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In missione con Davines e Sea Shepherd

Anche quest’anno il marchio di haircare promuove la campagna Ocean Keeper, che in Italia ha Sea Shepherd come partner. Abbiamo intervistato Roberta Pietrasanta, comandante della Conrad, impegnata nell’operazione Ghostnet per il recupero e lo smaltimento di reti da pesca abbandonate.

Davines nasce nel 1983 come un piccolo laboratorio di ricerca e produzione di prodotti per la cura dei capelli a Parma, da un’idea di Silvana e Gianni Bollati: dieci anni dopo prenderà il nome (e la forma) che conosciamo oggi mentre nel 1996 nasce anche la divisione dedicata alla skincare, Comfort Zone. È la seconda generazione della famiglia, guidata da Davide Bollati, a scegliere per l’azienda la strada della “bellezza sostenibile”: da Davines sono infatti convinti che adottare un modello di impresa sostenibile significhi avere un impatto positivo sulla società, in tutti i suoi aspetti. Prima che parole come “sostenibilità” e “greenwashing” diventassero di uso comune, il gruppo di Parma ha individuato una strada per crescere responsabilmente, impegnandosi a raggiungere obiettivi che vanno dal packaging, con la riduzione della plastica, al sostegno a operazioni di tutela per l’ambiente. Dal 2016 Davines è un’azienda B Corp certificata e come tale impegnata in un approccio che non è più estrattivo ma rigenerativo: in questa direzione si muove la campagna Ocean Keeper, che ha l’obiettivo di incoraggiare le persone a fare scelte più consapevoli in materia di plastica.

Roberta Pietrasanta, comandante della Conrad di Sea Shepherd Italia

La campagna rientra fra le iniziative portate avanti da Davines che testimoniano l’approccio circolare del brand e mirano a limitare l’impatto che hanno i suoi packaging sull’ambiente. Ne sono un esempio il ricorso ai principi di eco-design e la collaborazione con Plastic Bank per rimuovere la plastica oceanica da importanti aree costiere. In virtù della partnership con Plastic Bank, dal 2022 tutti i prodotti Davines sono infatti Plastic Net-Zero, il che significa che, per ogni prodotto venduto, una quantità equivalente di plastica viene rimossa dalle coste oceaniche. Per incentivare il consumatore ad effettuare acquisti sostenibili, Davines ha creato un regalo speciale con uno scopo: un telo mare 90×150 cm realizzato in India con fibre riciclate al 100 per cento. A partire dal primo maggio i teli sono in omaggio con l’acquisto di 3 prodotti della linea SU, dedicata alla protezione solare per corpo e capelli, presso i saloni aderenti. Sempre nell’ambito di questo impegno, anche nel 2024 Davines ha deciso di proseguire la collaborazione pluriennale con Sea Shepherd, storica realtà votata alla salvaguardia delle biodiversità marine. Quest’anno si è impegnata a devolverle 25 mila euro per supportarla nel contrastare l’inquinamento dei mari documentando, mappando e rimuovendo le discariche sottomarine che sono presenti in tutto il Mediterraneo. Abbiamo parlato di queste operazioni con Roberta Pietrasanta, comandante della Conrad da tre anni e oggi impegnata nella campagna Ghostnet, che si occupa proprio di individuare e rimuovere le reti da pesca abbandonate nelle nostre acque.

Quando e come è iniziata la tua avventura in Sea Shepherd e come mai hai scelto questa vita?
Un desiderio di avventura. Conoscevo Sea Shepherd per i loro trascorsi pirateschi, ogni tanto li avevo incontrati nei porti dove bazzicavo anch’io perché lavoravo sugli yacht. Non appena ho ottenuto qualche titolo più importante [come quello di comandante, nda] i primi a cui ho mandato un curriculum sono stati loro. Ero disposta a partire come volontaria, ma mi piaceva anche l’idea di avere una formazione da ufficiale, in modo da poter avere un ruolo preciso [nell’organizzazione, nda].

Che tipo di persone ha incontrato in questi anni da comandante in Sea Shepherd?
Nella mia esperienza ho davvero incontrato persone di tutti i tipi: ho avuto persone a bordo dai 22 ai 68 anni, di tutte le estrazioni sociali, tanti studenti, con un percorso formativo non esclusivamente legato al mondo marino, ma persone che coprivano un ventaglio di passioni davvero ampio. C’è sicuramente il bisogno di avventura, di stare per mare, ma non è solo quello: c’è il desiderio di fare qualcosa in più. Ho incontrato padri di famiglia, medici, un assicuratore, qualche imprenditore, tante insegnanti… tutte persone molto disponibili a crescere, a fare cose pratiche o tecniche che magari non avevano mai fatto. Persone entusiaste di mettersi in gioco.

