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Maschio bianco etero “privilegiato”

Time ha pubblicato una lettera di una matricola universitaria: cercano di farlo sentire a disagio per il suo essere un ragazzo bianco eterosessuale, dice. E ha alzato un bel polverone.

12 Maggio 2014

Tal Fortgang è uno studente universitario che ha scritto una lettera a Time, alzando un bel polverone. Tal è un “freshman”, una matricola, secondo il bizzarro codice di nomignoli che si usa dare nelle università statunitensi (freshman =del primo anno, sophomore=del secondo, junior=terzo, senior=quarto e ultimo anno, scusate se sto a fare la spiega, al tempo io ci avevo messo un po’ per capirlo). È iscritto a un’università privata che potremmo definire elitaria-ma-non-troppo: New Rochelle, nello Stato di New York, un college cattolico che ammette circa il 70% di quelli che fanno domanda d’iscrizione (insomma, non è l’Ivy League). Incidentalmente, è anche uno studente dichiaratamente ebreo che frequenta un istituto cattolico, ma non pare sia questo il problema. Il problema, sostiene Tal Fortgang, è che hanno provato a farlo sentire in colpa per il suo essere maschio e bianco, non necessariamente in quest’ordine.

Nella sua lettera pubblicata da Time, e intitolata appunto “Why I’ll Never Apologize for My White Male Privilege,” Tal racconta stupito di come gli sia stata fatta ripetutamente notare, da quando si è trasferito all’università, la sua condizione di “privilegiato.”

«Check your privilege», comprendi il tuo privilegio, gli hanno detto, direttamente e indirettamente, compagni di corso. Tal però non si sente privilegiato. Piuttosto, trova fastidiosa quella che definisce un’aria di “superiorità morale” da parte di chi gli dice «check your privilege». Poi, fa notare – e, verrebbe da dire, non del tutto a torto – che avere dei preconcetti nei confronti di una persona in base al colore della sua pelle e/o al genere cui appartiene è un tantino, beh, insomma, razzista. Infine, racconta la storia della sua famiglia, come i suoi nonni siano fuggiti dall’Europa per salvarsi la pelle e siano sbarcati in America senza un soldo in tasca e senza parlare inglese.

È un discorso che chi ha vissuto per un po’ in America, o che per altre ragioni segue da vicino cose americane, avrà sentito un milione di volte, quello del maschio bianco etero “privilegiato”. Tanto che ad alcuni americani – e comprensibilmente, dirà qualcuno – oramai dà alla nausea.

Questo però non significa che sia un discorso stupido. Visto che in Italia mi sembri sia arrivato un po’ meno, e forse (dico forse, eh) c’è anche il rischio di passare direttamente alla fase “mi dà alla nausea” senza mai essere passati dal discorso iniziale, potrebbe essere l’occasione per parlarne, senza avere la pretesa di risolvere tutto in queste quattro righe. Anche perché, nel bene e nel male, la lettera di Tal riassume in sé alcuni dei punti più dolenti e controversi della questione.

«A reminder that I ought to feel personally apologetic», così Tal descrive il modo in cui l’hanno fatto sentire

Tanto per cominciare, Tal sovrappone, forse senza rendersene conto, tre questioni che invece dovrebbero essere ben distinte: 1) la posizione privilegiata, o presunta tale del maschio bianco etero; 2) la presunta conseguente superiorità morale di chi maschio bianco etero non è; e infine 3) il, sempre presunto, senso di colpa che tutta questa storia dovrebbe ispirare ai sopracitati maschi bianchi eterosessuali.

Ora, perdonate il tono un po’ tranchant, ma le questioni 2) e 3) possono essere rapidamente archiviate alla voce cazzate galattiche. Ovviamente non c’è nulla di cui vergognarsi nell’essere maschio, bianco ed eterosessuale. E, ovviamente, è ridicolo pensare che qualcuno possa sentirsi moralmente superiore per il solo fatto di appartenere a una minoranza etnica, di essere gay o avere una vagina. Non ho ben capito, a dire il vero, se a New Rochelle c’è davvero gente che pensa così, nel qual caso: sono fuori di testa, punto, o se invece Tal ha male interpretato quello che cercavano di dirgli. Che forse (dico forse, perché non ero lì) potrebbe essere questo: ci sono momenti della vita in cui essere bianco, eterosessuale e – in maniera molto minore, maschio – può essere più comodo che non esserlo. Non significa che tu non abbia fatto fatica per essere arrivato dove sei arrivato, non significa che sia sempre stato tutto facile per te e che tu non ti meriti i risultati ottenuti. Significa solo che – probabilmente, ma non necessariamente – se tu fossi stato, per dire, afroamericano o gay, magari avresti dovuto fare un pochino più di fatica. Non c’è niente di cui vergognarsi, e men che meno niente di cui scusarsi. C’è solo da rendersene conto, e imparare a leggere il mondo anche attraverso questa lente. Tutto qua.

«A reminder that I ought to feel personally apologetic», così Tal descrive il modo in cui l’hanno fatto sentire. E forse sta proprio qui il problema, nella confusione tra il riconoscere uno stato di fatto, che può piacere o non piacere, e il salto logico secondo cui questo dovrebbe automaticamente portare a incasellare le persone nelle categorie di moralmente inferiori o superiori.

Infine, una considerazione di fondo. Primo: in tutto questo discorso, e in molti discorsi sulla “diversity” che ho sentito mille volte quando frequentavo un’università americana, manca completamente la nozione di classe sociale. In fondo, non c’è bisogno di essere marxisti sfegatati per rendersi conto che tutti i discorsi sulla comodità di essere etero piuttosto che gay, bianco piuttosto che nero (e maschio o femmina?, il discorso qui si fa un po’ più complicato e forse lo affronteremo più in là), cadono quasi del tutto se dobbiamo confrontare uno che nasce in una famiglia di professionisti laureati a Yale oppure nel sottoproletariato di North Philadelphia. Ma questo, forse, è un altro discorso.

Nell’immagine: screenshot dal video “Pretty Fly For A White Guy” (1998)

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