È uscito Per sempre, nuovo romanzo di Richard Ford, il quinto (e ultimo?) libro della saga dedicata a Frank Bascombe, alter ego letterario dell’ottantenne scrittore americano. Dopo aver seguito per quattro decenni le avventure su carta di Bascombe, scrittore fallito, giornalista sportivo e agente immobiliare, e dopo che l’abbiamo visto soffrire attraverso divorzi, malattie e cataclismi naturali, in Per sempre ritroviamo Frank nel Minnesota, dove il figlio Paul è ricoverato per curare una Sla molto invasiva. Per tirarlo su, Bascombe senior organizza una gita in camper al Mount Rushmore, quel luogo grottesco negli Stati Uniti dove un gruppo di artisti ha inciso nel granito, a 1700 metri d’altitudine, una gigantesca scultura dei volti di Washington, Jefferson, Roosevelt e Lincoln. Incontriamo Richard Ford un piovoso pomeriggio di fine estate, ci aspetta nella sede milanese della Feltrinelli, la sua storica casa editrice italiana. Ford è in forma smagliante, d’altronde non mangia carne e non beve alcolici, indossa jeans e un maglione verde, calza scarpe sportive di tendenza. Occhi turchese, sbarbato di fresco, folti capelli bianchi agghindati come si conviene, ha l’aspetto di un vero gentiluomo, sembra appena sceso dalla sua barca sul Mississippi.
ⓢ È vero, come ha dichiarato, che questo sarà l’ultimo libro della saga Bascombe?
Sì.
ⓢ Ma Frank è ancora vivo!
Non importa.
ⓢ L’aveva già annunciato dopo l’uscita del quarto libro, che poi è diventato il penultimo.
Questa volta è vero. Non voglio far invecchiare Frank ancora di più, va bene così. Quando avevo la tua età e guardavo le persone dell’età di Frank, pensavo: non sono molto interessanti, guarda come sono vecchie, non fanno nulla di rilevante. La penso ancora così. E ora che io ho raggiunto quell’età non ho molto voglia di parlare di anziani, me lo concederai.
ⓢ Come ha iniziato a scrivere Per sempre? C’è stato qualche episodio in particolare che l’ha ispirata?
Ero su un taxi con un mio caro amico, a Washington D.C., e lui aveva appena letto Tutto potrebbe andare molto peggio (quarto capitolo della saga Bascombe, nda). Dal nulla, mi fa: dovresti scrivere un libro su Frank Bascombe ambientato il giorno di San Valentino, una stupida celebrazione popolarissima in America. Ho pensato subito, wow! Questa sì che è una bella idea, lo chiamerò “Be mine”, e lì ha avuto inizio il processo creativo.
ⓢ Perché ha scelto di inserire nel suo libro il Mount Rushmore? C’è una ragione particolare, oltre alla vicinanza geografica con il Minnesota?
Ho una casa a Billings, Montana, che mia moglie adora, e perciò guido spesso attraverso il Dakota del Sud per raggiungere casa mia. Una volta ero da solo, e ho visto i cartelli che indicavano l’uscita per il Mount Rushmore. Così mi sono detto: non ci sono mai stato, dovrei andarci! Stiamo parlando di circa cinque o sei anni fa. Ho guidato fino al Mount Rushmore, l’ho visto dal vivo e ho pensato che fosse ridicolo, un’icona dello stile di vita americano, che avrei dovuto infilarlo subito in un libro e vedere che cosa sarei riuscito a cavarne fuori. Qualche tempo dopo, quando mi stavo gingillando con l’idea di scrivere Per sempre, avevo in mente quest’immagine di Frank e Paul in Minnesota alla clinica Mayo. Ok, li faccio andare in un istituto ospedaliero, e poi che cosa faccio con loro? Dove li porto? Uh, ecco la mia chance di usare Mount Rushmore. Quindi di base hai ragione, c’entra la vicinanza geografica, ma è stato un po’ più tortuoso di così. Avevo un sacco di elementi già chiari nella mia testa quando ho iniziato a scrivere questo libro. È sempre un grande aiuto.
