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Elisabetta II, l’ultima vera icona del nostro tempo

La casa editrice Taschen celebra la regina d'Inghilterra con una riedizione, riveduta e aggiornata di uno dei suoi volumi cult: Her Majesty. A Photographic History 1926–Today.

06 Novembre 2020

Il suo regno è il più lungo di tutta la storia britannica. Di lei si è detto, scritto e mostrato di tutto. E stata ovunque: sulle cover dei dischi punk, sulle mug, sulle t-shirt, su Netflix. L’hanno ritratta i più grandi artisti del Novecento, da Andy Warhol a Lucian Freud. L’hanno cantata le popstar, da Madonna agli Smiths. Ha attraversato guerre, scandali, Brexit e perfino pandemie senza mai restare (almeno in apparenza) scalfita. È come la stele di granito di Stanley Kubrick, quella di 2001 Odissea nello spazio. Solida, indistruttibile, inalterabile. La Regina Elisabetta II è probabilmente l’ultima vera icona del nostro tempo. Più del Papa, più di Steve Jobs, più di Obama.

La casa editrice Taschen la celebra con una riedizione, riveduta e aggiornata di uno dei suoi volumi cult: Her Majesty. A Photographic History 1926–Today. Un viaggio fotografico nella vita pubblica e privata di sua Maestà, raccontato attraverso i momenti clou della sua reggenza lunga oltre sei decenni: tour internazionali, funzioni statali, matrimoni reali e giubilei immortalati da star dell’immagine come David Bailey, Yousuf Karsh, Wolfgang Tillmans, Rankin, Annie Leibovitz, Patrick Lichfield e tanti altri ancora. Il volume, in uscita a novembre, è stato definito dal Telegraph Magazine «uno straordinario compendio fotografico che copre ogni dettaglio della straordinaria vita della sovrana». Novantaquattro anni compiuti il 21 aprile e vissuti più o meno pericolosamente. Dalla nascita, al civico 17 di Bruton Street, a Londra, nella residenza cittadina dei nonni materni (al suo posto ora c’è un ristorante cinese) fino ai giorni nostri.

Il libro, scritto dallo storico, biografo e scrittore inglese Christoper Warwick, si divide in cinque grandi capitoli. Ci sono i momenti ufficiali e quelli privati. C’è il suo diciottesimo compleanno festeggiato sotto le bombe durante la guerra e il matrimonio con Filippo (oggi novantanovenne), c’è la maternità e l’incoronazione a Westminster. Ci sono gli abiti e i cappellini color pastello sfoggiati in occasione di cerimonie ed eventi. Dal 6 febbraio del 1952, giorno in cui è stata incoronata, Queen Elizabeth ha compiuto più di 250 visite ufficiali all’estero visitando oltre 130 nazioni. Ha conferito quasi quattrocentomila fra onorificenze e riconoscimenti. Ha incontrato dodici presidenti americani, quattordici premier britannici, sette papi. Si è autodefinita «la prima regina capace di guidare» (l’ultima donna a governare l’impero britannico era stata la Regina Vittoria alla fine dell’800). Nel 1976 è stato uno dei primi capi di stato a spedire un’e-mail. Mentre lo scorso giugno è apparsa in una scoppiettante videocall con la figlia Anna su Zoom per celebrare la Carers Week.

Eppure, in tutti questi anni, ha tenuto solo cinque discorsi alla nazione. Non proprio una donna loquace, almeno in pubblico. L’ultimo, in ordine di tempo, il 5 aprile scorso, nel momento più cupo dell’emergenza Covid-19. Ha parlato al popolo, vestita con un abito verde smeraldo, simbolo di speranza e di rinascita. «Insieme stiamo affrontando l’emergenza, se restiamo uniti e risoluti vinceremo noi. Spero che nei prossimi anni tutti potranno essere orgogliosi di come hanno risposto a questa sfida. E coloro che verranno dopo di noi diranno che i britannici di questa generazione sono stati più forti di qualsiasi altro, che le qualità dell’autodisciplina, della cortese determinazione e della comprensione reciproca ancora caratterizzano questo Paese. We will meet again». E gli inglesi sono andati in solluchero.

Per certi versi Her Majesty sembra un album di famiglia. Ci sono scatti bellissimi, alcuni dei quali mai visti prima. In uno firmato da Harry Benson c’è Elisabetta ritratta col marito durante un tour dei Caraibi nel 1966, in un altro la si vede pranzare con i figli Carlo e Anna al Castello di Windsor nel 1968, in occasione del documentario tv Royal Family, andato in onda l’anno dopo. C’è poi una foto che la ritrae a cavallo nel 1951, mentre indossa la tunica scarlatta dei Granatieri, di cui era colonnello, e in un’altra, invece, firmata da Harry Myers sta per incontrare Laurence Olivier e Marilyn Monroe, impegnati durante le riprese de Il principe e la ballerina nel 1956.

Ma Her Majesty non è solo un libro di immagini, è soprattutto un compendio di storia del costume occidentale. Dove al centro di tutto, c’è sempre e solo lei: Elisabeth Alexandra Mary. E pensare che non sarebbe dovuta diventare nemmeno regina. Non era infatti lei la predestinata. È stato un colpo di scena a cambiare la storia e il suo futuro: l’11 dicembre 1936 suo zio, Re Edoardo VIII, rinunciò alla corona per sposare la pluridivorziata Wallis Simpson, abdicando in favore del fratello. Il nuovo re, Giorgio VI, aveva due figlie: Elisabetta, che in qualità di primogenita divenne l’erede al trono, e Margaret. Sembra che quest’ultima, che all’epoca aveva solo 6 anni, chiese alla sorella maggiore: «Questo significa che poi diventerai regina?». Elisabetta rispose: «Suppongo di sì». E Margaret replicò: «Povera te».

I pochi che possono dire davvero di conoscerla, la definiscono una donna severa, ma anche calma, leale e dannatamente ironica. Anni fa, a una donna il cui cellulare suonò durante una riunione in pompa magna disse: «Faresti meglio a rispondere. Potrebbe essere qualcuno di importante». Mentre a Eric Clapton, nel corso di un’incontro ufficiale, chiese che lavoro facesse e da quanti anni suonasse la chitarra. «Da quarantacinque anni, Maestà!».

Amante dei cani di razza corgi (ne ha avuti più di trenta e molti di questi si possono vedere sfogliando le 368 pagine del libro), appassionata dei gialli di Agatha Christie e Dick Francis, pare che uno dei suoi hobby da bambina – quando si faceva chiamare Lilibeth – fosse quello di raccogliere i pezzi degli aerei tedeschi abbattuti nelle campagne inglesi. Almeno questo ha raccontato di recente la sua amica di infanzia Alathea Fitzalan Howard in un altro libro, The Windsor Diaries: 1940-1945, uscito proprio in questi giorni. Nel diario si parla anche della prima cotta della futura monarca, per un certo Hugh, poi di quelle successive per i duchi di Rutlande e Buccleuch e infine per il capitano scozzese Roderick Cameron Robertson-Macleod. Quest’ultimo, sostituito sul filo di lana, da Filippo Mountbatten che, racconta la leggenda, pare che la corteggiò ininterrottamente dal 1943 fino al 1947, anno delle nozze. «I bei ricordi», ha detto un giorno la regina, «sono la nostra seconda possibilità di felicità». Il libro Her Majesty, insieme a quello della stessa Alathea, confermano in pieno l’assunto. Congelano la memoria, soprattutto quella positiva. E la dilatano nel tempo. Un tempo che nel caso di Elisabetta, sembra non avere fine.

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