Una conversazione libera tra due Millennial su matrimonio gay, diritti acquisiti e diritti da conquistare, vite da privilegiati e vittimismo social, militanze vecchie e nuove e prospettive per il futuro.
Mariel Hemingway ha detto che oggi un film come Manhattan non sarebbe potuto uscire
Non solo è la è la seconda pellicola con il maggior incasso nella storia dei film del regista (la prima è Midnight in Paris): Manhattan, di Woody Allen, è un film straordinario. Si è tornato a parlarne da quando Mariel Hemingway, l’attrice e nipote di Ernest Hemingway che nel film interpreta la diciassettenne Tracy, discutendo con Anne Heche e Heather Duffy nel podcast Better Together with Anne & Heather, ha affermato che quel film oggi «non sarebbe mai potuto uscire, al 100 per cento».
In Manhattan, Mariel interpretava una ragazza di 17 anni della Dalton School, che a un certo punto inizia a frequentarsi con uno scrittore di commedie televisive di 42 anni (Allen), due volte divorziato. Nel 1979, la commedia romantica in bianco e nero non suscitò particolari critiche, «io ora non sto giustificando alcun comportamento, ma una commedia del genere, se realizzata oggi, non potremmo mai vederla o apprezzarla», ha detto. Nel podcast Hemingway ha affermato di non aver ancora visto la nuova docuserie della HBO Allen vs Farrow, che esamina gli eventi che hanno portato Dylan Farrow, figlia di Mia Farrow e Woody Allen, ad accusare suo padre di averla abusata sessualmente nel 1992, ma riprendendo l’intera vicenda esclusivamente dal punto di vista di Dylan e di Mia.
A questo proposito Mariel Hemingway ha detto che tutta quella situazione per lei fu molto difficile, sia dal punto di vista di attrice che aveva lavorato con Allen che da quello di fan dei film del regista, «amavo Allen e i suoi film e la mia esperienza di lavoro con lui in Manhattan è stata meravigliosa (anche se più volte lo aveva accusato di aver provato a sedurla sul set, ndr). Per questo pur non volendolo difendere, l’integrità del suo lavoro per me rimane intatta». Ha aggiunto poi di essere spaventata dalla cancel culture, perché «c’è il rischio di cancellare tutto quello che un’intera generazione ha rappresentato per noi. Sembra che ora non ci sia più permesso essere in una “zona grigia”. Ma chi l’ha detto? Perché ora dobbiamo sempre scegliere da che parte stare?».