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La locandina di Eddington, il nuovo film di Ari Aster, è un’opera d’arte, letteralmente Il regista presenterà il film in anteprima mondiale al prossimo Festival di Cannes, in programma dal 13 al 24 maggio.

Il gigantesco e meraviglioso mistero di casa Clinton

Fra i due il talento in politica è lui, ma adesso Hillary è a un passo dalla nomination. Bill fa bene o male alla moglie?

29 Aprile 2016

«Non sono un politico naturale», ha detto di recente Hillary Clinton, «nel caso non ve ne foste accorti». La candidata alle primarie americane è riuscita per il momento a imporre nel dibattito delle primarie la sua competenza e la sua visione strutturata della politica e del mondo sull’istinto rivoluzionario di Bernie Sanders, ma ha comunque un grande problema da risolvere. Non è simpatica, non è coinvolgente, non riesce a trasformare la sua straordinaria esperienza in empatia. Non è un “natural”, appunto, come dicono gli americani, un politico cui viene facile, spontaneo, scaldare cuori e menti, portare la gente ai comizi e poi alle urne, di corsa, come se votare fosse un’urgenza. Il “natural”, in casa Clinton, è Bill, e Hillary lo sa, non nega, non si tormenta: lui è l’uomo della conquista, lei è la donna del disamore. «Sono più brava a parlar bene degli altri che di me stessa», dice, ed è la sintesi dell’effetto che fa l’ex first lady quando sale su un palco assieme al marito. La star è lui, pure se oggi avrebbe ormai dovuto imparare a farle da spalla.

Ogni volta che Hillary si mette in gioco e prova a dimostrare che anche lei è in grado di far innamorare gli americani, arriva un momento in cui è inevitabile domandarsi: suo marito è il suo punto di forza o il suo punto di debolezza? Bill Clinton sembra il fantasma di quel che è stato: la sua voce si è fatta più flebile, la dieta vegetariana l’ha reso magro, quasi fragile, è mezzo sordo e alcuni sostengono che sia talvolta poco presente. Lo guardi e dici: quanto è invecchiato. Eppure il suo carisma, la capacità di convincere e divertire quelli che gli stanno intorno, l’istinto del seduttore restano indiscutibili, e anzi brillano ancora di più quando di fianco c’è Hillary. Il confronto diretto è letale per lei, che pure non si è mai sognata di competere con il marito su questo terreno, e ha cercato di rispettare in modo consapevole e tattico un gioco delle parti determinato in gran parte dalla natura. Il problema semmai è la fiducia.

Ce lo chiediamo tutti, guardandoli assieme, esaminando le foto che colgono l’attimo in cui lui guarda lei mentre è sul palco: Bill ci crede in Hillary? O come dicono molti commentatori Bill pensa soltanto a se stesso, alla sua legacy, a quel che la gente pensa di lui, a conservare il proprio fascino, pure a discapito di sua moglie? La storia della coppia politica più famosa nell’America degli ultimi trent’anni porta con sé una domanda sempre aperta: non sappiamo se è vero che lei gli ha tirato dietro lampade e libri quando i tradimenti di lui diventavano pubblici, se è vero che ci sono state urla feroci, minacce di abbandono e di sputtanamento, non sappiamo se lui le ha detto che la ama da sempre, che le corna non contano niente, tu sei tu e il resto non ha importanza. Non sappiamo come quei due hanno fatto a resistere a tutto riuscendo a mostrarsi insieme sorridenti e compatti, è il mistero dei matrimoni che sono sul punto di rompersi per sempre e non lo fanno mai, per l’ambizione, per il conformismo, per la ragion di stato, chissà forse anche per la stima e un pizzico d’amore. Il mistero di casa Clinton, gigantesco e meraviglioso, è quel che ancora oggi, dopo che abbiamo visto tutto, ci tiene attaccati allo schermo, curiosi di sapere come si fa, come fanno loro – e se poi Hillary vince davvero, che cosa ce ne faremo di questo first husband così ingombrante?

Clinton Presidential Library Opens

Al comizio notturno dopo le vittorie del 26 aprile, le telecamere della Msnbc hanno inscenato un gioco di inquadrature malizioso. Ogni volta che Hillary smetteva di parlare per godersi gli applausi, la regia inquadrava Bill: lui pareva, come ha scritto il Washington Post, «un po’ orgoglioso e un po’ confuso». Eccolo, il mistero. Nelle ultime settimane, l’ex presidente è sembrato in corsa per se stesso. Sembra impossibile che un ex presidente dalla popolarità enorme – al 60 per cento dicono i sondaggi, ben più alta di quella dell’attuale inquilino della Casa Bianca, ben più alta di quella della moglie (ma con lei è facile) – abbia ancora bisogno di difendere quel che ha fatto, di ribadire che come lui nessuno mai. Questo è evidentemente di poco aiuto per Hillary, che passa il suo tempo a prendere le misure degli uomini della sua vita.

