Estate 2015. Arrivo e torno dalla redazione in bicicletta, con Bangerz di Miley Cyrus nelle cuffie dell’iPhone. Le cose vanno avanti così da settimane. Lo so, sono “in ritardo”, il disco è uscito ormai due anni fa. Qualche tempo fa ho scritto un sms a un’amica: «Perché nessuno mi ha mai detto che Bangerz è il disco più figo del mondo?». Risposta: «Il mondo avrà provato a dirtelo, ma tu vedevi solo video parodie di “Wrecking Ball” con la faccia di Nicholas Cage al posto di quella di Miley». È vero, e poi mi sono stancato anche delle parodie, e ho tralasciato e mi sono dimenticato sia lo scandalo per i costumi provocanti di Miley, sia, ancora più fastidiose, le parodie sfornate dalla più grande catena di montaggio della perdita di tempo, un luogo conosciuto come Internet. Questo, appunto, accadeva due anni fa, o poco meno: è il settembre 2013 quando “Wrecking Ball” esce su Youtube, con Miley Cyrus, vent’anni, nuda a dondolare su una palla demolitrice. Il video segna il record per il maggior numero di visualizzazioni totalizzate in 24 ore. Fermi, provate a indovinare, pensate a un numero. Fatto? Sbagliato: sono 19,3 milioni. Successivamente, il record è stato abbattuto da “Anaconda” di Nicki Minaj.
Prima della partenza per un viaggio in macchina, l’amico che guida avverte: è un viaggio lungo, serviranno dei cd, bisogna farli, come negli anni Zero. L’autoradio non ha ingressi usb, non ci sono alternative al compact disc. Dico: posso fare un cd con solo Bangerz di Miley Cyrus? Gli amici sono in tre: mi guardano male, come se avessi fatto una battuta che non fa ridere, e di cattivo gusto; uno dice seccamente: «No». Pochi giorni dopo, invito uno dei tre amici a cena. Dallo shuffle di una playlist YouTube parte “Jolene”, la canzone di Dolly Parton del 1974, in una versione cover cantata da Miley Cyrus. La cover fa parte del progetto chiamato Backyard Sessions, registrato nell’estate del 2012, in cui Miley canta, con l’accompagnamento di una band acustica, le sue canzoni preferite. Tra le altre: “Look What They’ve Done to My Song” di Melanie Safka, folk singer che partecipò a Woodstock nel 1969; o “Lilac Wine” di Jeff Buckley. L’amico sente la musica, distrattamente. Dice: «Ah, di chi era questa canzone?». Dico: «Di Dolly Parton». Dice: «Mh». Dico: «Ma questa è Miley Cyrus». Sorrido. Mi guarda con la bocca stretta, forse offeso o un po’ sconfitto. Dice ancora: «Mh».
Pochi giorni dopo le Backyard Sessions, Miley Cyrus, fino ad allora una ventenne che sfilava sui red carpet con vestiti classici e noiosi, capelli lunghi, lisci o mossi, castani, come una little miss sunshine pacchiana, da concorso di bellezza di un’America cristiana e conservatrice, pochi giorni dopo quelle Sessions, Miley Cyrus si taglia i capelli. Corti, e biondi. Scrive su Twitter: «Never felt more me in my whole life». È molto scontato trovare un simbolismo in un taglio di capelli, ma in questo caso è corretto. L’estate del 2012 è l’ultima in cui Miley Cyrus è l’adolescente diventata milionaria grazie a uno show Disney chiamato Hannah Montana. Con il taglio di capelli diventa a tutti gli effetti Miley Ray Cyrus, si riappropria di se stessa, e di lì a pochi mesi farà in modo di aprire una voragine molto profonda tra questa parte della vita e la precedente, inaugurando la terza, e finora ultima, Miley Cyrus. Prima di questa, ce n’erano state due: la figlia di Billy Ray Cyrus e Hannah Montana.
