Mentre sulle app d’incontri le ragazze si lamentano dei maschi che si fanno le foto allo specchio, in palestra, e si domandano se esista un uomo che ambisca a qualcosa di più che cucinare la carbonara migliore del mondo, torna in libreria uno dei capolavori di Woody Allen, il copione di Provaci ancora, Sam, pubblicato da La Nave di Teseo (traduzione di Carlo Prosperi). Una commedia, sì, che prima di diventare un film (interpretato, ma non diretto da Allen) ha debuttato il 12 febbraio 1969 al Theatre Broadhurst Theatre di New York, con alcuni attori che poi avremmo ritrovato anche al cinema: Anthony Roberts nei panni di Dick, il migliore amico di Sam, Diane Keaton in quelli della compagna di Dick, Jerry Lacy in quelli del fantasma di Bogart e ovviamente Woody Allen in quelli di Sam.
Suonala ancora, Sam
E ce ne sarebbero di cose da dire, su questa commedia. Partiamo dal titolo, anzi, dalla traduzione del titolo. L’originale è Play It Again, Sam, che è una frase della protagonista di Casablanca (Ilsa Lund, interpretata da Ingrid Bergman). «Suonala ancora, Sam», dice lei, rivolgendosi al pianista del Rick’s Cafè, che sta suonando la canzone As Time Goes By. E come mai questo titolo? Perché Casablanca è il film preferito di Sam (che però nella commedia originaria si chiama Allan, il vero nome di Woody Allen) e perché Humphrey Bogart, coprotagonista del film con Bergman, compare spesso, a teatro e poi al cinema, come una specie di fantasma, di grillo parlante, di angelo custode, di coscienza avvolta in un trench, per aiutare Sam nei suoi momenti di disagio e di difficoltà. Ed è proprio qui, nelle piccole cadute quotidiane e a tratti immaginarie, che si nasconde l’intento del titolo italiano, che cancella qualsiasi riferimento alla musica e a Casablanca. E l’effetto che ha su di noi è lo stesso di quando abbiamo scoperto che (500) giorni insieme in realtà è (500) Day of Summer, in cui Summer (che nella versione italiana si chiama Sole) è la protagonista del film.
Il tipo nevrotico
La trama di Provaci ancora, Sam, in fondo, è molto semplice. C’è un ragazzo, Allan, che viene lasciato dalla moglie Nancy, che non ne può più di lui, e allora il suo migliore amico Dick e la sua compagna Linda cercano di aiutarlo a voltare pagina. Il mondo è pieno di ragazze, gli dicono, e poi gli chiedono che tipo di ragazza gli piace. «Il tipo nevrotico», risponde Allan. E intanto compare Bogart, stella di Hollywood e prototipo del maschio alpha che non deve chiedere mai, che non prova sentimenti, che rimane impassibile di fronte agli addii, che prova a convincere Allan che in fondo le ragazze sono creature semplici, che con loro basterebbe usare un linguaggio universale, quello della sberla e della pistola. E quando Allan si lascia scappare il termine “relazione”, Bogart gli domanda se quella parola l’abbia sentita da uno strizzacervelli di Park Avenue.
L’invenzione (e la rivincita) del maschio beta
Nonostante Bogart sia invadente e voglia imporre la propria visione del mondo, Allan non ce la fa proprio a non mostrarsi agitato, ansioso, indifeso, dipendente dalla psicanalisi e da quello che gli altri potrebbero pensare di lui. Quando viene lasciato da Nancy, che lo invita a non prenderla sul personale, lui risponde: «Io mi suicido, tutto qui». Quella casa che, a pensarci bene, rispecchia il disordine interiore di Allan, con i libri sparsi sul pavimento, le pile di riviste appoggiate su un angolo del sofà, i flaconi di aspirine buttati sul tavolo nel soggiorno. E mentre noi vediamo Allan farsi prendere dagli attacchi d’ansia, camminare avanti e indietro per la casa, inondarsi il corpo di profumo perché Dick e Linda gli hanno appena combinato un appuntamento, ci accorgiamo piano piano di quello che sta succedendo. Ok, sì, Provaci ancora, Sam è una storia che parla d’amore, di legami, di solitudine, di nostalgia, ma è soprattutto una storia che racconta l’invenzione (e la rivincita) del maschio beta. Dick sta sempre al telefono per lavoro e Linda si sente trascurata, Bogart fa il duro, è ingabbiato nel suo personaggio, non sa come uscirne, da attore feticcio, coscienza, fantasma, diventa spettatore, proprio come noi, vede Allan che si innamora di Linda e che alla fine rinuncia a lei per non perdere il suo migliore amico.
«Tu stai facendo una cosa di cui non ti credevi capace», dice Bogart, «rinunci a una gallinella di prim’ordine per non ferire un amico. Se lo facessi io, la platea sarebbe inondata di lacrime». «Il segreto», arriva a capire Allan, «sta nel non essere te ma me». Sta nel lasciarsi andare, nel mostrarsi vulnerabili, disarmati, nel pensare che va bene ogni tanto non essere del tutto noi stessi, se l’idea è quella di far colpo sulla persona di cui ci siamo innamorati. Non bisogna mai vergognarsi di inciampare, di soffrire, di sembrare goffi, inadeguati, ipocondriaci, di essere romantici, sempre, ma un po’ di più quando fuori piove, visto che la pioggia, in un modo o nell’altro, «sciacqua via i ricordi dal marciapiede della vita».

Subito dopo la vittoria dell'Akatugawa Prize, il Premio Strega giapponese, la giovane autrice Rie Qudan ha detto di essersi fatta aiutare dall'AI per scrivere il romanzo. E di essersi trovata benissimo.