Murata Sayaka è la scrittrice di chi si sente a disagio sempre e dovunque

Ancora più dei suoi romanzi precedenti, Vanishing World , appena uscito per Edizioni E/O, sembra scritto da una macchina senza sentimenti che ci mostra tutte le variabili possibili e immaginabili della stupidità umana.

29 Aprile 2025

Quando un anno fa ho parlato con Murata Sayaka, al Salone del Libro, morivo dalla voglia di chiederle dei suoi problemi con le relazioni umane, ma lei, molto ferma nell’evitare questioni private, mi ribadiva una sua idea condivisa per la prima volta sul New York Times nel 2019: l’idea di un futuro senza sesso. E in effetti, omicidio dopo incesto, la sua narrativa si è mossa esplicitando questa idea fino ad arrivare all’ultimo Vanishing world, appena uscito per Edizioni E/O. Dopo la nostra chiacchierata, la sala fu presa d’assalto da ragazze e ragazzi molto poco “Salone” e molto più cosplayer di anime. In quel momento tutti si stavano rendendo conto che ormai Murata era diventata un fenomeno. Tra il pubblico c’era anche Elif Batuman, cosa che aveva senso, perché anche lei nei suoi romanzi si era confrontata dolorosamente con le convenzioni, e ora, a distanza di un anno, ha pubblicato sul New Yorker un lungo ritratto della sua alter ego giapponese intitolato “l’occhio alieno.”

Una vera aliena

Tutta la narrativa di Murata dopo La ragazza del convienience store può essere definita, a un primo sguardo, distopica; e come tutte le distopie che si rispettino, usa mondi alternativi per parlare del presente: in particolare del Giappone contemporaneo, e cioè di matrimoni bianchi, calo demografico, ma anche roba più di nicchia come la fictosessualità, cioè le relazioni amorose con personaggi fittizi. La verità, invece, è che gli strani mondi di Murata (mondi dove il sesso non coinvolge i genitali o dove ci si accoppia con cartoni animati e oggetti) non sono gli esiti provocatori dell’adesione a un genere narrativo, né grida di denuncia alla società contemporanea, ma piuttosto il frutto della distorta visione del mondo di un’autrice che si proclama veramente aliena.

Murata ha dichiarato di avere sempre avuto la tendenza a invaghirsi di entità non umane, in borsetta tiene l’action figure in plastica del personaggio di un videogioco, e si è ormai abituata all’idea che per lei la sessualità non riguardi la vagina. Ha sempre coltivato un’attrazione anche per A., un alieno che l’ha accompagnata sin da piccola e che definire “immaginario” le provoca crisi nervose. (Adesso mi spiego perché, nelle interviste da 20 minuti, preferisce non avventurarsi in disquisizioni sui suoi gusti sessuali.) Tutto questo materiale umano è confluito ne I terrestri: un libro dove una bambina è sicura di essere arrivata da un altro pianeta, e non capisce perché accoppiarsi col cugino e sbranare uccellini al parco siano cattive idee.

Alla base dell’ultimo Vanishing World c’è un futuro dove il sesso matrimoniale è incestuoso: la protagonista Amene è cresciuta con la madre ribelle al sistema, che le ha insegnato che il sesso tra coniugi è il modo normale di procreare, e a scuola è bullizzata perché è l’unica non concepita in laboratorio. Da adulta, la ragazza decide di conformarsi alle regole sociali e di sposare un amico in un matrimonio bianco.

Contro la famiglia tradizionale

«Siete una famiglia!», le dice la madre a un certo punto incoraggiandola a coltivare la sua relazione di coppia. Ma Amane è sprezzante: «Famiglia. Era davvero tanto tempo che non sentivo quella parola. Per vivere in questo mondo non era necessario». È qui che la narrativa weird di Murata sembra allinearsi con il discorso pubblico progressista e mettere in discussione i modelli tradizionali di famiglia. Ma poi Amane continua: «Qualsiasi sistema adotti il mondo, ci sarà sempre un po’ di gente che si sentirà a disagio, e io ho l’impressione che la percentuale sarà sempre la stessa». È questo pensiero, molto meno progressista, a suggerirmi che l’autrice non voglia dirci niente sul presente, ma che parli di sé, e dell’impossibilità esistenziale di conformarsi. Più avanti nel libro, Amane si trasferisce in una città-incubatrice dove un giorno all’anno vengono fatte le inseminazioni di massa e dove pascolano liberi i kodomo-chan, bambini di tutti e di nessuno che chiamano “mamma” chiunque incontrino, uomini e donne.

