Sanremo, questo è l’ombelico del nonno

La prima serata del Festival è già dimenticata, tra gag un po' fiacche e rapper molto addomesticati. Nella noia, ci siamo ritrovati a parlare tutti delle stesse cose: zio Gerry e Jovanotti.

12 Febbraio 2025

È finito il quinquennio Amadeus, giudicato trionfale da pubblico, critica e operatori dell’industria musicale. Nuovo corso, tocca a Carlo Conti, il normalizzatore, una scelta conservativa. Le novità principali: non c’è più Fiorello, fine dei monologhi autoreferenziali. Serpeggiava un po’ di preoccupazione, fra i molti che si sono avvicinati a Sanremo grazie alla svolta giovanilistica e social degli ultimi anni. Conti ha promesso un Sanremo pacato, allergico alle polemiche – grazie anche all’aiuto di Fedez, che ha fatto da parafulmine assorbendole tutte. Che spettacolo ci aspetta? Ancien régime? Vincerà Massimo Ranieri?

L’inizio, si può dire, non è ideale: Carlo Conti saluta, ricicla la stessa battuta scadente di mesi fa quando annunciò al Tg1 il suo ritorno alla conduzione («i conti tornano, e io sono tornato»), e salta subito l’audio per qualche secondo. L’errore tecnico è risolto in fretta, ma c’è poca verve. Il normalizzatore Conti, conduttore ragioniere, osa poco: ecco il ricordo di Ezio Bosso, poi quello di Fabrizio Frizzi, le battutine rompighiaccio di Gerry Scotti e Antonella Clerici, affidabili co-conduttori della prima serata, le frasi da Smemoranda sull’amicizia, i cantanti emozionati, le continue rassicurazioni: «Non vi preoccupate, andremo a letto presto». In questo panorama dimesso si prende la scena Gerry Scotti, al debutto all’Ariston. Zio Gerry rompe la scaletta, prova lo scialle di Irama, rimbrotta i più scostumati, canticchia, si fa toccare, ha una buona parola per tutti. Carlo Conti un po’ lo soffre. Quando Gerry si incarica di consegnare i fiori a Elodie, Conti sbotta con il suo Fiorello per la prima volta: «E allora fallo tu».

“Però Conti ha ritmo, sa condurre”, ci assicuravano nei giorni scorsi gli esperti di televisione. In effetti si procede di fretta, con parecchi minuti di anticipo sulle previsioni. Conti, nel pomeriggio, aveva promesso una grossa sorpresa: starà mica creando lo spazio per accogliere un super ospite? Il normalizzatore ci stupirà? Falso allarme. In mezzo alle esibizioni di Achille Lauro e Giorgia, Conti introduce sul palco una cantante israeliana e una palestinese, Noa e Mira Awad, per cantare una innocua versione trilingue di “Imagine”. Qua Conti rompe la quarta parete e annuncia con trasporto un’introduzione speciale, ricordandoci che nel mondo ci sono «tante, troppe guerre». È chiaro subito dove si va a parare: arriva l’ennesimo breve videomessaggio televisivo di pace del Papa, registrato da casa sua, circondato da una luce bianchissima. Pubblicità.

A un certo punto fra il Papa, la mamma di Cristicchi, le battute retrò di Gerry Scotti, le canzoni tutte scritte da Blanco, Abbate o Petrella e gli abbracci forzati del Fantasanremo ci si inizia un po’ a deprimere. Che noia. Si notano anche dei vuoti fra il pubblico. Per risollevare l’atmosfera arriva Jovanotti, il vero super ospite, in total look oro con i capelli leccati all’indietro. Dopo l’incidente in bici, che l’ha tenuto lontano dalle scene per un bel pezzo, è ancora più gasato del solito. Canta “L’ombelico del mondo” circondato da centomila batterie fuori dall’Ariston, poi entra nel teatro accompagnato da ballerine e un suonatore di sitar, si fa toccare dal pubblico adorante, bacia sua figlia, arriva finalmente sul palco dopo un quarto d’ora, non ha più voce ma parte lo stesso “A te” in un tripudio di telefonini accesi, il pubblico lo aiuta sul ritornello. Apoteosi, standing ovation, bentornato. Benignesco, si concede alle domande. «Chi era quel suonatore di sitar che ti ha accompagnato?» E Jova: «Non lo so, ma ha un nome indiano». Jovanotti, mattatore, chiama sul palco anche Tamberi, forse in sostituzione di Sinner, e gli fa annunciare la partecipazione alle prossime Olimpiadi estive. Ci si rivede in spiaggia.