Nel 2006 ho 20 anni, mi sono appena iscritto all’università, studio letteratura inglese con una passione che al liceo non mi aveva mai sfiorato e con una certo sentimento indispettito da giovane intellettuale che si dà delle arie: com’è possibile che non ci siano corsi su Hemingway, su Fitzgerald, su Ferlinghetti, Corso, O’Hara? Passo pomeriggi in biblioteca a studiare Edmund Spenser e John Donne, e sere a bere birra e scrivere poesie e leggere Bukowski e varie prefazioni di Fernanda Pivano. In Europa e in America, per i miei coetanei, la tendenza più cool del momento è l’indie rock. Spendo la maggior parte dei miei soldi in cd e biglietti per i concerti, ascolto gruppi come Strokes, Arctic Monkeys, Libertines, ripasso la storia dell’alt rock con gli Smiths e i Joy Division, soprattutto ignoro che quelli che trovo consumi culturali elitari, in Italia, sono in realtà mainstream nel mondo anglosassone. Di conseguenza, non ho alcun interesse a informarmi sugli show Disney e le sue star, come Hannah Montana o Miley Cyrus. Conosco già il copione, quello di Britney Spears e Christina Aguilera: quello è pop, è roba piatta per masse anestetizzate, e deve stare lontano dai giovani intellettuali che si danno delle arie, come me.
Il peccato e l’espiazione del peccato sono due concetti cardine intorno ai quali orbita la vita di Miley Cyrus. Mi verrebbe da dire “la giovinezza”, ma la Miley attuale, distante migliaia di chilometri dall’incarnazione precedente, ha ventidue anni. Ed è, forse, più giovane della Miley passata. Più autenticamente giovane. Nell’aprile del 2008 appaiono su internet dei selfie della quindici-sedicenne cantante. Provocano scandalo, ma non sono scandalosi: mostrano Miley con la maglietta alzata per mostrare la pancia piatta, delle mutande sportive, non provocanti, e nessun dettaglio erotico. È più coperta che in piscina, mi verrebbe da dire. E gli atteggiamenti sono quelli di una goffa sensualità adolescenziale. Ma Disney minaccia di rescindere il contratto, e lei chiede scusa a tutti, perfino ai fan. Dice che le foto sono «stupide e inappropriate». Pochi mesi dopo, nel maggio 2008, un servizio di Vanity Fair intitolato “Miley Knows Best” comprende un’intervista e delle fotografie scattate da Annie Leibovitz. In una delle foto Miley appare di profilo, il busto nudo, i seni coperti dalle braccia e da un lenzuolo di seta bianca. Lei ha i capelli neri spettinati. Non è sexy, né provocante: è la schiena nuda di una quindicenne. Come in piscina? Esatto. Il New York Times dedica allo scandalo un articolo intitolato: “Revealing Photo Threatens a Major Disney Franchise”. La reazione di tale Francois Navarre, un agente fotografico di Los Angeles, è premonitrice. In un articolo del Los Angeles Times intitolato “All lenses are on Miley” dice: «She has people waiting for the moment she starts to be less traditional. It’s going to come. It’s natural (…). But it’s going to come very fast (…). It’s going to start to be interesting».
Una delle prima cose interessanti arriva nel 2012, quando Miley Cyrus ha 20 anni ma è ancora legata al pubblico che la seguiva in Hannah Montana. Da due anni non canta più e recita solamente. A gennaio il suo fidanzato, Liam Hemsworth, viene festeggiato in una discoteca di L.A., il Club Icon di Downtown. La torta è a forma di pene. Un enorme pene lungo circa 50 centimetri. Il sito scandalistico TMZ entra in possesso di alcune fotografie che mostrano Miley, la giovane, innocente Miley, che lecca la torta-pene. Ha ancora i capelli lunghi. Ricordo di aver visto le foto, di esserne rimasto perturbato, ma di non aver dato all’episodio troppa rilevanza, nemmeno sessuale. D’altronde non sapevo ancora, davvero, chi fosse questa Miley Cyrus.
