Cultura | Musica
La moda non ha ancora capito Sanremo, Lucio Corsi sì
In un Sanremo sempre più brandizzato e in uno star system privo di personalità veramente interessanti, la scelta del cantautore toscano di «vestirsi da solo» era quella di cui avevamo bisogno.
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SANREMO, ITALY - FEBRUARY 11: Lucio Corsi attends the 75th Sanremo Music Festival 2025 at Teatro Ariston on February 11, 2025 in Sanremo, Italy. (Photo by Daniele Venturelli/Daniele Venturelli/Getty Images )
«Devo essere sincero: a me della moda non importa nulla», ha detto Lucio Corsi, probabilmente uno degli artisti più interessanti (insieme a Joan Thiele) di questa fiacca edizione di Sanremo appena conclusasi. Alla fine è arrivato secondo, con grande delusione di chi già lo amava ma anche di chi ha imparato a conoscerlo e apprezzarlo nell’ultima settimana. Lucio Corsi è comparso sul palco dell’Ariston (e ci è andato a piedi ogni sera, rinunciando a qualsiasi autovettura di lusso) con un vecchio bolero giallo dalle spalle imbottite, i capelli lunghi sciolti e la circolazione degli arti inferiori probabilmente compromessa dagli skinny jeans, distruggendo il sogno di giornalisti pronti a rivelare il brand che lo avrebbe vestito. Nessuno credeva davvero che, nel 2025, qualcuno avrebbe rinunciato alla possibilità di farsi vestire da uno dei grandi marchi durante Sanremo, nonostante l’unione moda-musica sia stata per anni resa impossibile dalle pretese di superiorità della prima sulla seconda. Lo scrivevamo nel 2021: com’era possibile che queste due entità non si fossero mai parlate con costanza, ma solo sporadicamente? Per lungo tempo, dalle parti della moda, Sanremo è stato considerato pacchiano e immeritevole di attenzione, ma poi è arrivato internet.
Il Festival si è trasformato in un evento mediatico capace di generare dibattito e visualizzazioni al pari delle grandi manifestazioni d’oltreoceano, complice uno “svecchiamento” del pubblico di riferimento, almeno sui social. Dalla pandemia in poi, a Sanremo si è visto qualcosa di abbastanza raro nella cultura pop italiana: il tentativo di costruire uno star-system che potesse legarsi a una delle nostre industrie più conosciute e apprezzate all’estero, quella della moda. Qualcosa che è la regola negli Stati Uniti, o in Corea del Sud, ma che da noi – fatte le dovute eccezioni di alcuni straordinari artisti – ha sempre fatto fatica ad affermarsi. Le speranze si sono però infrante presto e questo cambiamento repentino ha messo in luce tutte le crepe di questo star-system italiano, ossia la difficoltà degli stylist e dei team creativi di artisti e brand di valorizzare davvero il personaggio che vestono.
Finché non è arrivato Lucio Corsi. Lucio Corsi che, mentre i colleghi firmavano gli ultimi accordi commerciali, buttava in valigia i capi che lo hanno accompagnato nei suoi tour, tra cui il famoso bolero giallo, che lui stesso ha definito, in un’intervista a Vanity Fair, il capo più eccentrico del suo guardaroba. «Le spalline sono marce, ci ho fatto novanta concerti. Sono proprie luride, però ci tengo molto», ha raccontato mimando con le mani le dimensioni di quelle imbottiture sulle spalle, «Ci sono molto affezionato perché sono parte di questi ultimi anni che ho vissuto tra un palco e l’altro, a suonare coi ragazzi». Il Festival era iniziato da poche ore e quelle spalline avevano già fatto il giro del web, mentre tutti sorridevano (a metà tra il divertito e il solidale) di fronte alle immagini di Corsi intento a sfilare due pacchetti di patatine dal loro interno, svelando il trucco che le aveva rese così dritte e voluminose per tutta la durata della performance (se fossero cadute in diretta, il Codacons lo avrebbe denunciato per pubblicità occulta?).