Difendendo una sua legge della metà degli anni Novanta, Bill ha fatto infuriare la comunità nera, che è l’asset politico più importante di sua moglie in questo momento. Contestato da un gruppo di Black Lives Matter, celebre organizzazione a difesa dei neri soprattutto nelle questioni di giustizia e di omicidi da parte della polizia, Bill ha risposto con una verve che non si è vista spesso in questa tornata elettorale (allora è vivo!), ma non ha fatto un favore a sua moglie. Ha difeso una norma da cui lei si era un po’ allontanata, ha tirato fuori frasi che Hillary disse vent’anni fa e che sperava fossero dimenticate. Insomma: un disastro. È pensabile che si sia trattato di un incidente di percorso?

In questo caso sarebbe un incidente anche quel che Bill ha detto sugli ultimi otto anni di vita americana: uno spreco, una preoccupazione, un caos. L’ex presidente faceva riferimento all’ostruzionismo repubblicano, allo scontro sempre più polarizzato dei due partiti, allo stallo istituzionale. Ma pareva che discutesse della delusione determinata dal presidente Barack Obama: ora, Hillary fa una grande fatica a tenere insieme tutto, il passato da rivale di Obama e quello di migliore alleata durante il mandato al Dipartimento di Stato, è chiaro che l’uscita di Bill non sia stata opportuna.

Molti commentatori hanno messo in fila questi episodi e sono arrivati alla conclusione che Bill è un grande problema per Hillary. Non è una novità: nemmeno i più esperti clintonologi del mondo hanno una posizione chiara e immutabile sul tema. Bill difende la propria eredità e non si accorge che sua moglie non può fare lo stesso, anzi, avendo un rivale come Bernie Sanders, che del clintonismo è la negazione vivente con occhialetti e collo incassato, Hillary è costretta a non fare troppi riferimenti all’operato di suo marito: come si fa a intercettare il voto del cambiamento se si rivende una formula vecchia di vent’anni e propagandata da un signore che non ci sente nemmeno più?

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Il secondo problema è puramente demografico. Per vincere oggi Hillary deve ricostruire la base elettorale che ha eletto Barack Obama. Secondo gli studi, se l’ex first lady riuscisse a ricostruire la base di suo marito negli anni Novanta, questa non le sarebbe comunque sufficiente per vincere le elezioni. Cioè fare come Bill non basta. Hillary ha bisogno di ripetere la “grande coalizione” che ha portato Obama alla Casa Bianca, e per farlo non deve dire male di Obama, ma non deve dire nemmeno troppo bene di suo marito. Il problema di Bill è che sua moglie per vincere deve distaccarsi da lui, e questo per lui è inaccettabile.

Per Hillary il dramma è ancora più profondo. Le femministe che la detestano dicono che lei non può essere simbolo di niente, essendo arrivata là in alto come “la moglie di”. Dicono anche che, avendo perdonato un marito traditore impenitente, non ha fatto un favore alla causa delle donne, anzi, ha mostrato fino a che punto le donne sanno umiliarsi in nome di un senso di conservazione autodistruttivo. Dicono anche la cattiveria più grande: se non sei riuscita a farti amare da tuo marito, perché dovremmo amarti noi? Altre invece sostengono, come ha fatto Michelle Goldberg su Slate, che Hillary dovrebbe licenziare Bill. Senza perdere troppo tempo: nessuno le sta facendo tanto male quanto lui.

Da sempre Hillary cerca di posizionarsi rispetto al marito, chissà a che prezzo, e ora che il palco dovrebbe essere tutto suo, ora che è il suo momento e basta con i dubbi, le distinzioni, il ditino alzato, ora che bisogna scalzare Sanders più in fretta possibile per poi dedicarsi a Donald Trump e alla sua imprevedibilità, ancora lei è costretta a infliggersi lo strazio più grande, guardare Bill e domandare: ma tu ti fidi di me?, e non avere mai una risposta certa.

Nelle foto: in evidenza e in testata, i Clinton nel 2004. Nell’articolo, i Clinton di nuovo nel 2004, e nel 1992, durante la prima campagna presidenziale di Bill (Getty Images)
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