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Un pezzo del New York Times sul Cilento ha scatenato il panico in Cilento

“Cinematografico, nascosto Cilento”, annuncia il titolo. “In questa regione d’Italia meno battuta, lo scenario è spettacolare, l’acqua scura come il vino. Ha sole e mare, rovine greche, natura selvaggia, curiose leggende e santuari medievali”, specifica il sottotitolo. L’articolo, firmato da Nina Burleigh, è accompagnato dalle stupende fotografie di Francesco Lastrucci. Contiene un’espressione in italiano (“staccare la spina”) e, ovviamente, un po’ di immagini di tipica italianità, tra cui un bel caffè macchiato, una vecchia Fiat Panda e le doverose lodi al cibo e al vino del nostro Paese.

Nel pezzo apprendiamo che la giornalista è stata in Cilento all’inizio di maggio: «La primavera scorsa ho deciso di esplorare a piedi il secondo parco nazionale più grande d’Italia, il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, che comprende sia mare che montagna, e i suoi dintorni. Ho fatto del paese di Acciaroli la mia base di partenza, da un Airbnb con la finestra della camera che si apriva sul porto. Il mio obiettivo era “staccare la spina” (in italiano nel testo, ndr). Era l’inizio di maggio, nessuna folla estiva. All’alba mi hanno svegliato il tubare delle colombe e il trillo dei merli eurasiatici. Ho nuotato nella baia fredda e argentata, ho preso un caffè macchiato in uno dei bar del porto, ho indossato scarponi da trekking e, armata di una guida chiamata “Campania segreta” e di un’app per il trekking chiamata Komoot, sono partita con la mia Fiat Panda noleggiata». Questo è il tono dell’articolo, prima che si dilunghi nella descrizione del viaggio della protagonista e autrice che, mentre guida la sua Panda, «si sente come Ms James Bond», perché «quando sei in Italia ti sembra sempre di vivere in un film».

Nel complesso è un articolo abbastanza innocuo: è vero, conferma un po’ i soliti luoghi comuni sul nostro Paese come paradiso per turisti americani nella loro tappa golosa di Mangia Prega Ama, ma non è neanche troppo offensivo. E allora perché il post Instagram pubblicato dal New York Times per condividere l’articolo è stato inondato di commenti negativi? Non è difficile immaginarlo: l’articolo continua a parlare del Cilento come di una zona “nascosta”, “da scoprire”, “undiscovered”. «Ecco, lasciatela undiscovered», si legge in un commento che ha ricevuto più di 100 like. Alcuni commentatori si sforzano di usare l’inglese per essere sicuri che gli americani recepiscano il messaggio: «Please we dont need more tourists. Discover Arizona or Iowa».

I commenti sono tutti di questo tenore: «Please leave Cilento alone», «Italy is not your zoo», «TURISTA RESTA A CASA». Si va dai toni più garbati, come «USA has a lot of nice spots too and Italy is a tiny country. Please stay there», alla rabbia di chi accusa la giornalista (o forse gli americani in generale) di avere un “approccio colonialista”: «The way you have a colonialist approach on everything you do. Yeah we locals needed you to “discover” a place with thousands of years of history, only for you to make it edulcorated for your taste and destroy it. Thank you!».

In tanti cercano di buttarla sul ridere: «please do not talk about Cilento, we do not need international tourism, we are hateful people». Oppure, ancora meglio: «don’t come please. we’re closed». Ultimi due che non possiamo non segnalare (ma vi consigliamo di leggerli tutti): «Compà abbiamo pure il Mcdonalds grazie a voi» e «Già ci sono i napoletani, se arrivano gli americani è finita».

Il fenomeno dell’overtourism, purtroppo, ormai, è diventato un problema che noi italiani conosciamo bene, come scrivevamo qui a proposito dell’invasione della Liguria. E i social (su Instagram il New York Times ha 18 milioni di follower) non fanno che amplificare e aggravare il problema. È come quando una famosa influencer consiglia un mercatino dell’usato dove fino a quel momento si facevano affari d’oro proprio perché non ci andava nessuno: fine degli affari d’oro.