Lucky Red, distributore italiano del film, ha deciso di riportarlo in sala in occasione della Festa della Liberazione.
Jeff Koons ha chiesto a una rivista di non pubblicare un saggio che lo criticava
Romy Golan, storica dell’arte che insegna al Graduate Center della City University of New York, ha scritto un saggio sul “Bouquet of Tulips”, la scultura di Jeff Koons che si trova al Petit Palais di Parigi, che probabilmente non leggeremo mai. Come racconta Colin Moynihan sul New York Times, il saggio di Golan doveva essere pubblicato su Brooklyn Rail, una rivista d’arte newyorchese per la quale hanno scritto anche autori come Paul Auster e Jonathan Lethem. Il caporedattore di Rail aveva anche letto e approvato il pezzo di Golan, definendolo come un giusto tributo «all’opera, alla sua eredità e alla sua rilevanza storica». Opinione però non condivisa da Koons che, dopo aver letto una copia del saggio, ha chiesto e ottenuto che non venisse pubblicato. Stando a quanto riporta il New York Times, Koons, tramite il suo ufficio stampa, si sarebbe detto «preoccupato» dal modo in cui, a suo dire, nel pezzo di Golan “Bouquet of Tulips” veniva descritto come «un simbolo di violenza». Da qui, da questa presunta «diffamazione ai danni di Jeff», la richiesta di non pubblicare il saggio. Richiesta, come detto, accolta.
C’è un passaggio in particolare del pezzo di Golan che ha indispettito Koons. Un po’ di contesto per capire meglio di cosa stiamo parlando: il saggio di Golan partiva da una sua esperienza personale. Dopo aver visto per la prima volta di persona “Bouquet of Tulips” durante un viaggio a Parigi, le era immediatamente venuta in mente un’altra opera: il murale del 1937 realizzato da Fernand Léger e Charlotte Perriand, tre mani che stringono quelle che sembrano essere rose canine. Secondo Golan, sia questa opera che “Bouquet of Tulips” usano immagini simili per scopi simili: Léger e Perriand volevano salutare il governo socialista appena eletto all’epoca in Francia, Koons contribuire al processo di guarigione della Francia dopo il trauma degli attacchi terroristici. Per approfondire questo accostamento, Golan scriveva che (riportiamo il testo originale in inglese per evitare fraintendimenti e imprecisioni dati dalla traduzione): «There is a certain tension that reads as the aftereffect of the violence that prompted the memorial, latent in the way Koons’ arm juts out diagonally from its base. [..] It is this remarkable mix of benevolence and tension in Koon’s gesture that marks his “Bouquet” as an important artwork». In una mail scritta da Lauren Rothstein, addetta stampa di Koons, questo passaggio viene descritto come un fondamentale fraintendimento delle intenzioni che l’artista aveva realizzando “Bouquet of Tulips”: «Definisce il gesto, passivo, di offerta scolpito da Jeff come un atto di violenza», si legge in questa mail di Rothstein, che prosegue poi con l’accusa ai danni di Golan di aver dato all’opera di Koons «connotazioni estremamente negative».Viste le proteste dell’artista, Phong Bui, editore e direttore artistico di Rail, avrebbe proposto a Golan di trasformare quel suo pezzo in un’introduzione a una raccolta di saggi, scritti da altri autori, sulla storia delle immagini nell’arte politica. Golan, davanti a questa proposta, ha preferito ritirare definitivamente il saggio. «Penso sia una cosa patetica. Queste riviste dovrebbero avere a cuore le opinioni, la libertà di parola. Dov’è qui la libertà di parola», il suo commento sulla vicenda.
Il “veto” posto da Koons non è solo una questione editoriale (come spiega Moynihan, nella decisione di Rail c’entra la «volontà di mantenere buoni rapporti con i lettori», persone spesso personalmente e professionalmente legate agli artisti che la rivista racconta) ma anche legale. Il pezzo di Golan comprende un’intervista fatta a Koons nell’inverno del 2022, per realizzare la quale ha dovuto firmare un accordo che prevedeva per l’artista la possibilità di «visionare e approvare qualsiasi registrazione, immagine e/o materiale promozionale» di cui la rivista avesse voluto fare uso. È sulla base di questo accordo che Koons ha preteso che il pezzo non venisse pubblicato. Anche se un saggio non può essere definito “registrazione, immagine e/o materiale promozionale”, The Rail ha temuto che quell’accordo potesse diventare l’oggetto di una contesa legale.
Negli Stati Uniti questa storia ha acceso un dibattito (per la verità già vivissimo, visto quello che sta succedendo nei campus delle università) sulle libertà di opinione, parola ed espressione. In molti hanno sottolineato come quello che è successo a Golan sia una palese violazione di diritti fondamentali tutelati sia dalla Costituzione americana che dal diritto internazionale. Tra i pochi a schierarsi dalla parte di Koons è stato, abbastanza sorprendentemente, proprio Phong Bui, direttore di Rail e artista a sua volta. Bui ha detto che lui si schiera sempre dalla parte degli artisti perché sa bene «quanto spesso gli artisti sono stati vittime». A suo dire, la richiesta di Koons è comprensibile perché quanto scritto da Golan nel suo saggio «era molto distante dall’opinione di Jeff». Viene da chiedersi, a questo punto, quale sia secondo Bui la definizione di critica culturale. E di libertà di opinione, parola ed espressione.

Subito dopo la vittoria dell'Akatugawa Prize, il Premio Strega giapponese, la giovane autrice Rie Qudan ha detto di essersi fatta aiutare dall'AI per scrivere il romanzo. E di essersi trovata benissimo.