Ho passato un po’ di tempo su YouTube per capire come suonassero le canzoni di Hannah Montana: suonano orribili, almeno per le mie orecchie. Sotto il video di “See You Again”, un singolo da top 10 uscito nel 2007, mi colpiscono questi due commenti in particolare: «Voglio annusarti i piedi», e «Miley devi ripulire il tuo atteggiamento ora. Sei disgustosa ai Vma 2013. Puoi fare quello che vuoi è la tua vita ma non devi andare in giro nuda ai Vma 2013 o fare certi video nuda come Wrecking Ball» (la traduzione è mia, gli errori sono inclusi nel testo originale). Il primo commento è del 2007, il secondo, come si intuisce, è posteriore all’agosto 2013, cioè posteriore agli Mtv Video Music Awards in cui il caso Miley Cyrus diventa effettivamente planetario, facendo tremare i vetri dei media mondiali (soprattutto online) come pochi altri casi – non credo di esagerare – nella storia della musica.
Succede che dopo il taglio di capelli e dopo le Backyard Sessions la trasformazione di Hannah Montana in Miley Ray Cyrus è completata. Nel giugno 2013 esce il singolo che anticipa l’album Bangerz, tecnicamente il quarto disco di Miley Cyrus, più onestamente, però, il primo disco di Miley Cyrus. Si chiama “We Can’t Stop” e sia il video che il testo sono celebrazioni un po’ da teen rebel dell’amicizia e della libertà: party, questa-è-la-mia-vita, «forget the haters», twerking, mossette pelviche, molte lingue fuori, tuffi in piscina. L’estetica è molto contemporanea. Un commento sotto il video, tra i più votati, dice: «For a party song, this song sounds oddly depressing». Credo sia un commento un po’ spaccone, un po’ di critica, ma esprime quello che è stato il mio pensiero al primo ascolto, immutato anche al centesimo. È un ritmo lento e nostalgico, e il contrasto tra la volontà di celebrazione della libertà giovanile e questa lentezza, questa nostalgia, mi colpisce da subito. È come se Miley Cyrus scrivesse e cantasse la canzone alle dieci del mattino, dopo una notte di festa, quando il party finisce, l’alba si completa, e rimangono i tappeti sporchi e i piatti rotti, e le sigarette nei bicchieri e l’amaro dell’Mdma e la nicotina sul palato. È stato un bel party, ma questo è il momento del silenzio e della lentezza, e di quelle riflessioni indecifrabili che hanno sempre il sapore dell’ineluttabilità.
Ai Vma 2013 Miley twerka, canta, mostra la lingua in maniera buffa, si strofina sul pacco di Robin Thicke. Il tutto crea uno scandalo senza precedenti: Miley Cyrus è diventata cattiva, e blasfema. C’è un’altra accusa, più velata e maschilista: è goffa, sessualmente ridicola. Lo dimostrano i molti meme che confrontano il culo di Miley con quello di Lady Gaga. Il sottotesto: guarda come è fatta una vera donna. Lei parla per la prima volta davvero in una lunga e bella intervista a Rolling Stone, nell’ottobre 2013. Dice, tra le altre cose, che sua madre, nei camerini prima dell’esibizione, le ha chiesto se avesse fatto pupù prima di salire sul palco; nello stesso camerino c’era Kanye West. Dice che la storia della lingua non vuole essere una cosa sexy, è solo che si vergogna a sorridere, e allora tira fuori la lingua per essere meno seria. Dice che è strano che tutti parlino della donna che si strofina sul pacco dell’uomo sul palco, e la chiamino slut, ma nessuno parla dell’uomo e del suo pacco. Che insomma, c’è un double standard, che dovrebbe essere evidente a tutti.
