Il Mago del Gelato, straight outta via Padova

Dopo un'infinita serie di live in giro per l’Italia, la band ha fatto uscire il suo primo disco, Chi è Nicola Felpieri?: li abbiamo intervistati e con loro abbiamo parlato di retromania, autotune, Milano e Salento.

19 Marzo 2025

Scegliere di chiamarsi Il Mago del Gelato è una decisione importante, un imprinting che si dà a un progetto, anche se presa soltanto perché è un’insegna di un bar che ti si para davanti ogni giorno quando vai a provare con il gruppo. Anche se sei a Milano, in via Padova, durante la pandemia di Covid, puoi in realtà muoverti tantissimo, fare viaggi lunghissimi, e non solo nello spazio, grazie a ispirazioni afrobeat e influenze jazz funk giapponesi, ma anche nel tempo, muovendosi dagli anni Settanta agli Ottanta fino ad oggi. Chi è Nicola Felpieri? è il primo disco de Il Mago del Gelato, ed è frutto di infiniti live in giro per l’Italia, contaminazioni, collaborazioni, esperimenti e voglia di far ballare e stare bene che la band milanese ha accumulato in questi pochi anni di attività. Chi è Nicola Felpieri? è un’auto in corsa d’estate mentre tramonta il sole. Magari si insegue qualcuno, qualcosa. Una serata che non si sa come finirà, ma ha una colonna sonora che dà i tempi perfetti. «Abbiamo voluto costruire un racconto musicale, lanciando indizi qua e là. Titoli di brani, stili, suggestioni. Non abbiamo però voluto dare un’interpretazione unica, anche tra di noi ne abbiamo date di diverse proprio perché ci piace che le possibilità si moltiplichino grazie anche a quelle di chi lo ascolta».

Com’è nata la vostra band?
Giovanni: Suonare insieme è stato il bisogno in un momento in cui mancava la musica dal vivo, visto che è nata alla fine della pandemia. E questo tipo di musica ci permetteva di metterci in contatto con le persone, di creare delle situazioni molto coinvolgenti anche per il pubblico. Volevamo vedere la gente ballare, condividere dei momenti di svago insieme.

Il vostro nome prende spunto da un bar.
Giovanni: Era davanti allo studio dove provavamo per cui lo vedevamo tutti i giorni. Abbiamo preso ispirazione da questa vecchia insegna “Il Mago del Gelato”: il suo carattere così sognante si sposava perfettamente con quello che era l’immaginario che volevamo stesse dietro alla nostra musica. Purtroppo oggi non esiste più.

Siete in quattro ma spesso la vostra band si allarga. Cosa vuol dire suonare così numerosi, comporre, decidere?
Pietro: Il fulcro, chi scrive i pezzi, siamo noi quattro, ma nei live siamo sempre in sette: Martina Campi al flauto traverso e trombone, Alessio dal Checco al sassofono ed Elia Pozzi alle percussioni ci accompagnano sin dall’inizio. Nel comporre questo disco abbiamo iniziato a suonare, a scrivere le prime idee e ci siamo trovati praticamente subito, ma in realtà si tratta di un processo che risente in maniera pesante della musica live, sia nella composizione che nella finalizzazione. Il feedback del pubblico è fondamentale.

Chi è Nicola Felpieri? È un nome di quelli per evitare la multa sull’autobus o esiste davvero?
Ferruccio: Nicola è inconsapevolmente il personaggio perno dell’album, che abbiamo scritto in modo che fosse un intero flusso, un immaginario. Volevamo che chi lo ascoltasse potesse costruirsi il proprio film attraverso gli indizi, la successione dei pezzi, la copertina risente del nostro essere molto legati alla musica da cinema.

Confermo che l’effetto che dà questo disco è quello proprio di una colonna sonora. Cosa succede nel film che vi siete fatti componendolo?
Alessandro: Ci piace pensare che si possano costruire delle suggestioni, ma non esiste un film specifico, ognuno di noi ha delle interpretazioni differenti. Molti brani vengono dai nostri tanti mondi di riferimento, anche cinematografici. Anche se in “Enrico lascia perdere” al centro c’è una storia più definita: un sognatore, una persona libera che crede in qualcosa nonostante tutti cerchino di tarpargli le ali.

Nella vostra musica convivono sonorità afrobeat, anni Settanta, disco funk, un po’ di Lupin III. Quali sono, se ci sono i vostri “padri”?
Giovanni: Il punto di partenza de Il Mago del gelato è stato l’afrobeat, quindi Fela Kuti ed Ebo Taylor. Poi suonando insieme abbiamo infittito un pochino il background di questo progetto con tutto il mondo delle colonne sonore. Un artista che ci piace molto, a cui ci siamo parecchio debitori – abbiamo anche portato dal vivo un suo brano – è Piero Umiliani che per noi rappresenta un macro genere che apprezziamo moltissimo. E poi c’è il funk, un certo sound anni Ottanta, come i giapponesi Casiopea.