ⓢ In passato, lei ha scritto che arrivare in fondo ai libri di Frank Bascombe è un processo che la lascia sempre malato nel fisico e gravemente stressato. È stato lo stesso con Per sempre?
Molto di più!
ⓢ Lei non mi sembra malato…
Ma sono passati più di due anni, mi sono ripreso. Ho vissuto un’esperienza orribile durante la lavorazione di questo libro. Si è diffusa nelle case editrici statunitensi l’abitudine di ingaggiare dei sensitive editor, queste nuove figure hanno letto tutto il mio libro per cercare qualcosa di culturalmente inappropriato, o offensivo per le minoranze. Alla fine, non hanno trovato quasi nulla.
ⓢ Un modo molto americano, se posso, di approcciarsi alla revisione di un testo di Richard Ford.
Un modo stupido, molto stupido. Una specie di polizia morale. Ci sono questi personaggi che stanno sempre lì a cercare chi sta offendendo chi, e a cancellare chi pensano stia offendendo qualcuno. E poi mi hanno assegnato una nuova editor. Una editor dovrebbe limitarsi a cercare nel tuo libro errori d’ortografia, grammaticali, di punteggiatura, e magari in casi limite segnalare se c’è qualcosa di incoerente, di cui forse l’autore non si è accorto. Questa editor invece ha cambiato le mie frasi, le ha cancellate, ha cambiato le parole, unito due frasi in una… ha operato diciassettemila cambiamenti nel mio libro, non sto esagerando.
ⓢ E lei cos’ha fatto?
Ho chiamato la mia casa editrice e ho detto che era una perdita di tempo, un gesto offensivo, e che io stavo diventando pazzo. A loro non fregava nulla, mi hanno detto: «Se non ti sta bene, aggiustalo tu». Tutte queste correzioni erano state fatte su un nuovo programma per editare i testi, quindi non potevo semplicemente riscrivere le frasi del mio libro, c’erano tutta una serie di inutili procedimenti tecnologici da rispettare. Ho dovuto rivedere e annullare queste inutili modifiche, una alla volta. Ci ho messo cinque settimane.
ⓢ Alla fine, immagino, avrà cambiato casa editrice?
Non l’ho cambiata, l’ho lasciata. Era l’ultimo libro del mio contratto, non ho altri libri in programma con loro. Il che è una cosa buona, mi sento tranquillo. Non ci rimpiangeremo.
ⓢ Com’è la sua routine di scrittura?
Quando non sto lavorando a un libro, tipo adesso, scrivo appunti sul mio taccuino. Mi sveglio nel cuore della notte e inizio a scrivere. Tengo un piccolo quadernetto sul comodino, qualcosa del genere (pesca dallo zaino un minuscolo taccuino della Penguin).
ⓢ Va a letto presto e si sveglia nel cuore della notte per scrivere?
Non vado a letto presto, no. Nei periodi dove sto pensando all’idea per un libro, nelle fasi preliminari, scrivo di notte su taccuini. Quando scrivo per davvero un libro, per esempio durante la stesura di Per sempre, inizio a lavorare alle otto e mezza del mattino e vado avanti fino a mezzogiorno e mezzo. Poi vado a pranzo, in palestra, torno alla scrivania verso le tre e mezza e continuo il lavoro fino alle sei. Una routine civilizzata, e non esageratamente faticosa.
ⓢ Le piace la letteratura contemporanea?
Sì. Se capita leggo anche romanzi di debutto, giovani scrittori. Cerco sempre di leggere libri che non ho ancora letto, ma che conosco e che secondo me avrei già dovuto leggere. Non ho una lista, è tutto abbastanza a caso, letteratura, critica, filosofia. Ma leggo tutto il tempo.