L’idea del sesso vietato tra coniugi è intrigante da una prospettiva femminista, perché sembra rimandare a come per secoli il sesso sia stato violenza domestica legalizzata degli uomini verso le donne. E si potrebbe pensare che Murata si rifaccia all’idea pedagogica di Platone di sottrarre i bambini ai genitori biologici e di allevarli in gruppo come figli dello stato. Ma lei rifugge riferimenti letterari o filosofici, e cita sempre tra le sue influenze manga e videogame. Ripete da anni che lavora come in un acquario, da dove estrae concetti allo stato puro, e non vuole che questi abbiano nessun contatto con la realtà. Da piccola, quando cominciò a scrivere per placare i pensieri suicidi, era convinta che il software di scrittura fosse il dio dei romanzi, colui che sceglieva quali parole dovessero essere scritte e quali libri andassero pubblicati.

Lessi La ragazza del convienience store convinta che fosse fiction pura: Keiko era una ragazza spaesata nel mondo e grata di poter interagire con gli altri seguendo il manuale della commessa perfetta. Subito dopo, appresi con stupore che la commessa era lei: da dieci anni lavorava in un konbini, aveva già scritto una decina di libri, e anche dopo il successo non voleva lasciare il supermarket, perché era l’unico modo che conosceva per affrontare il mondo. Così come gli ultimi suoi libri non sono secondo me sulla queerness, anche La ragazza non era la semplice storia di una giovane autistica in un Paese ossessionato dal lavoro. Era piuttosto la storia autobiografica di un’aliena che non sapeva come salutare il prossimo e non capiva perché un lungo organo molliccio dovesse essere infilato nel suo corpo. 

Più macchina che persona

Tutti i romanzi di Murata sono incredibilmente freddi; tutti i suoi personaggi restano freddi di fronte a richieste sociali mostruose. Ma se la voce glaciale di Keiko del convenience store era la voce di una ragazza che non voleva sposarsi (la voce di moltissime donne di ogni tempo), le voci narranti dei libri successivi sono diventate sempre più robotiche, come se a scrivere fosse quel famoso dio dei romanzi. Tanto che Vanishing world e Parti e omicidi sembrano quasi esperimenti genetici letterari: incroci tra come potrebbe scrivere una persona e una macchina. Voci inquietanti di donne disposte a insaponare l’utero esterno dei mariti incinti e allattare bambini sconosciuti, donne indifferenti di fronte all’impulso di andare a letto col proprio figlio quattordicenne.

Arrivati in fondo a questi libri, non ci sentiamo pervasi dagli ambigui sentimenti che ci lasciano i romanzi. Ci sentiamo quasi disturbati dal lavoro narrativo di una macchina senza sentimenti, un romanziere in silicio (Murata) che ci mostra tutte le variabili combinatorie della stupidità di noi umani: noi che crediamo ancora che l’istinto sessuale possa andare di pari passo con l’invenzione dell’amore o con l’organizzazione della famiglia; noi che pensiamo di dominare o regolamentare la nostra animalità diventando vegetariani, inclusivi o poliamorosi.   

L’aliena-macchina Murata ci suggerisce una profezia: un giorno, molte cose in cui ancora crediamo, il sesso, l’amore, le gravidanze, i romanzi, verranno ricordate come pratiche barbare e scompariranno alla stregua dei salassi, delle pubbliche esecuzioni, della legge del taglione. Eppure, non riusciremo mai a liberarci del tutto della nostra parte bestiale: i suoi personaggi non abusano più delle mogli, ma possono uccidere legalmente e mangiano carne umana. L’esperienza terrena, insomma, rimarrà sempre assurda, e non ci sono forme sociali che possano renderla più accettabile. Forse nel pianeta da cui è venuta Murata Sayaka.

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