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Il candidato / 2

Politico ex "società civile", democratico, antifascista, forse un po' focoso. Breve ritratto di Emanuele Fiano, candidato alle primarie per il sindaco di Milano.

22 Luglio 2015

 
Continuiamo la serie di brevi ritratti dedicati ai candidati a sindaco di Milano. Trovate la prima puntata qui.
 

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Emanuele Fiano 1«La politica si fa consumando le suole delle scarpe» è una delle prime cose che dice a Studio parlando al telefono Emanuele Fiano, con un tono appena sbrigativo ma cordiale. Ha la parlata ferma e rodata del politico di lungo corso e un po’ sorprende, dato che il cinquantaduenne deputato iniziò come socio di uno studio di architettura milanese, e fino ai 34 anni alla cosa pubblica aveva preferito la progettazione di archi e volte. Poi, l’ispirazione politica: nel 1997 venne eletto consigliere comunale coi Democratici di sinistra, appena un anno dopo essersi candidato alla Camera (vinse, come ovunque a Milano, il candidato del Polo, ma nel suo collegio si registrò «l’avanzamento percentuale più alto rispetto alle politiche precedenti», com’ebbe a chiosare in un intervista rilasciata a Repubblica nel 2000).

Alle primarie del Partito democratico per il candidato a nuovo sindaco di Milano – che si faranno? Non si faranno? Sul mistero metropolitano Fiano glissa laconicamente dicendo: «Rimangono il migliore strumento a nostra disposizione» – è stato il primo a dichiarare ufficialmente di correre. Lo scorso 4 luglio al teatro Franco Parenti, zona Porta Romana, c’erano Stefano Boeri, il banchiere Ernesto Paolillo, l’assessore alla sicurezza Marco Granelli e quello alle politiche sociali Pierfrancesco Majorino, quest’ultimo candidatosi a sua volta appena due giorni dopo.  E c’era in sottofondo anche “La ballata del Cerutti”, inno gaberiano a cui Fiano è particolarmente legato per motivi squisitamente biografici, essendo cresciuto nel quartiere Giambellino. Ce lo ricorda anche al telefono, dicendo che secondo lui un buon amministratore deve tenere «la testa nel centro e i piedi nelle periferie». Fiano è particolarmente attento al tema della sicurezza, dice di non volerlo lasciare alla destra salviniana, che fomenta «le paure più istintive» ingigantendo problemi che pure, sostiene, esistono. Non a caso, a sei anni dalla sua nomina a responsabile del Forum Sicurezza Pd, Fiano ha lanciato la sua campagna per la corsa a sindaco con lo slogan «Milano viva, sicura e democratica».

«”Viva” perché è un serbatoio di energia e talento in molti settori, non soltanto nella moda e nel design». La seconda parola chiave, come si diceva, è un pallino del candidato: «Bisogna agire anche in merito alla sicurezza percepita, che è il cavallo di battaglia delle destre». Già, le destre. Fiano, figlio di Nedo, sopravvissuto di Auschwitz, è un fervente antifascista, nemico giurato di ogni succedaneo di autoritarismo a tinte nazionaliste. È anche un membro di spicco della Comunità ebraica italiana (è stato consigliere della Comunità ebraica di Milano e poi dell’Ucei, l’Unione delle Comunità ebraiche italiane) e un convinto difensore della legge Mancino. Dice che, se Milano è «democratica» per la sua tradizione votata all’accoglienza, lui nel termine si riconosce per storia personale. Ma la sinistra milanese è pronta per affrontare un nome di peso come quello di Matteo Salvini e magari vincere? «Salvini lo aspetto», scherza inizialmente Fiano con un tono a metà tra l’assertivo e l’impaziente,  e poi me lo immagino alzare le spalle: «Ma alla fine non si candiderà, vedrà». Il «Capitano» padano in felpa declassato a chiacchierone?

«Salvini lo aspetto», scherza inizialmente Fiano. «Ma alla fine non si candiderà, vedrà»

Chi lo conosce parla di Emanuele Fiano come di una persona determinata, dai modi bruschi ma capace di convincere gli elettori, adatto al ruolo,  fit to lead, si direbbe ad altre latitudini. Chiedo a un suo amico (e compagno di avventure politiche) di vecchia data se potrebbe essere considerato un tipo troppo focoso. «Ma no, in tanti anni non l’ho mai visto far del male nemmeno a una zanzara». Magari con gli insetti il nostro può essere magnanimo, però lo scorso dicembre la deputata del M5S Giulia Sarti ha diffuso su Facebook un video in cui il metro e novanta di Fiano si scaglia con fare poco conciliante verso i banchi dei grillini, autori del solito ostruzionismo alle vongole sul provvedimento di turno: «Ci vediamo fuori», ha scritto di avergli sentito pronunciare la Sarti.

Un sondaggio molto recente di Tecné per il Corriere della Sera ha rivelato che i consensi stanno premiando il membro della segreteria nazionale del Pd: 38 elettori del Pd su 100 danno la loro preferenza a Fiano, nonché il 32% del totale dell’elettorato, posizionandolo in prima posizione nel rilevamento per la corsa a sindaco, davanti a Umberto Ambrosoli e a Majorino. Lui però non si scompone troppo: «Sono contento ma si tratta di dati preliminari, dobbiamo continuare a lavorare bene», commenta senza apparente entusiasmo, con un atteggiamento che potrebbe essere detto molto milanese.

Qual è l’opinione di Fiano sull’attuale sindaco del capoluogo lombardo? «Siamo contenti e orgogliosi dell’amministrazione Pisapia», dice lui con un plurale maiestatis estemporaneo, e aggiunge che personalmente la ricorderà per tre iniziative: l’apertura della nuova Darsena, «riqualificata», l’aver affrontato la questione delle abitazioni abusive e Nessuno Tocchi Milano, il movimento spontaneo che a inizio maggio ha sfilato per le vie meneghine in simbolica risposta alla manifestazione No Expo avvenuta poco prima.

Per ultima cosa, chiedo a Fiano se pensa di essere in qualche modo favorito (o sfavorito, perché no) dal suo ruolo nel partito nazionale – è membro della segreteria – in una competizione locale. Anche qui la risposta è diretta, pragmatica: «Credo che alla fine vengano premiate le storie personali delle persone, le idee che hanno diffuso». Non soltanto Renzi e Pd, insomma. Una volta Franco Chioccioli, ciclista vincitore del Giro d’Italia del 1991, mise a tacere sospirando un giornalista che non lesinava rimandi ultraterreni: «Sì, Dio mi avrà aiutato di sicuro. Però a sudare su quella bicicletta c’ero io».

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