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I giorni e le notti di Fausto

La "morte della sinistra" e la nostalgia di un mondo che non c'è più: traiettoria di un comunista, da Bertynight a Comunione e liberazione.

28 Aprile 2016

Fausto Bertinotti “entra” in Comunione e liberazione. La notizia della settimana scorsa scuote forse le coscienze dei meno piccini, di quelli che hanno assistito negli ultimi vent’anni ad ascesa declino e alla morfologia della fiaba dell’ex sindacalista dei Tessili della Cgil, poi segretario di Rifondazione comunista, poi presidente della Camera dei più mondani.

Settantasei anni, noto ai più soprattutto per aver fatto cadere il primo governo Prodi, per le giacche di velluto, i portapipa sartoriali e la erre arrotata come Stefano Masciarelli, che in tv faceva l’operaio Fiat con dizione e orologio sul polsino alla Gianni Agnelli. E per una deriva cafonal che aveva stupito, a Roma, anche. Divenuto terza carica dello Stato nel 2006, Bertinotti si distinse per la partecipazione troppo entusiastica ai riti beceri della Capitale; serate con Valeria Marini, cene da Maria Angiolillo, recite negli avanspettacoli di Alda Fendi (una lettura di T.S. Eliot in show di ballerini biotti), assalti al buffet alla villa La Furibonda di Marisela Federici, immortalata anche nella Grande Bellezza. Lui protestava: «Mi arrabbio teneramente» (teneramente è avverbio assai bertinottiano, di derivazione guevarista), «perché è una falsificazione della mia immagine e mi verrebbe voglia di replicare contando le ore che ho passato davanti ai cancelli delle fabbriche». Ma alla fine, anche in assenza di conteggi ufficiali, il monte ore passate ai cancelli sull’Appia tra supplì e dubbie principesse romane prevalse, almeno nella rappresentazione bertinottiana.

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Segnalando tra l’altro l’ennesima mutazione: era stato sindacalista, appunto ai cancelli, cancelli che dovevano rimanere chiusi, e vennero aperti, quelli della Fiat, e fecero poi incazzare i dipendenti e si risolse tutto nella marcia dei Quarantamila: era il 1980, arrivò una delle ammissioni che costellano il Bertinotti-percorso. «È stata una sconfitta e di fronte ad una sconfitta bisogna dire: abbiamo perso». Perché la sconfitta diurna, insieme al party notturno, è forse la cifra di Bertinotti: così sbaglierebbe davvero chi pensasse di catalogare Bertinotti – o Bertynight, come venne immediatamente e in maniera micidiale re-brandizzato da Roberto D’Agostino– nella figura del radical chic, che semmai vantava altro tipo di protagonisti, a Roma, uno per tutti Lucio Magri, grande gatsby del Pci, compagno della Castellina, già amante di Marta Marzotto immortalato in un pezzo divenuto classico su Rep («In cucina Lalla, la cameriera sudamericana, prepara il Martini con cura»).

Per Bertinotti invece non c’era la cameriera Lalla ma la moglie Lella (Gabriella Fagno), complice in sgangheratezze forse psicanalitiche. Le visite al monte Athos con Falcon della Presidenza del Consiglio (2008). Le serate sempre fotografate da Umberto Pizzi. L’amicizia con Mario d’Urso, morto l’anno scorso, una specie di Vautrin balzachiano che introduce Bertinotti-Rubempré ai riti capitolini, e che forse per senso di colpa o forse per perfida e definitiva character assassination gli lascia in eredità pure mezzo milione di euro. «Sono stato rovinato dalle feste», disse infatti Bertynight, plagiando Jep Gambardella, e la cosa fece anche tenerezza, per il tono serio, tipo Alberto Sordi, «m’ha rovinato ‘a guèra». «Pensavo che la mia vita, la mia giovinezza, la mia storia familiare potessero immunizzarmi», disse, sempre serio, come Tony Blair scusandosi per bombardamenti inopinati, e qui invece si trattava di mozzarelle e serate al Bagaglino.

Adesso, la nuova fase. «Bisogna affacciarsi sull’abisso per scongiurare il pericolo», ha detto tragico annunciando il suo avvicendamento a CL. E anche, per l’ennesima volta: «La sinistra è morta». «Nessuno come i traditori è alla ricerca di un Ersatz, di un sostituto della lealtà e della comunità perduta», ha scritto invece Giuliano Ferrara, parlando di se stesso in un’antica e bella autobiografia recentemente ripubblicata sul Foglio. Forse Bertinotti o Bertynight ha nostalgia di un mondo che non c’è più, e la sinistra forse è morta davvero; di sicuro è morta la Angiolillo, e villa Furibonda è chiusa; e i salotti in definitiva non si sentono tanto bene.

Fotografie di Filippo Monteforte e Marco Di Lauro (Getty Images).
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