Le rassegne di moda improvvisate sui social si sono ritrovate senza parole anche durante la serata delle cover, mentre indossava lo stesso frac bianco apparso lo scorso anno nei video di Astronave Giradisco e La bocca della verità. Nessuna ispirazione a sfilate d’archivio, nessuna lavorazione particolare, nessuna cifra da capogiro. Eppure, l’immagine di Lucio Corsi è apparsa la più autentica. «Il mio gusto si è formato su un’estetica Glam rock legata a Lou Reed e David Bowie», ha ribadito nella conferenza stampa che ha preceduto l’inizio del Festival, «Il Glam rock non aveva niente a che fare con i grandi nomi. Gli artisti di quel tempo erano gente povera che voleva fuggire dalla vita grigia con l’immaginazione e con quel tipo di sbrillucchii lì, ma i loro vestiti erano stracci, nulla di sofisticato».
Eppure, di cose sofisticate Lucio Corsi ne ha fatte eccome: nel 2018 aveva sfilato per Gucci (all’epoca diretto da Alessandro Michele) a Palazzo Pitti insieme a molti altri suoi colleghi, tra cui Francesco Bianconi e James Righton. Ciononostante, per questo Sanremo ha scelto una strada che non lo facesse troppo allontanare da quello che è solito fare sul palco ed è così che è riuscito a interpretare al meglio alcuni dei temi più attuali nella discussione intorno alla moda, accedendo alle vette della viralità dalla porta sul retro. Intanto perché questo approccio da chill guy risuona con quei fenomeni che su TikTok si chiamano “underconsumption core”, ovvero la celebrazione della limitazione negli acquisti e del riutilizzo consapevole di ciò che già si possiede, e “de-influencing”, la tendenza che incoraggia a non seguire le tendenze e a prediligere il recupero o la trasformazione fai-da-te. Lucio Corsi è ciò che le ragazze di TikTok definirebbero una “thrift queen”, il re del mercatino di Porta Portese che mette insieme i suoi outfit scintillanti con pezzi da pochi spicci, dimostrando che un giovane artista può ispirarsi ai look dei grandi del rock senza che i loro fantasmi ne oscurino la personalità.
In questo contesto, non possiamo dimenticare gli hashtag #nospending e #spendingban, vere e proprie challenge che hanno raggiunto picchi di popolarità sui social proprio agli inizi di gennaio, testimoniano l’impegno di molti a ridurre i propri acquisti in maniera drastica. Allo stesso tempo, le influencer Emma Chamberlain e Mina Le, popolarissime sui social network, negli ultimi mesi si sono “spogliate” della corazza eccentrica della moda, liberandosi di parte del proprio armadio per abbracciare una versione più autentica di loro stesse e assumendo una posizione ben precisa sull’annoso quesito dello stile personale (che, diciamocelo, rimane ancora un po’ un mistero). Ed eccolo, Lucio Corsi: non spende cifre capogiro, non scende a compromessi con i brand di lusso, dà alla propria sensibilità artistica la forma di un berretto alla Fievel e di stivali alla Woody. Lucio Corsi è una boccata d’aria fresca rispetto a connubi artisti-brand mal riusciti e de-personalizzanti, rispetto al consumismo pronto a farci sentire costantemente mai abbastanza e inadeguati, rispetto alla smania di ricerca del proprio stile personale nel dilagare di trend e -core, rispetto a una moda che non sa essere di impatto. Lucio Corsi è la dimostrazione che noi toscani, in fondo, qualcosa di buono l’abbiamo fatto davvero. Voleva essere un duro, ma è una fortuna che non lo sia.
In apertura: Lucio Corsi durante la prima serata di Sanremo, 11 febbraio 2025. Foto by Daniele Venturelli/Daniele Venturelli/Getty Images