti da Norvegia (9.87), Islanda (9.58) e Svezia (9.39), mentre i più bassi sono quelli di Corea del Nord (1.03), Repubblica Democratica del Congo (1.13) e Repubblica Centrafricana (1.32).