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Cinque longread da leggere quest’estate

Una città, un faccendiere, una truffatrice, un incendio e una morte che forse non lo è: cinque storie raccontate bene.

20 Luglio 2018

Visto che le vacanze si avvicinano e, così almeno si spera, i weekend si allungano, è un momento ideale per leggersi qualche buon longread, uno di quei pezzi lunghi e approfonditi che magari ci eravamo salvato da qualche parte durante l’anno e che non abbiamo trovato il tempo per leggere interamente. Qui sotto ho messo a punto una lista di cinque longread, tutti usciti nel 2018, che, per una ragione o per un’altra, ho trovato letture interessanti. È una lista personale, certo, e non ha la presunzione di essere una lista definitiva. Però sono tutti pezzi che meritano. Ah, se v’interessa il genere, l’estate scorsa avevo consigliato cinque personal essay per l’estate: le trovate qui.

 
Young Trumpies Hit D.C.
Daniel Lippman e Ben Schreckinger su Politico magazine (luglio)
Uno dei migliori pezzi recenti usciti su Politico magazine. È il ritratto di una città e insieme di una generazione, da un punto di vista che è insieme urbanistico, politico e personale. Ogni amministrazione che si alterna alla Casa Bianca ha un impatto sulla capitale, e l’effetto più grande sulla città lo hanno, per paradosso, i membri più junior (e dunque giovani) che si fanno vedere in giro la sera, influenzando la scena dei locali e anche la gentrificazione dei quartieri. I ventenni al seguito di Bush, per esempio, hanno portato un’aura da country club (e tanta cocaina), i ventenni di Obama hanno reso tutto più multietnico. Ma i ventenni di Trump? Loro, non si fanno quasi vedere e pare pure su Tinder li trattano male.
Leggi anche: il reportage da Washington di Valentina Pasquali uscito lo scorso anno su Studio.

The Tower
Andrew O’Hagan sulla London Review of Books (giugno)
Questo longread di Andrew O’Hagan sulla London Review of Books è allo stesso tempo inchiesta, nonfiction narrativa e romanzo corale. È suddiviso in sette capitoli che potrebbero essere a buon diritto dei longread a sé stanti, dunque consigliamo di prendervi un bel po’ di tempo e di leggerli, con calma, uno alla volta. È la storia degli abitanti di Grenfell Tower, di quella notte della scorsa estate, ma anche un tentativo di capire cos’è andato scorso: fatele, sostiene O’Hagan, è stata l’istruzione data ai residenti di restare nei loro appartamenti e il risultato è che in molti «sono morti perché hanno seguito il consiglio». Indaga sui materiali di costruzione, ma critica anche, nel capitolo “The narrative” la lettura politica secondo cui è stata tutta colpa dei Tory.
Leggi anche: la risposta di Susanna Rustin sul Guardian e “The Fiction machine”, una riflessione di O’Hagan su social media e romanzo uscita su Studio.

Maybe She Had So Much Money She Just Lost Track of It
Jessica Pressler su The Cut (maggio)
L’incredibile storia di Anna Sorokin, detta anche Anna Delvey, una ragazza non particolarmente ricca – anzi, figlia di un immigrato russo che lavorava come camionista a Colonia – che per due anni è riuscita a convincere tutti di essere una ricca ereditiera e a fare la vita della “socialite”, spendendo una valanga di quattrini che non possedeva, fino a quando non è crollato tutto.

The Plot Against America
Franklin Foer sull’Atlantic (marzo)
Franklin Foer, storico direttore di The New Repubblic, fa un ritratto di Paul Manafort, l’uomo chiave del Russia-gate, concentrandosi sugli arresti degli ultimi mesi ma anche sul passato del faccendiere, sui suoi rapporti con la politica ucraina degli anni di Yanukovich e sui suoi equilibri familiari. Particolarmente interessante è la figura di suo padre, Paul Manafort Sr, un personaggio pieno di ombre che ha contribuito a cambiare (in peggio) la cultura politica americana. Un pezzo che riesce a rendere chiara, e umana, l’intera vicenda del Russia-gate e capace di renderla interessante anche a chi non segue abitualmente la politica.
Leggi anche: il pezzo recente di Christian Rocca sull’attacco russo al mondo libero.

What Does It Mean to Die?
Rachel Aviv sul New Yorker (febbraio)
La storia potrebbe essere quella che si leggono negli articoli di cronaca un po’ cheap: una ragazzina “muore”, nel senso che il suo cervello è quasi del tutto non funzionante, la famiglia non accetta il risultato, dice che è viva, la porta a casa, per alcuni Stati degli Usa la bambina è morta, per altri è viva. Invece Rachel Aviv, una delle migliori penne del New Yorker, riesce a farne un pezzo profondo, tutt’altro che squallido, che si interroga su che cos’è la vita, che cos’è la morte, sulle piccole bugie e mezze verità che siamo costretti a raccontare e raccontarci.

Nelle foto: l’incendio di Grenfell Towers; un ritratto di Paul Manfaort (Getty)
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