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Wood e Lynch 30 anni dopo

Riaperto il caso sulla morte di Natalie Wood e primo dance album per il regista. Un caso?

22 Novembre 2011

Quando Natalie Wood moriva David Lynch si stava riprendendo dalla realizzazione di Elephant Man. A trent’anni di distanza da quel 1981 traumatico, le due figure del cinema si sfiorano di nuovo, complice un destino di riproduzione dei fatti che potrebbe, dovrebbe, riportare David Lynch dietro alla macchina da presa.

Natalie Wood il 29 novembre 1981 moriva, ritrovata all’alba in camicia da notte, parka e calzini, annegata al largo dell’Isola di Santa Catalina, caduta, ubriaca si dice, dal suo yacht dove trascorreva la notte insieme al marito Robert Wagner e al compagno di set Christoper Walken. Appena 43enne l’attrice russa americanizzata scompariva in acqua per poi alimentare la stampa scandalistica per qualche mese, periodo in cui il vibrio del triangolo amoroso rendeva la vicenda molto più pruriginosa della carriera di un’attrice che in una ventina d’anni aveva inanellato cult di settore e (preistorici) blockbuster. Donna in grado di passare dalle braccia di James Dean in Gioventù Bruciata a lolitesca e sconsolata partner di John Wayne in Sentieri Selvaggi poco dopo. Americanissima ragazza della porta accanto ancora prima in Miracolo della 34a strada e coraggiosa protagonista di Splendore nell’erba di Kazan, così nella parte da doppiare anche le tappe di una vera diva alla Liz Taylor, cioè debuttare under 16, sposarsi e poi risposarsi con lo stesso uomo a distanza di 10 anni(Wagner), pasteggiare con il Bourbon. Una, insomma, che non cade di certo da uno yacht di sua proprietà nel pieno di un ménage à trois.

In quegli anni di bagordi e cronaca nera sulla Wood, David Lynch è ancora lontano dai fasti di Cannes e ancora in cerca di finanziamenti per Velluto Blu. Della vicenda Wood non deve aver tratto forte ispirazione forse perché c’erano tutti i pretesti per parlare di vecchia diva schiacciata dall’arrivo del terremoto tv Dallas. Vecchia, anche se l’ex protagonista di West Side Story aveva solo 43 anni. Di quella morte per ubriachezza in acque mosse l’allora capitano dello yacht , Dennis Davern, disse poco, salvo dispensare battute di spirito 30 anni dopo quando, durante  il trentennale dalla morte della Wood alcune settimane fa, i ricordi del lupo di mare sono tornati non tanto piccanti quanto ambigui. Così ambigui da riaccendere la miccia e la morbosità dietro alla scomparsa di una diva d’altri tempi, con tanto di sceriffo losangelino che riapre il fascicolo e rilancia  il caso da ripassare ai progressi della scientifica. Prima di questo novembre solo Peter Bogdanovich aveva rivangato la cosa, quando nel 2004 diresse il film tv dedicato alla sua morte, The Mystery of Natalie Wood, omaggio low profile per una diva morta in camicia da notte e calzini.

Trent’anni dopo, 11 novembre anche David Lynch riapre un caso, quello che forse gli avrebbe permesso di evitare l’intrusione dell’amicissimo Badalamenti nelle sue soundtrack, e quello che invece lo porta a parlare di un substrato assecondato pochissimo, e anzi, coperto sotto coltri di quadri, pellicole surrealiste, polveri sottili che stanno agli scenari saffici e imbevuti di luci calde delle notti di Mulholland Drive &co. Il regista debutta con l’album Crazy Clown Time (Pias): un riassunto elettronico e acido che per sua stessa ammissione è nato dai resti di un campionamento lasciato nel suo studio di registrazione da una giovane vocalist che aveva affittato la sala d’incisione di Lynch. Da quei resti dance basici Lynch ha riaperto il capitolo musicale della sua vita e ha partorito una delle tracce dell’album Good Day Today. Una prova d’umiltà per nulla scontata per il regista che dal palco del suo club multitasking, Le Silencio di Parigi, ha ammesso candido a Serge Kaganski di Les Inrockuptibles «che dopo Inland Empire non ho più fatto un film perché non ho più avuto un’idea». Punto. Lo stesso artista che ammette di leggere la fine del cinema dalle sale vuote e dalla febbre che tutti hanno di fotografare, riprodurre immagini, stagnarle su iPad e trova anche al 3D un ruolo, quello di stato-cuscinetto prima della conquista Napoleonica del web sugli Studios. Allora la buona idea mancante è diventata Crazy Clown Time, a trent’anni da quell’81 quando tutto si è ufficializzato, vedi debutto come regista di nicchia amato in Europa post Elephan Man, e a Lynch sono state chieste solo ottime idee perverse irriproducibili.

Anche, soprattutto, di mettere mano a un cadavere annegato in acque al confine con il Canada e di farci scoprire nel corpo nudo avvolto nella plastica la studentessa modello Laura Palmer. A inizio anni Novanta Lynch era pieno testimone della rinascita della dance colta, preambolo del dupstep che ogni tanto affiora nel suo Crazy Clown Time, eppure nel 1990 non ha minimamente pensato di aprire quel capitolo. Erano anche 10 anni dalla morte di Natalie Wood trovata pure lei annegata in acque putride e noir. Eppure quello per Lynch era un fatto di cronaca hollywoodiana che non aveva nulla di che per essere sviscerato, era solo un evento del passato legato a un’ubriacona cresciuta troppo presto nello show biz. Il maestro era esattamente al bivio tra due immaginari: il passato meta-cinematografico e il futuro sonoro di un genere che rinasceva e sperimentava. Lynch scelse il presente e quindi di regalare la puntata pilota Passaggio a Nord Ovest che ha cambiato il voyeurismo in tv : ricostruendo il presente secondo Lynch sul corpo di Laura Palmer.

La stessa nebulosa perversa e nostalgica che il cineasta è riuscito misteriosamente a infilare anche in un album anacronistico e a tratti caramelloso come Crazy Clown Time. Dimostrandosi ancora l’unico in grado di poter riprendere il caso della Wood e finire, una volta per tutte, di dirci quel che di Twin Peaks si è disperso. E per una volta piegarsi al surrealismo di pancia: quello a cui si concede, in assenza di idee, di riprendere fatti di cronaca di 30 anni fa e attualizzarli. Alla faccia dell’iPad.

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