Un report dice che tutte le soluzioni messe in atto finora per combattere la crisi climatica non sono abbastanza
La crisi climatica è già in corso e la sopravvivenza dell’umanità è già a rischio, come ci hanno ricordato in queste settimane i giovani attivisti imbrattatori di opere d’arte – dopo i Girasoli di Van Gogh si sono dedicati al Pagliaio di Monet, imbrattato con un’altra secchiata di zuppa, questa volta di patate – e come da anni ci ripetono scienziati e ricercatori. L’ultima conferma dell’urgenza della crisi la possiamo leggere nel report State of Climate Action 2022. Il documento è un’analisi della situazione climatica della Terra in cui si cerca di capire se, come e quando riusciremo a raggiungere gli obiettivi fissati dagli accordi di Parigi: dimezzare entro il 2030 le emissioni di gas serra e limitare così a 1,5 C° l’aumento della temperatura media globale rispetto ai livelli pre-industrializzazione.
Come sottolinea anche il Guardian, per capire a che punto siamo nella lotta al cambiamento climatico, i ricercatori hanno usato quaranta indicatori – tra i quali, per esempio: la quantità di gas che usiamo; quanto acciaio produciamo; quanti viaggi facciamo usando la macchina – e hanno tratto la conclusione che, in sostanza, stiamo andando malissimo. Nessuno degli obiettivi posti a Parigi sembra davvero raggiungibile entro il 2030. Anzi, in alcuni casi ci stiamo persino allontanando velocemente da quei traguardi invece che avvinarci, magari lentamente, ma almeno avvicinarci. Secondo il report, infatti, consumiamo sempre troppo gas, produciamo sempre troppo acciaio, usiamo sempre troppo la macchina, abbattiamo sempre troppi alberi e usiamo sempre troppo terreni a fini agricoli.
Alla luce di questi dati particolarmente preoccupanti c’è da domandarsi se si possa fare qualcosa, nel quotidiano, per contenere i danni. Sicuramente sarebbe importante il maggiore utilizzo dei trasporti pubblici (che secondo la ricerca dovrebbe aumentare di sei volte rispetto al tasso attuale), ma anche ridurre il consumo di carne, mangiando, nei Paesi più sviluppati, non più di due hamburger a settimana. Il crescente utilizzo del gas per la produzione di energia elettrica in tutto il mondo è sicuramente uno dei fattori più preoccupanti. L’ha sottolineato, sempre al Guardian, Bill Hare, amministratore delegato di Climate Analytics (che ha contribuito alla stesura del report): «È particolarmente preoccupante l’aumento della produzione di energia elettrica da gas fossile, nonostante la disponibilità di alternative più pulite e a basso costo». Questa è una conseguenza dovuta sia alla pandemia che alla guerra in Ucraina, fattori che hanno mostrato chiaramente come «la continua dipendenza dai combustibili fossili non solo sia dannosa per il clima, ma comporti anche seri rischi economici e di sicurezza».