I sommozzatori impegnati nelle operazioni di recupero delle reti abbandonate

Come nasce l’operazione Ghostnet e quali sono gli obiettivi della campagna?
Questo tipo di operazioni che si svolgono nel Mediterraneo, come Ghostnet, sono eccellenti perché sono possibili grazie alla collaborazioni con le realtà locali: c’è infatti uno scambio di informazioni e competenze che nasce dalla comune preoccupazione. In questo caso [a Isola delle Femmine ma anche a Vulcano, nda] ]abbiamo trovato una sorta di discarica di reti in mare. È la prima volta che vediamo una cosa del genere e non sappiamo ancora se è un caso isolato o se abbiamo solo trovato la punta dell’iceberg. Questa esperienza ci spinge a porre sempre più domande, a chiederci se c’è un’abitudine con questo tipo di pratiche illegali. È importante parlarne e aumentare la consapevolezza su questo problema perché il recupero e lo smaltimento di questo tipo di rifiuti è tutt’altro che semplice: è impegnativo e costoso. Queste reti danneggiano l’ecosistema marino: inquinano e tolgono la vita a esseri senzienti.

Con il diversificarsi delle operazioni in mare, si diversificano anche il tipo di formazione di chi opera in Sea Shepherd. Come è cambiato questo aspetto negli ultimi anni?
Abbiamo assistito a una specializzazione, e a una professionalizzazione, sempre maggiore. In quest’operazione, ad esempio, i diver sono diventati operatori tecnici subacquei. Credo sia importante sottolineare che questo è possibile perché i volontari, in questi quattro anni, hanno continuato a tornare a bordo con sempre più capacità a livello tecnico. Parliamo di persone che magari non erano mai state a bordo di una barca prima e che oggi invece riescono a viverci e a svolgere le attività che un’imbarcazione come la nostra necessita: questa specializzazione ci permette di avere equipaggi sempre più formati a bordo che sanno andare per mare e che sono disposte ad aiutare in operazioni come Ghostnet.

Un’altra cosa che mi ha colpito è il rapporto che Sea Shepherd è stata in grado di instaurare, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, con le marinerie in cui opera, coinvolgendo le istituzioni, i pescatori ma anche i diver specializzati come Diving Center Saracen di Isola delle Femmine, partner di Ghostnet. Come si cambia la cultura del mare?
La raccolta dei rifiuti in mare potrebbe diventare davvero un’attività che coinvolge più persone, intere comunità. In tempi non sospetti, in Sardegna, avevo organizzato una “Festa del fondale”, in cui i bambini, con delle piccole macchine fotografiche, facevano snorkeling nel mare antistante casa loro. Il loro compito era individuare gli oggetti “alieni” al fondale, come copertoni di bici o di macchine e altri rifiuti, e “classificarli” con un cartellino. Sembra un esperimento banale ma non lo è: siamo talmente abituati a vedere la spazzatura in mare che alle volte neanche la notiamo. Sviluppare questa sensibilità è possibile, deve diventare un’attitudine dello sguardo e, perché no, anche un’attività. Oggi non tutti credono che un cambiamento del genere sia possibile, magari lo considerano impossibile e lo deridono, ma credo che qualcosa si stia già muovendo. Basta andare al supermercato per rendersene conto, e notare come si è ampliata l’offerta di cibi vegani negli ultimi anni. Ovviamente dietro ci sono delle specifiche politiche commerciali, ma significa anche che qualcosa sta cambiando nel modo in cui guardiamo non solo alla nostra salute, ma a quella di tutti. Perché alla fine non c’è differenza tra la tua salute e quella del pianeta.

Una parte delle reti recuperate a Isola delle Femmine

Com’è collaborare con la comunità per questo tipo di operazioni?
C’è la collaborazione con la Guardia costiera e la Guardia di finanza e c’è quella con le persone che questi luoghi li abitano: abbiamo trovato persone entusiaste, con le quali abbiamo condiviso informazioni, dalla posizione degli illeciti ai dettagli delle operazioni, fino a condividere gli ideali [sulla vita in mare, nda]. Diciamo che lo spirito piratesco della Sea Shepherd degli anni Settanta era qualcosa di necessario all’epoca, mentre oggi è necessario stare nel filone della legalità perché, semplicemente, questo tipo di operazioni devono coinvolgere autorità e comunità, sono una parte fondamentale.

Mi racconti un’operazione alla quale sei particolarmente legata?
Sicuramente tutte quelle in cui recuperiamo le spadare, sempre qui in Sicilia [le spadare sono un tipo di rete pelagica utilizzata per la pesca al pesce spada il cui uso, illegale in gran parte dei Paesi, è tutt’oggi frequente nel mar Mediterraneo, e causa la morte di altre specie marine in pericolo, quali le tartarughe marine e i cetacei, nda]. È quasi un’attività di spionaggio, una ricerca notturna anche complicata perché bisogna stare attenti a non finirci dentro. Le spadare sono un tipo di rete davvero orribile: con il mio collega Enrico Salierno [co-fondatore di Sea Shepherd Italia, nda] le abbiamo viste “da sotto”, mettendoci una maschera e un paio di pinne e provando a seguirne un pezzo. Abbiamo incontrato animali impigliati, che ormai erano lì dentro per sempre condannati a una morte lunga, in agonia. Questo tipo di strumento è illegale da più di vent’anni e sebbene qualcuno lo consideri ancora una “tradizione”, bisogna capire che non è più praticabile.

Foto di apertura e nell’articolo di Sea Shepherd Italia e Davines.

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