Vi sentite un po’ dei retromaniaci?
Tutti: Pensiamo che la musica sia qualcosa di circolare, si iscrive in un tempo perché lo rappresenta ma non rimane solo in quel momento. Abbiamo la fortuna di vivere in un’epoca in cui possiamo attingere a tutti i tempi della musica. È naturale che mentre scriviamo, interpretiamo e ci facciamo influenzare dalla musica che ascoltiamo. Non si tratta di retromania o nostalgia, uniamo tutto: gli anni Settanta, i computer, internet, l’autotune. Non ci siamo dati una regola, stiamo facendo quello che ci piace.

Cosa ascoltate di contemporaneo, cosa vi piace in Italia e all’estero?
Tutti: Ci piace molto il nome più attuale in Italia in questo momento: Lucio Corsi. Rappresenta una specie di cortocircuito nella musica pop italiana: scrive bene, suona bene, la sua attenzione è rivolta a tanti momenti della storia della musica ed è molto legato alla musica dal vivo, cosa che per noi è importantissima. Lo abbiamo conosciuto al MI AMI dell’anno scorso e ci ha colpito tutti quanti. Potrebbe suonare strano, ma ci piace molto anche Cosmo, l’abbiamo sentito dal vivo quattro o cinque volte ed è sempre stato emozionante. Nonostante sia molto lontano dal sound che proponiamo, riconosciamo il suo voler mettere al centro del live l’esperienza del ballare, del condividere una serata insieme ad altre persone. Un concerto incredibile per noi è stato anche quello degli I Have My Village, un vero spettacolo.

Nel disco ci sono collaborazioni con Venerus, Le Feste Antonacci, Mélanie Chedeville. Come sono nate?
Giovanni: Con Le Feste Antonacci è nato tutto proprio nel modo che ti stavamo raccontando: abbiamo condiviso il palco con loro quest’estate ed è nata in primis un’amicizia e poi la voglia di provare a coinvolgerci reciprocamente. La collaborazione è poi andata avanti a distanza – loro hanno base a Parigi – e siamo super contenti di come è uscita “In Punta dei Piedi”. Con Venerus ci siamo incontrati in studio a Milano e gli abbiamo fatto ascoltare tutto il disco ancora in fase di lavorazione. Lui poi ha scelto di dare il suo contributo a “Controtempo”, la stessa che gli avremmo proposto noi. Anche con Mélanie Chedeville abbiamo collaborato a distanza, senza mai incontrarci. Abbiamo proprio pensato il brano “Tic Tac” per la sua voce, ancora prima di proporglielo e quando ha risposto positivamente è stato veramente bello.

Queste sonorità riportano infatti anche a un immaginario francese. Penso alla vostra collaborazione con Melanie, ma anche i Nu Genea hanno pezzi in francese e i Dov’è Liana – francesi trapiantati a Palermo – sono inseriti in un solco che un po’ condividete. Cosa ne pensate? Ci vedete delle analogie?
Giovanni: Ci sono intenti diversi. Forse la sensualità di certe sonorità si sposa meglio con quella lingua o con l’italiano fatto da una francese. Oltretutto, in Francia c’è un ritorno all’italo disco. Nel nostro caso il fatto di collaborare con Melanie è scaturito dal fatto che siamo rimasti molto impressionati da un disco che aveva realizzato con Tony Allen.

Quanta Milano c’è nel vostro sound? Quanta via Padova, visto che ci siete praticamente nati e cresciuti?
Alessandro, Giovanni: C’è molta Milano e tanta via Padova, Paolo Sarpi, dove da decenni si respira internazionalità e questa cosa non può che influenzare, anche nell’apertura alla contaminazione, no? Per noi Milano ormai rappresenta una città aperta a tutte le culture del mondo e alcuni quartieri ne rappresentano proprio questa questa personalità. Forse anche per questo abbiamo scelto di andare a registrare il disco lontano da qui, in Salento, dove ci siamo immersi completamente nella nostra musica senza nessun tipo di influenza dall’esterno.

Si sente molta estate nel vostro sound, in questo disco. Cercate di metterla nelle vostre canzoni?
Alessandro: Beh, è una delle nostre stagioni preferite. È una stagione in cui si gira molto, ci sono un sacco di concerti, si macinano chilometri in furgone, si viaggia, c’è l’energia dei live. L’estate è il momento in cui si hanno i ricordi più nostalgici, quelli con i colori pastello, le cartoline delle nonne e i gelati, dopotutto.

La vostra serata ideale?
Pietro: Vedere gli amici che non vedo da tempo, bere una birra con loro o guardare tanti film.

Alessandro: Ideale e quasi utopistica è una serata in cui c’è un live di musica elettronica incredibile, assurdo, sperimentale, pazzo, fuori di testa e, immediatamente dopo, un concerto jazz.

Ferruccio: Sono un grande fruitore del cinema sia a casa che nel cinema, per cui me la immagino così.

Giovanni: In questo periodo in cui non stiamo suonando molto, mi piace andare ai concerti, magari in posti piccoli, dove propongono progetti nuovi, un po’ nascosti. Ma anche organizzare delle session nel nostro studio. Dei piccoli ritrovi con amici per suonare insieme.

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