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La nascita dell’Alveare

Parlare dei recenti avvenimenti politici con un romanzo del 2013 su un "non-partito" complesso e ambiguo: un estratto da La mentalità dell'alveare.

22 Giugno 2016

Nel maggio 2013 Bompiani pubblicava La mentalità dell’alveare, terzo romanzo di Vincenzo Latronico, nato in poche settimane dopo le elezioni politiche del 2013, in cui il Partito democratico si aggiudicò il 29,55 percento delle preferenze, il Popolo delle libertà il 29,18, e il neonato Movimento 5 stelle il 25,56. Il libro descrive un’Italia governata da un non-partito chiamato “Rete dei Volenterosi”, le sue contraddizioni e le sue rigidità ideologiche. Il tutto vissuto dai due protagonisti, Leonardo e Camilla. La Rete dei volenterosi è un sistema complesso e ambiguo: una rete in cui tutti indagano, tutti accusano, tutti giudicano, e quasi nessuno ascolta prima di condannare. Questo è un estratto del romanzo.

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La Rete dei Volenterosi era nata alcuni anni prima come emanazione di una grande comunità radunata su Internet intorno al blog di un ex-presentatore televisivo, Pino Calabrò. Sin dagli inizi della sua carriera Calabrò aveva condotto una trasmissione in difesa dei diritti dei consumatori: raccoglieva segnalazioni dal pubblico su malfunzionamenti, pubblicità ingannevoli o truffe e invitava i responsabili delle aziende coinvolte a un incontro in diretta. Questo in genere finiva con scuse e rimborsi, ma ogni tanto regalava scontri molto accesi o momenti inaspettati di comicità (come quando il creatore di un guscio per cellulari “garantito antisfondamento”, per dimostrarne l’efficacia nonostante i reclami, fece cadere il suo smartphone da un metro e mezzo d’altezza, in diretta, provocandone – letteralmente – l’esplosione). Lo share era sempre molto lusinghiero.

Nel 2005 Calabrò umiliò in pubblico l’amministratore delegato di una catena di sale da bingo accusata (fondatamente, pareva) di rendere quasi impossibile l’incasso delle vincite più consistenti: era richiesta una procedura burocratica tanto complessa che neppure il dirigente riuscì a ricostruirla in trasmissione. La puntata fu un successo; fino a quando, durante un intervallo pubblicitario, qualcuno ricordò a Calabrò che il proprietario della catena di bingo era un esponente di spicco del partito di governo – e quella era un’emittente pubblica. La sua espressione, negli ultimi minuti di quella che sarebbe stata l’ultima puntata del suo programma, fu molto diversa dal sorriso beffardo per cui era famoso.

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Scoprendosi bandito dalla televisione italiana, Calabrò decise di contrattaccare: su Internet, che era orizzontale e libera da padroni. Avrebbe portato avanti la stessa battaglia, aggiungendo però un nuovo nemico: la politica, di cui avrebbe smascherato e sbeffeggiato la disonestà come per anni aveva fatto con le aziende. Era un nemico potente, certo: ma Calabrò non era più solo. Prima, il suo pubblico si limitava ad applaudirlo; ora avrebbe potuto aiutarlo, scrivendo con lui, partecipando collaborativamente a un blog come una grande trasmissione collettiva, o, appunto, a una battaglia.

La trasmissione censurata si chiamava L’Ape: per indicare il potere di disturbo di una singola persona che fa le domande scomode alle grandi aziende, e ronza, e punge. La metafora era ripresa grafica della sigla e persino nella colonna sonora (una versione metal de “Il volo del calabrone” di Rimskij-Korsakov). Fu naturale che l’evoluzione di quella trasmissione su Internet – il blog in cui i disturbatori sarebbero stati tanti, tutti con uguale importanza e uguale ronzio – si chiamasse Alveare. In breve, l’Alveare divenne uno dei blog più seguiti d’Italia, trascinando per la prima volta su Internet i grandi numeri dell’audience televisiva. Le battaglie online di Calabrò – contro la corruzione, il finanziamento pubblico ai partiti, lo sperpero, il malgoverno – coinvolgevano l’intero spettro politico: ciò gli aveva garantito la reputazione di paladino delle cause ignorate, di condottiero contro i cartelli di potere, e anche la possibilità di attrarre simpatizzanti da ogni schieramento. Erano giovani, nuovi all’attivismo, istruiti, desiderosi di rinnovamento e di onestà, insofferenti verso un sistema politico inefficiente e corrotto, e fiduciosi nel fatto che Internet permettesse la nascita un movimento realmente democratico. E nella guida di Pino Calabrò, certo.

Ma non era una guida, più che altro una consulenza. Il sito di Calabrò era diviso in due parti: una era il suo blog personale, in cui lui, periodicamente, pubblicava un’inchiesta o uno sberleffo ai danni di questo o quel politico. L’altra, quella che si chiamò l’Alveare, era un forum: in cui chiunque, dopo essersi iscritto, poteva pubblicare inchieste, o domande sgradite, o denunce; e queste potevano essere commentate e discusse e approfondite dagli altri. L’Alveare non era sottoposto al controllo di Calabrò, ma era gestito – orizzontalmente, democraticamente – da tutti gli utenti, mediante un sistema di votazioni elettroniche (la cosiddetta “Consultazione”). Questo stesso principio – la democrazia diretta, resa possibile dalle nuove piattaforme digitali – avrebbe informato il programma politico della Rete dei Volenterosi. L’unico potere di Calabrò, se di potere si trattava, era di segnalare sul proprio blog le discussioni dell’Alveare che giudicava più urgenti (così come aveva sviluppato la trasmissione selezionando fra le denunce dei telespettatori). Ciò dava loro una grande visibilità, dal momento che i contenuti del dibattito si moltiplicavano a una frequenza che portava ogni discussione, per quanto interessante, a smarrirsi nel fiume di quelle che la seguivano; privilegiando un argomento, che finiva in prima pagina e sotto la vista di tutti, Calabrò finiva quindi per impostare il dibattito su quel tema.

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Era stato proprio così che era nata la Rete dei Volenterosi. Un’iscritta della prima ora all’Alveare aveva iniziato una discussione intitolata “Volenterosi cercansi: facciamo qualcosa per Imperia!”, chiedendo supporto per una lista civica che voleva presentare nella sua città. Lo avrebbe trovato: non abbastanza da vincere, ma permettendo comunque a quella lista nata su Internet di ottenere il 12% dei seggi in Consiglio Comunale. A quel successo si sarebbero ispirati molti altri gruppi sorti spontaneamente sull’Alveare: “Cerchiamo volenterosi per salvare Foggia”, “Volenterosi: Brescia può cambiare!”. Un giorno, quando quelle liste erano già più di quaranta (con sorti elettorali alterne, va detto), Pino Calabrò ne parlò sulla pagina principale del blog. “Volenterosi: mettiamoci in Rete!”, aveva titolato.

Quell’anno la Rete dei Volenterosi corse alle elezioni nazionali, ricevendo il 3% dei voti dei cittadini italiani – sotto la soglia di sbarramento per ottenere rappresentanza parlamentare. L’Alveare non lo prese come un fallimento: come scrisse Pino Calabrò, invitando all’ottimismo, quello era solo un inizio. Aveva ragione: cinque anni più tardi, alle elezioni successive, la Rete ottenne più del 30%.

La mentalità dell’alveare
di Vincenzo Latronico
Bompiani, 2013
208 pp.
Le immagini usate nell’articolo sono di Eric Feferberg/Afp/Getty Images e Wojtek Radwanski/Afp/Getty Images
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