Prima dell’uscita di Bangerz esce un altro singolo: “Wrecking Ball”, ed è una molotov sull’incendio di indignazione puritana dei Video Music Awards. È la mia canzone preferita di quel disco. Mi chiedo quando ho smesso la pantomima dell’intellettuale che si dà arie, e quando ho iniziato a capire che il pop è bello, oppure che il pop mi piace. Che mi piacciono frasi come «I came in like a wrecking ball, / I never hit so hard in love, / all I wanted was to break your walls, / all you ever did was wre-e-eck me». Probabilmente è stato poco dopo il momento in cui ho realizzato che il 90 per cento dei testi rock, alt rock, o indie rock sono sconcertanti banalità. Forse quando ho smesso di vestire la musica con una sacralità da arte suprema. Forse mi specchio particolarmente bene in “Wrecking Ball”, però dalla parte del villain, quello che doveva lasciare abbattere i suoi muri, e che non l’ha fatto, e ha frustrato gli sforzi di quella che non aveva mai hit so hard in love, e mi sento in colpa.
Credo che Miley Cyrus abbia ovviamente ragione quando parla di double standard, ma credo anche ci sia di più. Miley Cyrus è finita nell’inferno puritano in virtù del suo passato Disney, e in virtù del fatto che è bianca, e che fa suoi alcuni simboli della cultura black – il twerking è quello che salta più all’occhio. Cantanti altrettanto pop come Rihanna o Nicki Minaj non hanno subito lo stesso trattamento della ragazza che fu Hannah Montana, nonostante esibizioni più “provocatorie” come i video di “Pour It Up” o “Anaconda”: loro, semplicemente, non sono mai state Hannah Montana. Non sono mai state dalla parte del bene, e questo anche in virtù della loro pelle. Miley Cyrus era una giovane bianca con un purity ring e si è corrotta.
Miley, che non si è mai sentita more me in my whole life come quando ha tagliato i capelli da teen idol, sta cercando di sfuggire da un doppio pregiudizio. Quello moralistico legato alla sua vita precedente, e quello musicale, per cui un certo pop, e una certa estetica legata a quel pop, sarebbe privo di dignità musicale. Il primo pregiudizio va distrutto: e Miley Cyrus parla di empowering, di femminismo, di fluidità sessuale. Il secondo va aggirato, e i suoi seguaci (del pregiudizio, gli snob di cui facevo parte anche io, e di cui fanno parte gli amici che alzano le sopracciglia quando chiedo se possiamo ascoltare Bangerz in un viaggio in macchina) messi in un angolo: per questo nelle tappe del Bangerz Tour si è specializzata in cover “alte”. Come: “It Ain’t Me” di Dylan, forse la mia preferita; “A Boy Named Sue” di Cash; “The Scientist” dei Coldplay; “Lucy in the Sky With Diamonds” dei Beatles; poi c’è la collaborazione e l’amicizia, molto ostentata, con i Flaming Lips. A proposito: le Backyard Sessions ci sono ancora. Ora sono sponsorizzate dalla Happy Hippie Foundation. Che è un’altra arma (e invenzione, e virtù) della nuova Miley Cyrus: una fondazione per aiutare i giovani homeless. Che sono, spiega il Manifesto, giovani LGBT per il quaranta per cento.
Sono passati due anni da Bangerz, il primo vero album di Miley Cyrus, o il primo album della vera Miley Cyrus. Un’anteprima del nuovo lavoro è stata presentata in un concerto a New York, a maggio, è una canzone che si chiama “Tiger Dreams” ed è stata suonata con i Flaming Lips. Una descrizione del nuovo disco che mi ha colpito sta in una frase detta a Mtv dal rapper iLoveMakonnen, che ha collaborato con Miley ad alcune canzoni. Dice: «Le ragazze piangeranno pensando ai loro ex ragazzi, e lo stesso faranno i ragazzi pensando alle loro ex». Il che, in fondo, è buona parte di quello che chiediamo alla musica.