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È uscito il trailer del reboot di Una pallottola spuntata Protagonista del film sarà Frank Drebin Jr. (Liam Neeson), figlio del leggendario poliziotto interpretato da Leslie Nielsen.
La metro di Parigi ha vietato la pubblicità della mostra di David Hockney perché ritrae David Hockney che fuma L'artista l'ha presa piuttosto male: ha definito la decisione una «cosa assurda, veramente assurda».
Uno dei prodotti più colpiti dai dazi degli Stati Uniti sarà il vino Un problema enorme per le aziende del settore italiane, che esportano i loro prodotti soprattutto negli Usa.
Il Partito laburista starebbe pensando di candidare Idris Elba a sindaco di Londra Al momento si tratta di un'indiscrezione riportata dai tabloid, ma è da diversi mesi che si parla di un ingresso in politica dell'attore.
È uscito il primo trailer dell’Eternauta, la serie tratta da uno dei più grandi capolavori della storia del fumetto Prodotta e distribuita da Netflix, sarà disponibile sulla piattaforma dal 30 aprile.
Trump ha imposto dazi anche a delle isole antartiche abitate solo da pinguini I pinguini delle isole Heard e McDonald dovranno pagare il dieci per cento di dazi per esportare i loro beni e servizi negli Usa.
Ci sarà un sequel di C’era una volta a… Hollywood diretto da David Fincher, scritto da Quentin Tarantino e con protagonista Brad Pitt Il film racconterà la storia di Cliff Booth, il personaggio interpretato da Pitt nel film di Tarantino del 2019.
Prada ha aperto un ristorante ispirato ai film di Wong Kar-wai Si trova a Shangai e riproduce l'atmosfera dei film del regista di "In the Mood for Love".

L’ultra pop di Gucci

Con “Aria”, la collezione che celebra i cento anni del marchio, Alessandro Michele definisce, ancora una volta, cosa significa essere popolare oggi.

16 Aprile 2021

Quando la moda ha iniziato a interrogarsi su stessa, negli ultimi anni, una delle cose di cui spesso si discuteva era la necessità, o meno, di creare nuovi “trend” a ogni stagione. Produciamo troppo di tutto: troppi vestiti, troppi accessori, troppe campagne pubblicitarie, troppi input riversati in un mercato mai così capriccioso, che si ridisegnava in continuazione e sfuggiva alle categorie di interpretazione con cui comodamente lo avevamo letto finora. Alessandro Michele è arrivato da Gucci nel 2015 e, già dall’esordio, è diventato uno dei punti di riferimento in un’industria che stava attraversando il momento di ridefinizione più complicato dalla sua nascita. E lo ha fatto grazie all’universo che ha costruito per il marchio: un universo dove i “trend”, quelli intercambiabili, perdevano di significato, lasciandosi alle spalle la mentalità fast, e provando invece a rimanere dentro a un mondo specifico, il suo, che negli anni successivi ha continuamente riempito, svuotato, rimodellato, sviscerato. Con “Aria”, la collezione presentata in formato digitale giovedì 15 aprile, Michele ha nuovamente messo mano alla sua scatola dei trucchi magici, raccontando una storia condensata che andava da Guccio Gucci e l’Hotel Savoy di Londra (dove la leggenda vuole che il fondatore del marchio abbia lavorato), passava per Tom Ford e arrivava fino a lui.

