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Cosa si diceva di Facebook prima che diventasse famoso

21 Gennaio 2016

Browser History è una rubrica del popolare sito di aggregazione Digg che ripesca i commenti che hanno accompagnato il primo lancio di gadget e servizi che ora sono di uso così quotidiano da venire quasi dati per scontati. L’ultimo capitolo è dedicato a Facebook, aperto alle iscrizioni esterne nel settembre 2006 e in precedenza noto come “thefacebook”, il nome originale che gli aveva dato Mark Zuckerberg.

Agli inizi del 2004 l’Harvard Crimson, il quotidiano degli studenti di Harvard – l’ateneo dov’è stata sviluppata la versione originale del social network – scriveva: «Il sito web unisce elementi standard degli annuari dei dormitori con funzioni di costruzione di un profilo dettagliato che permettono agli studenti di cercare altre persone che frequentano i loro corsi, fanno parte delle loro organizzazioni e dei loro dormitori». Il giornale dell’Indiana State University mostrava invece una certa difficoltà nel comprendere cosa fossero i poke: «Sul sito non esistono spiegazioni per l’opzione “poke”. Scegli di fare poke a qualcuno e questa persona può ignorarti o “pokarti” a sua volta. Il poke simboleggia nient’altro che un “ehi” digitale; è come seguire qualcuno nel corridoio del tuo liceo e può essere percepito come ugualmente seccante».

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Nel giro di qualche mese il progetto com’è noto è decollato, arrivando a testate più d’establishment. Ad aprile del 2004 il New York Times pubblicava le parole di un universitario: «Nessuno lo usava all’inizio, poi un paio di persone hanno iniziato a collegarsi. Non volevo incontrare qualcuno, ma ci tenevo a vedere quant’ero compatibile coi miei amici. Poi una settimana dopo ho caricato una foto, e quella successiva ho aggiunto un profilo scritto. In pratica è come se ti risucchiasse». Uno studente di Harvard nel 2006 ha detto al New Yorker: «Era visto come un guilty pleasure che dava dipendenza».

Digg fa notare che ancora prima che il termine “virale” esistesse o avesse preso piede, i media descrivevano Facebook come qualcosa di “virale”. Nell’estate del 2005 il Los Angeles Times parlava della sua diffusione capillare: «Uno sguardo alle statistiche della crescita mostra che mentre il numero di iscritti aumenta […] il servizio sta diventando una popolare estensione della vita quotidiana nei campus del Paese».

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