Attualità
In bikini su Instagram a mia insaputa
Capire di essere un dinosauro e da allora passare molto più tempo su Instagram, mettendo i cuori e immaginando la vita dietro i selfie.
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L’articolo che segue è il primo estratto dal nuovo numero di Studio, disponibile dal 28 settembre nelle edicole di tutta Italia e, ovviamente, sulla nostra app per iPad.
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Poi un giorno mi sono collegata a Instagram dal computer, non dal telefono come faccio sempre, e cercando il mio profilo sovrappensiero mi si è fermato il cuore. C’era una certa “@abenini”, con la mia faccia, e foto in bikini che mai avrei condiviso; posso dire con certezza che quello era anche il mio corpo nel 2010. Non c’erano i bambini, non c’era il gatto, c’ero soltanto io che facevo la scema. Sono morta di paura, ho pensato a quella solita cosa che dicono tutti quando sono nei guai, un furto d’identità: mi sono guardata intorno piena di sospetto, mi sono ricordata di tutte le volte in cui ho perso il telefono e ho pensato per almeno dieci minuti di essere perseguitata da un ricattatore che non mi aveva mai ricattato, comunque ho fatto in tempo a vedere che le foto avevano una quantità notevole di cuoricini, mai raggiunti con le foto di bambini, e ho cancellato il profilo, velocemente, inserendo la password che uso per tutto, una specie di apriti sesamo di nessuna sicurezza che apre ogni porta. La password funzionava, ma io ero ancora convinta che qualcuno volesse minacciarmi, o uccidermi, o peggio pubblicare foto in cui ero venuta male (cioè tutte).
Ho chiesto aiuto, ho raccontato ad almeno cinque persone, gesticolando, questa storia folle di qualcuno che entra nelle mie foto e crea un profilo su Instagram con il mio nome e la mia password, e ho notato l’aria incredula, il sorrisino ad angolo, l’espressione compunta evidentemente riservata ai mitomani. Appena si è diradata la nebbia nel cervello, ho capito. Ho capito che quello era il vecchio profilo, creato da me per osservare gli altri profili, ho capito anche che avevo attivato un’impostazione per cui le foto su cui giocavo con i filtri di Instagram andavano direttamente su Instagram, senza che per anni me ne fossi accorta, ho capito che ero stata punita per non avere preso sul serio la fiera delle vanità, le sue conseguenze e le sue trappole. Mi sono vergognata, come la prima volta in cui mi hanno detto: ti mando il video con airdrop, e io non sapevo che cosa fosse airdrop. Adesso però airdroppo tutto.
Quindi da allora, dal giorno in cui ho capito di essere un dinosauro, passo molto più tempo su Instagram, e controllo anche gli hashtag, metto cuori, immagino la vita dietro quei selfie, guardo tutti i video di Belén, e ho passato un lungo aperitivo a Formentera, al tramonto, a guardare tre ragazze belle e bionde sedute al tavolo di fronte. Non si parlavano ma si autoscattavano con molta serietà, muovendo i capelli, cercando il sole, alzando il mento, mettendo e togliendo cappelli di paglia. Ognuna autoscattava se stessa, e un paio di volte si sono avvicinate per rientrare nello stesso selfie, studiando poi con aria grave il risultato, prima di decidere se metterlo su Instagram (ho visto chiaramente il telefono aprirsi sui filtri possibili, io amo Nashville). Una delle ragazze non era soddisfatta, faceva smorfie di disgusto davanti al telefono, c’è stato un inizio di litigio: le mie amiche e io volevamo offrirci di fare loro una foto vera, senza necessità di contorcimenti. Ma abbiamo temuto lo sguardo schifato delle bionde: se avessero voluto una foto tradizionale sarebbero tornate nel secolo scorso, da dove noi evidentemente venivamo. Nel frattempo il sole era sparito, così abbiamo lasciato le ragazze nel loro mondo col braccio teso, abbiamo ripreso i motorini.
Ma dentro di me ho pensato con orgoglio segreto ai cuoricini a mia insaputa su Instagram, quando quelle ragazze andavano forse alle elementari e ignoravano il mondo, e ho fotografato il mare, per metterlo su Instagram con l’hashtag #lestateaddossosempreancheadesso.