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Ci sarà un sequel di C’era una volta a… Hollywood diretto da David Fincher, scritto da Quentin Tarantino e con protagonista Brad Pitt Il film racconterà la storia di Cliff Booth, il personaggio interpretato da Pitt nel film di Tarantino del 2019.
Prada ha aperto un ristorante ispirato ai film di Wong Kar-wai Si trova a Shangai e riproduce l'atmosfera dei film del regista di "In the Mood for Love".
La ministra della Giustizia americana vuole la condanna a morte per Luigi Mangione Ha inviato una comunicazione ai procuratori federali, chiedendo la pena di morte per quello che definisce «un terrorista».
Per aspera ad astra è il tema dell’edizione di C2C Festival che renderà omaggio a Sergio Ricciardone I biglietti saranno acquistabili da sabato 5 aprile.
È morto Val Kilmer, la rockstar della Hollywood degli anni ’80 e ’90 Aveva 65 anni e da tempo si era ritirato dalle scene a causa di un cancro alla gola.
C’è un pesce che si è evoluto appositamente per evitare di avere a che fare con i suoi simili Si chiama tetra messicano (Astyanax mexicanus) e ci ha messo 20 mila anni per raggiungere questo notevole risultato.
Nei biopic sui Beatles di Sam Mendes ci saranno tutti i boni preferiti di internet Harris Dickinson interpreta John Lennon, Paul Mescal sarà Paul McCartney, Barry Keoghan è Ringo Starr e Joseph Quinn farà George Harrison.
Adolescence verrà mostrato in tutte le scuole medie inglesi Un'iniziativa appoggiata dal Primo ministro inglese, Keir Starmer.

L’insospettabile milanesità del populismo

Milano città-stato, si dice, ma Salvini e Casaleggio sono milanesi e il vertice Lega-Cinque Stelle si è fatto al Pirellone.

15 Maggio 2018

Milano città-stato, avevamo detto, Milano oasi felice. Milano che resta liberal e ottimista mentre nel resto del Paese avanza un populismo fatto di risentimento e di paura. Milano che non è l’Italia della Lega e dei Cinque Stelle. Sarà. I numeri, in effetti, dicono che a Milano, e quasi solo lì, ha vinto il Pd. Però forse c’è un rovescio della medaglia. Se lasciamo stare i numeri e ci concentriamo sulla storia recente e sui suoi protagonisti, sorge un dubbio: vuoi vedere che Milano è la culla del populismo? Salvini è milanese. La Casaleggio e Associati sta a Milano. Berlusconi, che di questa situazione è stato un po’ un argine e un po’ il padrino, è l’idea platonica della milanesità. Il vertice Lega-Cinque Stelle si è tenuto, guarda un po’, nel capoluogo lombardo. Milano sarà anche un altro mondo, rispetto all’Italia populista, ma il governo populista potrebbe partire da qui.

Facciamo un passo indietro al 4 marzo (trigger warning). Dopo le elezioni, la mappa dell’Italia era questa qui: il Nord conquistato dalla destra, una destra a trazione leghista, non forzaitaliota, e un Sud saldamente in mano ai  Cinque Stelle. In questa nuova geografia politica, due eccezioni: la Toscana, dove il Pd tutto sommato ha retto, e, per l’appunto, Milano. In un’Italia settentrionale che si presentava come una distesa omogenea di blu (il colore del centrodestra, in questa rappresentazione di Sky e YouTrend), con l’eccezione di una Valle d’Aosta grillina, in un Nord monocromatico, si diceva, Milano era un puntino rosso nel blu dipinto di blu, dove il Partito democratico si è portato a casa i collegi uninominali con una solida maggioranza.

A seconda di come la si vede, quest’anomalia meneghina poteva essere interpretata in modo diverso. Alcuni l’hanno vista come una dimostrazione della superiorità morale e culturale di una città aperta e cosmopolita, proiettata più verso l’Europa che verso il resto del Paese: questa, in genere, è la storia che si raccontano i milanesi per sentirsi più fighi. Per altri è stata l’ennesima dimostrazione di come i partiti di sinistra stiano diventando sempre più i partiti delle élite culturali e dei ricchi: questa, in genere, è la spiegazione preferita da chi dà la colpa al Pd. Forse, più banalmente, è che, come le altre capitali economiche d’Europa, Milano è la casa di quelli che vengono definiti “i vincenti della globalizzazione”: chi da una società aperta ha da guadagnare e che dunque vota per i partiti che la sostengono.

Milano

Milano non è il Paese reale. Eppure. Eppure le forze che sembrano destinate a guidarlo e a rifletterlo questo Paese reale arrivano, gira che ti rigira, tutte da qui. Prendiamo la Casaleggio e Associati: ve lo dobbiamo spiegare che conta più di Di Maio, che il Movimento Cinque Stelle è un partito azienda e che le redini di quell’azienda le tiene Casaleggio, non Grillo? I grillini hanno vinto grazie al Sud, sono il partito del Sud, ma la Casaleggio e Associati, con l’Associazione Rousseau, sta nel capoluogo lombardo: «Queste cose le dovete chiedere a Milano», è quello che risponde l’ufficio stampa del Movimento quando gli si fa qualche domanda sulle primarie, come a sottolineare l’associazione implicita tra il partito e l’azienda e tra l’azienda e la città (ma non tra il partito e la città). La Lega s’è presa il Nord, ha stravinto in Lombardia, ma non è riuscita a conquistare Milano. Eppure Salvini è milanesissimo, nato e cresciuto a Milano città, mica in provincia: ha fatto pure il Manzoni, liceo della cerchia dei Navigli. E cosa dire di Berlusconi? Forza Italia, direte voi, è un’altra cosa, una destra meno virulenta, però non è nemmeno un partito conservatore tradizionale: sarà anche la coca light dei populismi, però ha aperto la strada alle derive di questi anni.

Il quadro che ne esce è quello di una città che da un lato ha prodotto questo clima, ma dall’altro non ne è toccata. Non è un caso poi così strano. Qualcosa di simile è accaduto in America con New York e Trump. Come ha scritto Jeet Heer in un divertentissimo pezzo per The New Republic, The Donald è una creatura squisitamente newyorchese, e lo stesso vale per una fetta del suoi entourage: certo, ha vinto grazie ai voti del Sud e gli è toccato allearsi con quel provincialotto di Mike Pence, e nella sua città non lo ha votato quasi nessuno, però Trump è «la quintessenza dello stronzo newyorchese», non c’entra nulla con gli evangelici e i red neck che l’hanno votato. Trump, prosegue Heer, si trova a suo agio solo con altri «stronzi newyorchesi» come Rudy Giuliani e Scaramucci. Lo stesso concetto l’ha ribadito Gay Talese in un’intervista alla Stampa: Trump, ha detto, è «uno sfacciato newyorchese, come Giuliani o il suo avvocato Cohen. Viene da un mondo di costruttori, ruffiani, fornicatori».

Per mesi ci siamo raccontati che quella di adesso è una battaglia tra città e campagne, tra provincialismo e società cosmopolita. C’è del vero, ma dobbiamo anche prendere atto che a guidare quest’ondata populista c’è una categoria antropologica molto particolare: lo stronzo arrogante di città. New York e il trumpismo, Milano e la deriva rosso-bruna. Il Paese reale si starà anche ribellando contro le città globali, però è dalle città globali che parte questa ribellione.

Foto Getty
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