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La fine del pogo

05 Maggio 2017

L’enciclopedia Treccani ha una definizione per “pogare” che recita «nel linguaggio giovanile, ballare tra spinte e salti», e tutti, negli anni dell’adolescenza, si sono trovati sotto al palco di un concerto a dare e prendere spintoni in compagnia di un gruppo di coetanei esagitati. Hannah Ewens, scrivendo sul Guardian, ricorda quelle occasioni come «gli spazi più liberatori al mondo; posti dove potevo essere aggressiva e mettere da parte un imbarazzo spesso opprimente».

Negli ultimi anni, però, il pogo è diventato un fenomeno sempre più marginale o direttamente escluso dalle performance. Mentre nella scena hardcore e metal continua a essere un indicatore per definire il successo di un concerto, spiega il quotidiano inglese, nel rock e nel punk le band oggi sono sempre più inclini a creare “safe space” che tengano conto delle esigenze delle minoranze, del disagio che spinte e atteggiamenti aggressivi potrebbero avere su una ragazza, eccetera.

Wacken Festival 2011 - Day 1

Ewens scrive: «Ricordo numerose occasioni durante la mia crescita in cui i maschi nella folla si strusciavano contro di me o mi toccavano in modi inappropriati: era accettato e considerato parte dell’esperienza. Ma oggi percepisco una trasformazione profonda». Molte band, come gli Slaves e i Swim Deep, hanno iniziato a condannare pubblicamente questi atteggiamenti, che di norma si verificano con più frequenza durante il pogo. Non tutti sono d’accordo con la messa al bando del fenomeno: Greg Graffin, frontman dei Bad Religion, ha dichiarato che lo slam dancing (come viene chiamato sulla costa occidentale degli Usa) è «l’unica vera reazione fisiologica alla musica punk. […] Succede spontaneamente, come quando le molecole iniziano a vibrare e scontrarsi fra loro».

Nelle immagini: persone che pogano a Wacken, in Germania, in occasione dello Wacken Open Air del 2011 (Sean Gallup/Getty Images)
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