Si fa chiamare Pip perché il suo vero nome, Purity, le fa orrore. Si vergogna a tirare fuori un documento d’identità e non, come capita a tutti per la foto, ma per quel nome che è una condanna, un’aspirazione impossibile, la causa del «blocco di granito» che sta al centro della sua vita, che la nutre di sarcasmo e di rabbia. Pip abita in California, ha una mamma strana, un lavoro che non capisce e che svolge malissimo, un debito da 130 mila dollari che ha contratto per studiare, una stanza in una casa di ex marxisti uno più pazzo dell’altro, un’infatuazione distruttiva per un coinquilino più anziano di lei, sposato e allergico al denaro. Cerca suo padre, Pip, si augura che sia un uomo ricchissimo che possa ripagarle i debiti, ma sua madre si rifiuta di rivelarle l’identità di quest’uomo. Anzi: Pip non sa nemmeno come si chiama sua madre.
Per raccontare l’America di oggi, Franzen decide di infilarsi in una delle sue più grandi ferite. È quella che gli Stati Uniti si sono inferti da soli, quando è scoppiato lo scandalo della National Security Agency: Edward Snowden ha rivelato che gli americani hanno fatto dello spionaggio un’arma diplomatica parecchio contundente. Sull’onda degli attacchi terroristici e della necessità di intercettare telefonate e corrispondenze digitali per prevenire nuovi attentati, il governo statunitense ha introdotto sistemi di sorveglianza al limite della legalità. Washington spia tutti, alleati e non alleati, ed è ricambiata con identico sospetto: mentre di fronte alle rivelazioni scattava una crisi diplomatica via l’altra, si scopriva che così fan tutti. I francesi, i tedeschi, i russi soprattutto. E così fanno anche le grandi aziende di Internet, con un vantaggio in più rispetto ai governi: non devono frugare granché perché gli utenti sono i primi a rilasciare volontariamente informazioni sensibili su loro stessi.
Franzen parte da un clima da Grande Fratello per dimostrare che, in fondo, lo spionaggio serve interessi personali, intimi quasi, ma riesce a creare un nesso diretto tra quel che accade oggi, tra Wikileaks e spiate di Stato, una guerra insolita tra traditori accidentali e modernissimi, e quel che accadeva durante la Guerra fredda nei regimi dell’Est europeo, dove la sorveglianza era sinonimo di ricatto. Oggi l’America soffre per aver mostrato questo suo volto da ficcanaso, cerca di sistemare con le leggi lo sfregio alla propria purezza. Nel romanzo, il personaggio più americano, Tom, è un uomo coraggioso, un giornalista d’inchiesta, che a differenza di tutti gli altri non conosce il disincanto. È un midwestern combattivo, che ha avuto a che fare con la follia degli altri, ma che ha costruito un progetto di trasparenza basato sulla propria lealtà. È alla solidità di Tom che Franzen delega anche la salvezza dell’America.
Andreas Wolf, con i suoi infiniti tormenti, è tutto il contrario di Tom. È nato e cresciuto a Berlino est, è figlio di un pezzo grosso del Partito, ha una madre anglofila e depressa, che gli ha condizionato l’adolescenza come solo le madri troppo belle e troppo sofferenti sanno fare, creando un’ideale di donna che non esiste. Mentre il regime a Berlino est spiava tutti e tutto, e i segreti diventavano violazioni, Andreas disegnava ritratti di donne, si masturbava sui suoi disegni, li buttava via e ricominciava, protetto dal privilegio della famiglia bene e dal senso di colpa della mamma che si era fatta trovare, una volta, in mezzo alle rose della dacia fuori città, immobile e nuda. Segreti e colpe: di questo si è nutrito Andreas, che diventa quasi senza accorgersi «un dissidente importante», ma il Muro è crollato, si può correre dall’altra parte del mondo e imparare a combattere tutti i regimi in cui si spia, si riferisce, si costruiscono carriere sulle vite degli altri. E questo regime, talvolta, è anche l’America.
Lo scrittore traccia parallelismi meravigliosi tra il totalitarismo comunista e quello internettiano, sottolinea che anche i termini utilizzati sono simili – collettivo, collaborativo – e che «l’assioma per entrambi era che stava emergendo una nuova specie di umanità». Andreas decide di costruire in Bolivia il suo progetto dissidente, un’oasi rigogliosa ricca di umanità – nuova – bellissima, intelligentissima, abbronzatissima, impegnatissima. Sono gli adepti del “Sunlight Project”, la luce del sole «è il miglior disinfettante» del mondo e Andreas è il più affascinante e tormentato rappresentante di una battaglia contro i segreti che, come accade anche nella realtà, si nutre di segretezza. Andreas crea un paradiso di hacker svelatori delle malefatte dello Stato e del sistema soltanto perché ha paura che il suo segreto, indicibile, venga scoperto o svelato dall’unica altra persona al mondo che lo conosce.
Cerchi e ricerchi ragioni nobili nella trasparenza assoluta e poi scopri che il dilemma tra sicurezza e privacy, quel che non voglio dire di me e quel che il mondo scopre mettendo insieme le tracce che lascio muovendomi nel mondo, si riduce a un impulso personale, spesso mediocre, la voglia di mortificare un amico, di smascherare un marito, di dare munizioni alla propria malvagità. La ricerca della purezza è un delitto da nascondere, un amore da dimenticare, una donna troppo bella, un padre inconsapevole, una madre da proteggere e al tempo stesso da odiare – quante ce ne sono, nei romanzi di Franzen, di madri, di donne, che non trovano mai il loro posto – una vergogna indistruttibile. La stessa che prova Pip ogni volta che qualcuno scopre il suo nome, il segreto più difficile da custodire.