In questa gazzarra nazional-popolare, si conferma una tendenza: l’addomesticamento dei rapper, accorsi di nuovo in massa a questo Sanremo, però quasi tutti con esibizioni innocue e canzoni pop, anche quelli che sembravano ingestibili come Tony Effe (che si copre pure i tatuaggi su faccia e collo). Pochissima trasgressione. Da un pezzo il Festival non è più tabù per loro, ormai nei podcast di settore alla domanda “parteciperesti a Sanremo?” rispondono tutti quanti, sempre, “con il pezzo giusto, sì”. Sono lontanissimi i tempi dell’underground, delle polemiche per l’ospitata di Eminem e la litigata dei Sottotono con Valerio Staffelli, entrambe a Sanremo 2001, edizione resa leggendaria dallo sbrocco dei Placebo. Ma anche le partecipazioni di Ghali e Dargen dell’anno scorso sembrano rivoluzionarie rispetto al clima sdolcinato di quest’anno. Analizzando le scelte di Carlo Conti, incuriosiva la quantità di rapper in gara. Svolta rap? No, si sono adeguati al contesto, forse per far contenta la mamma. Un gruppo di labradoroni mansueti con i tatuaggi da duri (coperti).

Bresh l’anno scorso era a Sanremo per fare casino agli afterparty e adesso fa il tenero cantautore erede della scuola ligure, perfetto fidanzato d’Italia; Tony Effe fino a pochi mesi fa era il crackomane più bello d’Italia, un misogino da boicottare, e ieri ha presentato una potabilissima canzonaccia romanesca; il povero Rkomi, seminudo, si fa prendere in giro da Gerry Scotti, che gli consiglia di indossare una maglietta della salute, e prova a buttarsi nel pop di denuncia sociale, con risultati deludenti; Achille Lauro ne ha fatta di strada da quando dormiva in macchina; Emis Killa si è ritirato prima della competizione per non intralciare il lavoro della magistratura; Fedez, lo si può capire, è assorbito dal suo angolo rosa, e la canzone in gara ne risente.

Insomma, non esattamente una scena di cattivoni, altro che dissing. L’unico coerente è Gue, vincitore morale. Arriva in team con Shablo, Joshua e Tormento (quest’ultimo protagonista dei tafferugli con Staffelli un quarto di secolo fa), occhiali scuri, rappa, swagga, ama la sua mamy e ‘sti money, fa le doppie, si ritrae quando Conti gli dice di venire qua. Fedele alla linea. In un’intervista di qualche giorno fa ha detto di non sentirsi in gara al Festival, sta solo facendo un favore a un amico, parteciperà nei prossimi anni se troverà una canzone giusta. «Come ho convinto Gue a venire al Festival?», ha rivelato Shablo: «Semplice, lui è il maestro della bella vita. Gli ho detto: vieni che nel weekend ti portiamo a Nizza, Montecarlo…gli abbiamo promesso le ostriche, un po’ di champagne, facile». Due ore prima di salire sul palco, Gue sponsorizzava nelle storie di Instagram il suo brand di tequila.

Ah, poi ci sarebbero le canzoni in concorso, e la loro battaglia verso platini e palazzetti. Si conferma il podio previsto alla vigilia: Giorgia, Achille Lauro e Brunori Sas, decidete voi l’ordine. Menzione speciale per Simone Cristicchi, Joan Thiele e Lucio Corsi, le loro canzoni brillano in un mare di tentativi smarmellati di tormentone. Si è fatta una certa, Achille Lauro e Fedez non si sono picchiati nel backstage, gestire l’eredità di Amadeus non è stato poi così complicato. Il trio di conduttori è ormai stanchissimo, Carlo Conti sembra quasi scocciato, accoglie sul palco un carrello con qualche fondina di trofie al pesto. Conti, Scotti e Clerici provano a distribuirle fra il pubblico, che risponde tiepidamente. La prima serata è andata, senza colpi di scena. «W le trofie», urla la Clerici, e parte la sigla di chiusura, “Tutta l’Italia”, con cassa dritta firmata Gabry Ponte.

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