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Putin e Snowden

La partita che si sta giocando tra Mosca e Washington. Tra il reclutatore della Cia arrestato in territorio russo, le adozioni bloccate e il caso Nsa.

01 Luglio 2013

I reporter che lo cercano da giorni nelle sale d’aspetto dell’aeroporto Sheremetyevo cominciano a crederci davvero: forse Edward Snowden se n’è andato, magari si trova a Mosca, in un appartamento protetto dagli uomini dei servizi segreti, oppure è già lontano dalla Russia, è salito su jet privato ed è partito per l’Ecuador, l’unico paese che oggi sembra disposto a garantirgli protezione, almeno per qualche mese. Un esperto di aviazione del sito internet PrivateFly ha fatto qualche calcolo e ha scoperto che l’idea non è poi così lontana dalla realtà, perché un po’ di coraggio e uno scalo notturno in Mauritania permetterebbero a un Falcon 7X di coprire le settemila miglia che separano Mosca da Quito grossomodo in quindici ore. Quindi i giornalisti aspettano ancora nei corridoi del Terminal E, bevono molto caffé, parlano con i commessi nei negozi di souvenir e con i frati alla cappella di San Michele Arcangelo, ma sotto sotto sperano soltanto che Snowden accenda presto il cellulare ed entri finalmente su Foursquare.

Secondo Vladimir Putin Eric Snowden è un “uomo libero” e non può finire in un carcere, figurarsi se si può estradare negli Stati Uniti. Forse la Russia non è il primo paese in cui un uomo libero cercherebbe asilo e rifugio, ma la vita certe volte porta a decisioni stravaganti (dopotutto anche Gerard Depardieu ha lasciato la Francia per evitare l’aggressione del fisco e ha trovato una nuova casa a Grozny, la capitale della Cecenia). Il problema è che Barack Obama considera Snowden un pericolo per la sicurezza nazionale, e con i giorni aumentano anche i problemi perché ora la priorità non è portare la spia in tribunale americano, ma impedire che parli che con i russi.

La battaglia fra Mosca e Washington è una questione di valori, di carte bollate, di liste nere contro gli ufficiali russi, divieti sulle adozioni, dibattiti sulla moralità di un intervento in territorio straniero.

Dietro al tema dell’uomo libero, in realtà, avanza uno scontro abbastanza inedito con la Casa Bianca: la battaglia fra Mosca e Washington non si gioca sulle sfere d’influenza o su qualche avamposto nel Caucaso del sud, è una questione di valori, di carte bollate, di liste nere contro gli ufficiali russi, divieti sulle adozioni, dibattiti sulla moralità di un intervento in territorio straniero. E ogni tanto spunta qualche storia interessante, come l’arresto, avvenuto il mese scorso, di un funzionario dell’ambasciata americana che camminava per Mosca con una parrucca bionda e qualche cartella con le istruzioni per trasformare giovani russi in agenti della Cia (l’uomo è stato rispedito negli Stati Uniti dopo una ramanzina trasmessa in diretta tv).

Poi è venuto Snowden, che in questi giorni ha trovato anche il modo di passare alla stampa altri dossier interessanti. Le notizie finite sullo Spiegel nel fine settimana sono un brutto affare sul piano delle relazioni pubbliche, probabilmente guasteranno qualche cocktail nei palazzoni di Bruxelles, ma rappresentano poca cosa rispetto a quel che già si sapeva (o s’immaginava) sui rapporti fra l’intelligence americana e l’Unione europea, Italia compresa.

A quanto sembra l’Agenzia per la sicurezza americana (Nsa) acquisiva informazioni sugli scambi di email e sui movimenti dei colleghi in Europa, infiltrava agenti, usava gli uffici della Nato come una centrale d’ascolto per tenere sotto controllo il Consiglio europeo, insomma, quel genere di attenzioni che una democrazia con amore per confini e interessi nazionale dovrebbe sempre tenere in conto. Soprattutto se si ritrova con cinque milioni di ufficiali, dipendenti pubblici e contractor che hanno a che fare in maniera più o meno diretta con la raccolta e l’analisi di dati sensibili, e che magari sono stanchi di tradurre conversazioni in pashtu fra pachistani di Brooklyn e lontani cugini che vivono ancora a Karachi.

E le polemiche, le richieste di Martin Schulz e le risposte un po’ vaghe degli americani hanno spostato l’attenzione dalla domanda originale: dov’è finito Edward Snowden? L’ultima traccia che ha lasciato a Mosca è il check in su un volo per Cuba che è partito una settimana fa, ma era pochi minuti prima che gli americani cancellassero il suo passaporto, impedendogli così d’imbarcarsi: quel pomeriggio decine di agenti in divisa hanno riempito le sale d’aspetto del Terminal E, i piloti sembravano tesi (“come se fossero sotto processo”, ha scritto l’inviato del Financial Times), alcuni reporter sono riusciti a salire sull’aereo ma la poltrona di Snowden è rimasta vuota. Per di più i reporter hanno scoperto che Aeroflot non serve alcolici sui voli per i Caraibi, e questo non ha migliorato la situazione. Allora la ricerca è tornata al Terminal, che si trova a mezz’ora di treno di Mosca ma è una dimensione parallela, almeno sul piano delle formalità, chi arriva con i voli internazionali si può fermare senza mostrare il passaporto per ventiquattro ore, chi rimane senza visto aspetta i documenti al Novotel e ogni tanto può scendere nella hall dell’albergo per una passeggiata.

Ma Snowden non si trova al V-Express. Il problema è che non c’è un altro posto al Terminal E di Sheremetyevo in cui si potrebbe rifugiare.

Il piano di Snowden era abbastanza preciso, contava di restare in Russia poco tempo e di ripartire per Quito con una tappa a Cuba e un’altra in Venezuela, quindi niente quarantena al Novotel ma una notte di riposo al V-Express, l’hotel capsula, un albergo che ricorda gli ostelli di Praga e costa 10 euro all’ora. Ma Snowden non si trova al V-Express, il ragazzo all’ingresso parla volentieri con i giornalisti, dice che arivano ogni giorno molto ospiti “famosi” e sorride senza fare commenti quando gli chiedono se ha visto la spia con i suoi occhi o se conosce qualche particolare sulla sua fuga. Il problema è che non c’è un altro posto al Terminal E di Sheremetyevo in cui si potrebbe rifugiare.

“Metro-2” è il nome di un progetto misterioso che sarebbe partito negli anni Cinquanta, all’epoca di Stalin, e nessuno ha mai riuscito a scoprire con certezza se fosse una leggenda comunista o un piano già realizzato. Si tratta di una rete che corre cinquanta metri sotto i tunnel della metropolitana di Mosca e può essere usata soltanto da certi ufficiali del governo: collegherebbe il Cremlino, il quartiere generale dei Servizi segreti che si trova poco distante, al palazzo della Lubyanka, e l’aeroporto Vnukovo, il più piccolo della città. Insomma, l’alternativa della fuga aveva una buona tradizione anche nella cultura sovietica. All’inizio degli anni Novanta un gruppo di speleologi s’è avventurato fra quei canali per cercare conferme e alcuni hanno raccontato poi di avere trovato l’ingresso a Metro-2, ma le ricostruzioni sono ancora scarse.

E chissà che Snowden, ai segreti rubati al governo americano, non possa aggiungere adesso qualcosa di molto prezioso che oggi appartiene a Vladimir Putin.

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