ⓢ Prima mi accennava alla sua casa nel Montana. Visto che siamo sotto elezioni, che risultato prevede nel suo Stato?
Abbiamo un buon senatore democratico, Jon Tester, che rischia di perdere il suo posto. Il Montana è sempre più repubblicano, è pieno di mormoni.
ⓢ Che cosa succede in America? Com’è possibile che metà della popolazione consideri Donald Trump un candidato credibile?
Parte della risposta a questa domanda è che non lo so. Per quanto riguarda l’altra parte della risposta, è successo quello che Trump aveva pianificato: si sono associati un sacco di cittadini statunitensi che non si fidano del governo federale, non credono nella legittimità delle elezioni, sono sospettosi. Non vogliono che le donne abbiano pari diritti. Trump rende le persone fiere delle loro paure e di ciò che disprezzano irrazionalmente. E alle persone non piacciono un sacco di cose: odiano il cambiamento, le minoranze, i pari diritti per le donne. Trump gli fa pensare che ciò sia giusto, li legittima, ma è solo una figura in cima a un mucchio di opinioni. È un sentimento che c’era prima di lui, e che ci sarà dopo di lui. Lui l’ha solo alimentato.
ⓢ Pensa che Trump sarà di nuovo presidente?
Probabilmente sì.
ⓢ Il primo attentato fallito a Trump sembra ormai una vecchia faccenda, il ciclo delle notizie è frenetico. È difficile, in questo contesto, scrivere romanzi ambientati nel presente?
No, trovo che sia molto semplice. Fintanto che non subisco il fascino di qualcuno tipo Trump, finché ambiento il mio libro all’interno di una vita ordinaria vissuta da persone normali posso dedicarmi alla trama, per esempio Frank e Paul e il loro viaggio, posso affezionarmi a queste faccende umane. I miei personaggi hanno preoccupazioni politiche, certo, ma sempre sullo sfondo, secondarie. Non ho intenzione di scrivere un trattato su Donald Trump. Non sono così intelligente, non ho opinioni abbastanza originali. Nei miei libri, le parti dove si infila la politica contemporanea sono sempre subordinate a quello che i protagonisti stanno facendo.
ⓢ Mi pare che lei non sia molto interessato ai social media, non ci sono in Per sempre.
Questo è un mio limite, uno di quei casi dove essere vecchi come me conduce all’ignoranza. Paul ha un computer, un laptop, e Frank possiede un telefono. Non credo che riuscirò a spingermi più in là di così. Mentre scrivevo questo libro, mi sono detto: non sarai più in grado di scrivere libri ambientati nel presente perché non sai nulla di quello che i giovani fanno online, come comunicano, quanto il significato di questa comunicazione stia influenzando il loro comportamento. Non me ne frega nulla. A essere onesti non me ne frega nulla di parecchie cose, ma in questo caso proprio non ne so niente. E se iniziassi a infilare roba nel mio libro senza sapere di cosa sto parlando, il libro ne soffrirebbe.
ⓢ Domanda ispirata dalla lettura di Per sempre, lei è felice?
Sì. Ho avuto fortuna nella vita: mia moglie sempre al mio fianco, niente figli, poche malattie, mai al verde. È così da quasi sessant’anni. Ora ho anche due cani. Sono stato a volte infelice, per tutti i motivi per i quali è possibile essere infelice. Mai con mia moglie Kristina, sono sempre stato felice con lei. Ma ora, alla mia età, mentre mi avvicino alla fine, inizio a pensare che la felicità sia obbligatoria. Quant’è noioso avere ottant’anni e stare lì a lamentarsi? Quant’è noioso avere ottant’anni e pensare questo è sbagliato, quello non mi piace, vaffanculo a quell’altro? Voglio solo dire sì a tutto, come Frank Bascombe. È possibile farlo, se si ha una vita interiore disciplinata. A volte qualcosa non mi piace, qualcos’altro mi fa arrabbiare. Quando succede, mi sforzo di pensare che sono felice. Funziona.