Gucci Aria

Per farlo, ha scelto di riproporre una sfilata di moda nei suoi elementi più classici: la passerella, i fotografi, i modelli che si succedono uno dietro l’altro. Nel video diretto da Floria Sigismondi entrano al Savoy (che da hotel è diventato club), si ritrovano in una dark room per soli vanitosi e poi escono in un giardino di quelli che piacciono a Michele, popolato da creature splendide, compreso un cavallo bianco, e natura rigogliosa: è il momento della rinascita, lo stadio ultimo di questo specifico percorso, in questo specifico momento, ma non è quello definitivo, perché la storia di Gucci, in un modo o nell’altro, continuerà a evolversi. Per celebrare questo «compleanno all’insegna dell’ultra pop», come lo definisce lui stesso su Zoom, e dopo gli esperimenti recenti, non ultima la serie tv co-diretta con Gus Van Sant, Michele ritorna alla formula della sfilata più classica: «La passerella è qualcosa di primitivo, risale all’attimo in cui abbiamo deciso che la moda, che fino a quel momento era nelle strade, nelle case, sulle persone, doveva diventare un mercato: è la sua forma più popolare, quella che comprendono tutti», ha spiegato. La prima uscita è un ragazzo con il tailleur di velluto rosso che omaggia quello disegnato da Tom Ford e indossato da Gwyneth Paltrow agli MTV Music Awards del 1996, mentre l’ultima è una ragazza con un abito da sera che rimanda al glamour old Hollywood, che regge una pochette-cuore definita da Michele, seriamente ma anche un po’ no, chi può dirlo, «il Graal di Gucci», quello che i direttori creativi si passano di volta in volta quando è il loro turno di definire cosa significa il marchio nell’oggi. 

Gucci Aria

In mezzo c’è tanto Ford, nel formale pulito e nello styling diretto, meno complesso e stratificato di quello abitualmente usato dal Gucci di Michele, ci sono tanti riferimenti a quello che il brand ha rappresentato nel corso della sua storia, dal mondo dell’equitazione al logo della doppia GG, per l’occasione ingrandito e reso «luccicante», e c’è anche Demna Gvasalia, di cui Michele ha “hackerato” i codici per dar vita a un incontro-scontro di loghi e visioni particolarmente interessante. Non è una collaborazione, ci tengono a specificare da Gucci, perché di fatto Michele ha lavorato in autonomia (da qui il termine “hacking”) sugli elementi con cui il designer georgiano ha costruito il suo di mondo da Balenciaga, in particolare il lavoro sull’anatomia della silhouette, che ricorda quello del fondatore Cristóbal: «Sono stato al primo di show di Demna per Balenciaga e ne ho ammirato il lavoro sulla tridimensionalità della figura. Ho scelto lui perché è una persona vicina, un designer che stimo, qualcuno con cui ho dei punti di contatto, credo che ogni tanto abbiamo lo stesso modo di guardare alle cose», ha raccontato, mentre nelle Stories Instagram di Gucci si materializzavano dei messaggi privati tra lui e Gvasalia, che sono divertenti e assurdi allo stesso tempo e riassumono bene quell’ultra pop di cui sopra. I tailleur calzamaglia, i cappotti dalle spalle larghissime e le giacche rigide ma sinuose, la camminata (e il casting) dei modelli, la borsa Hourglass di Balenciaga con il logo di Gucci e la Horsebit con il logo di Balenciaga: i due marchi si fondono l’uno nell’altro e danno vita a qualcosa che mai avremmo pensato di vedere nella moda, storicamente così attaccata alla segretezza del design e alla proprietà intellettuale.

Ma non è che la logica conseguenza di tutto quello che abbiamo vissuto negli ultimi anni, dallo sdoganamento delle collaborazioni tra marchi streetwear e marchi del lusso al coinvolgimento attivo, iniziato proprio da Michele con Gucci, di altre visioni sull’abito, come quella di Dapper Dan, che per primo ha mescolato i loghi e li ha trasfigurati per la sua comunità di riferimento, passando per l’esperimento di Dries van Noten e Christian Lacroix fino a Miuccia Prada e Raf Simons. Non si tratta più, insomma, più di individuare i trend, o perlomeno non solo, piuttosto di abbracciare le tante cose che un marchio di moda rappresenta (sì, nella società, non solo negli armadi dei ricchi) e accettarne tutte le contraddizioni, non senza un’ironia di fondo, nel tentativo di raccontare qualcosa che sta accadendo: «Stavo cercando di far rinascere per la milionesima volta questo marchio, questo mito, questa saga, perché Gucci è un contenitore complesso», ha detto ancora Michele, prima di specificare che «la moda è la cosa più vicina agli esseri umani ed è qualcosa che succede». E che non tutti sanno come leggere, ma lui sì. 

Gucci Aria

Gucci Aria

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