La storia della canzone di protesta iraniana premiata ai Grammy
I Grammy andati in scena domenica 5 febbraio non saranno certo ricordati per le sorprese che hanno regalato – c’era qualcuno che dubitava che Beyoncé sarebbe diventata l’artista con più grammofoni d’oro in bacheca nella storia della musica? – con l’eccezione del premio vinto dall’iraniano Shervin Hajipour. Il cantante e cantautore, infatti, è diventato il primo vincitore nella neonata categoria Best Song for Social Change: è stata premiata la sua “Baraye”, diventata, in questi mesi di manifestazioni contro il governo iraniano seguite all’omicidio di Mahsa Amini da parte della “polizia morale”, l’inno delle proteste.
Come racconta Variety, Hajipour ha pubblicato la canzone per la prima volta nello scorso settembre, su Instagram. In appena 48 ore, “Baraye” ha accumulato quaranta milioni di visualizzazioni e regalato al suo autore una notorietà che gli è valsa le attenzioni del governo. Pochi giorni dopo la pubblicazione della canzone, infatti, Hajipour è stato arrestato. Le accuse su di lui sono ancora pendenti e resta in attesa di essere processato: se dovesse essere trovato colpevole, gli sarebbe comminata una pena di sei anni di detenzione, alla quale si aggiungerebbe il divieto di lasciare il Paese. È per questo che l’artista non ha potuto partecipare alla cerimonia di premiazione dei Grammy di persona: attualmente non è detenuto ma è in libertà vigilata dopo aver pagato una cauzione.
Ad annunciare la vittoria di Hajipour è stata la first lady degli Stati Uniti d’America Jill Biden, che ha definito “Baraye” «un inno alla libertà e ai diritti delle donne, potente e poetico». Il testo della canzone è composto interamente dai messaggi che gli iraniani hanno postato online per di spiegare le ragioni della protesta. Ognuno di questi messaggi inizia appunto con la parola “baraye”, che si può tradurre in italiano con “per”. Hajipour, nella canzone, canta quello che i manifestanti sperano di trovare alla fine della loro lotta contro la repressione del governo: una lotta che portano avanti, si capisce ascoltando la canzone, «per ballare in strada, per baciare chi si ama, per le donne, per la vita, per la libertà [lo slogan che contraddistingue ormai tutte le manifestazioni in Iran, ndr].
I media iraniani non hanno ancora commentato la vittoria di Hajipour ai Grammy. In questi giorni, giornali, radio, tv e internet iraniana raccontano quasi esclusivamente l’amnistia che il governo avrebbe deciso per molti coloro che sono stati arrestati, incriminati, processati e condannati in questi mesi di proteste (quasi 20 mila persone sarebbero state arrestate). L’amnistia è stata definita dai leader della protesta come «mera propaganda» da Mahmood Amiry-Moghaddam, fondatore di Iran Human Rights.