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Ai nuovi maschi piacciono i cari, vecchi baffi
Timothée Chalamet, Jacob Elordi, Harry Styles, Justin Bieber, Pedro Pascal, Asap Rocky, Dev Patel, Shawn Mendes, Austin Butler, Jude Law e persino Olly: le celebrity ci stanno mandando un messaggio chiaro, il 2025 è l'anno del baffo.

Zillennial baffuto sempre piaciuto. E chi l’avrebbe mai detto che il grande compromesso etico ed estetico tra due generazioni che nemmeno troppo cordialmente si detestano sarebbe stato infine non politico ma tricologico? E non si parla stavolta del tacito e sacrosanto sdoganamento del trapianto di capelli con pacchetto Istanbul tutto incluso, bensì della ritrovata coolness del baffo, che oggi spopola in una frenesia gioiosa e condivisa sopra al labbro tanto delle star quanto dei più umili di noi.
Il baffo, o del socialismo del pelo
Il baffo è finalmente la possibilità alla portata di tutti, vero socialismo del pelo. I capelli, si sa, dopo i 25 iniziano a farsi merce rara e dopo i 30 vero e proprio Graal, e sebbene l’economia di scala e la mano invisibile del mercato abbiano reso i suddetti trapianti ben più convenienti rispetto ad anche solo 10 anni fa, restano comunque uno sbattimento importante. La barba potrebbe sembrare la soluzione, ma… no. Una bella barba, cioè fitta e ricca e senza buchi, è forse anche più infrequente della chioma. Ma il baffo, il baffo è per tutti! Finalmente l’abbiamo capito, finalmente l’abbiamo accettato.
La questione tra il baffo e i Millennial è invero antica. Dopo la temperie indie dei 2000, quando essere ventenni sbarbati era un vanto e un obiettivo anche per i più irsuti, venne infatti l’oscuro interregno hipster. E non staremo qui a rivangare imbarazzi che già il tempo e la storia hanno giudicato e vivaddio punito, tra bretelle senza senso, drink bevuti dentro i barattoli del sugo, berretti di lana indossati a luglio e un oscuro abisso di varie ed eventuali puttanate in cui è davvero meglio non guardare se non vogliamo che l’abisso guardi poi dentro di noi.
Ma è innegabile che l’onda d’urto pilifera fu devastante. I capelli crescevano e i berretti di lana servivano infatti a nascondere le involontarie chieriche che si facevano spazio sulla nuca di tardo-ventenni fuoricorso che gentrificavano NoLo sentendosi a Portland. Le barbe ancora peggio, accarezzate da mani tatuate diventavano protuberanze fuori scala, lisciate, pettinate, cerate, imbalsamate. E così i baffi, che diventavano a manubrio, in richiami fin de siècle, mentre i parrucchieri cambiavano nome in barber-shop e poi in barberie e poi in chissà cosa mentre sulle vetrine spuntavano, stolidi, quegli affari rotanti rossi e blu e bianchi come a gridare “A Brooklyn! A Brooklyn!” pur rimanendo a Bereguardo. Anche la serie che ha definito quel periodo, Game of Thrones, era un tripudio di peli in faccia e stramberie vestimentarie, ed ecco che l’estetica del decennio era servita.
Gli anni bui dell’hipsterismo
Questa roba del baffo però prese anche una piega pop che vista col senno di poi risulta assolutamente cretina, ma onestamente anche al tempo non è che la vedessimo come un traguardo dell’umanità. A un certo punto, cioè diciamo intorno al 2012, questa versione un po’ emoji del baffo, grafica, tipo i baffi del logo delle patatine Pringles, cominciò ad essere ovunque. Ma veramente ovunque. Sulle magliette da 6 euro di *inserire qui catena di fast fashion a caso*, sulle tazze di *inserire qui catena danese che vende minchiate che si trova nelle stazioni e rischia di farti perdere il treno*, sui rotoli di scotch, sulle matite, sulle cover del telefono. Letteralmente ovunque. Addirittura, i più spiritosi si tatuarono il baffone sull’indice così da portarselo poi spiritosissimamente sotto il naso per scattarsi dei selfie, altra grande conquista del tempo .
Una brillante parentesi dell’estetica maschile che finì intorno al 2016, quando lo streetwear prese il sopravvento sulle camicie di flanella e sugli skinny jeans e un sacco di gente, coscienziosamente, si tranciò di netto il dito indice tatuato con una mannaia. Per ragioni anagrafiche l’approdo della Gen Z al baffo è stata probabilmente meno traumatica e meno condizionata da sovrastrutture ironiche e metaironiche e posizionali e bla bla bla. E quindi forse più gioioso. Anche, in un certo senso, più classico. C’è probabilmente un dandismo spiritoso oggi nella scelta di farsi crescere della peluria sotto al naso, senza l’agonismo degli anni 2010. L’inclusività ha fatto il suo e basta veramente il minimo. Basta cioè una riga lanuta leggermente più scura dell’epidermide che dichiari la propria adulthood senza farne uno statement.
Movimento di liberazione del baffo
Ed è proprio la mancanza di performatività ad aver reso questo baffo libero un baluardo del nostro essere maschi senza dichiararci machi. Tra il lassismo estetico di chi non ha voglia di dedicarsi ai dieci passaggi della skincare coreana e una gag che dice eccomi, sono l’hot rodent boyfriend che tanto tira su TikTok. La lista dei portatori di baffo understated tra nonchalance e sprezzatura si fa sempre più nutrita: Timothée Chalamet, twink inarrivabile, ma anche Jacob Elordi bronzo australe, e poi ovviamente Harry Styles che, rinnegata la baby face, è diventato il Richelieu pop da classifica. E come dimenticare Justin Bieber nella sua versione più rustica. Tra i pionieri Pedro Pascal, Asap Rocky (in una versione invero molto personale) e Dev Patel. Tra i neofiti, Shawn Mendes e Austin Butler. Per le sorprese c’è Jude Law, che ha esibito un voluminosissimo baffone nel film The Order.
Qui da noi, su tutti, Olly, vincitore di Sanremo e sex symbol con la r moscia che mette tutti d’accordo. Alla fine la questione sembra sempre un po’ la stessa: il maschio contemporaneo non vede l’ora di buttarsi a capofitto nell’ultimo imperativo estetico e modaiolo, basta non ci sia da sbattersi troppo.