Una serie di talk che affrontano il rapporto tra trasporti, design e ambiente: la quarta edizione del simposio si intitola “In Transit” e si svolgerà a bordo del treno Arlecchino, progettato negli anni Cinquanta da Gio Ponti e e Giulio Minoletti.
Chiudi gli occhi, pensa alla parola: marmo. I risultati di una rapida ricerca mentale, un archivio visivo che è anche un’eredità culturale – per farla breve: templi greci e romani, razionalismo del Novecento, forse anche grandi spazi vuoti, forse qualche bagno moderno ed elegante. Colonne. Linee rette. Sontuosità, sacralità. Rigidità, però: non una spaccatura, se non quella originaria, dalla cava per far nascere il blocco. Il marmo obbedisce, il marmo si spezza e non si piega. Hannes Peer, dal suo atelier di Milano est, fa un mezzo sorriso quando dice: «Qual è il ruolo del marmo oggi? Cosa fanno queste benedette lastre di marmo che vediamo spiattellate su Instagram?». Non rispondiamo, e infatti la frase la finisce lui: «Ho lanciato il dado chiedendomi: cosa succede invece se le lastre di marmo decidessero di non fare più quello che vogliamo far fare loro? Crashano, glitchano, diventano qualcosa di inaspettato».
La risposta sta nella mostra CRASH, un’installazione progettata appunto da Hannes Peer Architecture insieme a Margraf, una delle più importanti aziende nel settore del marmo, all’interno di Spazio BIG Santa Marta, nel distretto – possiamo dire: il più bello e prezioso della città – delle 5VIE. Com’è fatta CRASH? Lo spiega ancora l’architetto altoatesino: «C’è il marmo che si stacca dal muro, il marmo che trafigge il muro, il marmo che si sfracella addirittura contro una lastra di vetro, che non ha alcun senso naturalmente perché il marmo è molto più duro del vetro, ma proprio questa è la cosa interessante, il fatto che il marmo si accartoccia».
Sono 6 “crash” più 1, quindi 7 – «che per me è il numero perfetto», sorride ancora Hannes. 6 sono reali, 1 è virtuale. Non è stato facile lavorare il marmo fuori dalla sua “comfort zone”, o forse è meglio dire “zona di rottura”. Come si fa, ad esempio, a fare un marmo che si curva come un lenzuolo? Spiega Peer: «Abbiamo lottato, abbiamo lavorato, e sembrava che a un certo punto non si riuscisse a fare per il problema del peso. Poi, una notte, ho letteralmente sognato di riuscire a farlo, e quindi abbiamo inventato anche un materiale. È una cosa abbastanza intrigante che posso raccontare senza problemi: invece che tagliarlo fuori da un massello, cioè da un blocco di marmo, mi sono ricordato che il marmo viene sempre fissato su una rete, sul retro, affinché possa resistere anche al trasporto e quant’altro. Con la tecnica che mi sono inventato questa rete la uso al contrario: spacchiamo il marmo e il marmo diventa un pezzo di stoffa che può avvolgere delle forme estremamente complesse». Sono arrivati a meno di un centimetro di spessore: «Praticamente un fazzoletto».

CRASH by Hannes Peer x Margraf (Foto di Danilo Pasquali)
Hannes Peer racconta l’inizio della collaborazione: «Ho messo subito una condizione: non volevo produrre l’ennesima collezione di oggetti, di piccoli arredi in marmo più o meno funzionali. Invece con Margraf ho cercato di spiegare che mi piacerebbe porre delle domande, e la cosa li ha subito intrigati, cosa che ho trovato molto interessante: un brand che si mette in discussione è una cosa pazzesca, soprattutto nel 2025, quando tutti vogliono soltanto “essere”, e non domandare, o porsi delle domande». Alcuni dei concetti chiave della ricerca e della pratica di Hannes Peer sono riassunti sulla sua biografia Instagram, per chi lo volesse cercare adesso, in una pausa tra una paragrafo e l’altro: «Nostalgic utopia, future archaeology». Cosa significa? Dice lui: «Io adoro essere irriverente. L’irriverenza presuppone la conoscenza: non si può essere irriverente se sei ignorante, quindi nel momento in cui conosci, impari, poi puoi essere irriverente. È la descrizione perfetta del concetto di nostalgia utopica: nostalgia per me è un modo di acquisire, non di dire che tutto quello che è passato è fantastico, e tutto quello che è moderno contemporaneo non è un bene.
Un’altra parola chiave nella descrizione che Peer fa di sé stesso è “imperfection”. «Ultimamente c’è questa frenesia verso l’immagine perfetta, l’interior perfetto», dice lui, «lo si vede anche su Instagram. Io sono più incuriosito da quello che può essere un errore stilistico voluto, oppure un contrasto programmato tra due materiali che in teoria non dovrebbero stare insieme, ma li unisci e ne nasce qualcosa di un po’ più interessante».
E il marmo, nonostante tutte le tecniche più moderne, presuppone sempre un contatto importante – in un certo senso intimo – con la materia: «C’è un fascino ineguagliabile nell’analogico», spiega Hannes. «Per quello io ai miei studenti dico sempre: imparate un mestiere, imparate un qualcosa, fate della ceramica, e non per diventare Michelangelo, ma per toccare con la mano. Sapere trasformare le cose con le mani è una cosa pazzesca».